2 dicembre 1942, i giorni seguenti

Continua il racconto di Giuseppe Mastrodascio sulla   Drammatica battaglia nel canale di Sicilia.

La notte del 2 dicembre del 1942 erano ben quattro i convogli che, dai porti della Sicilia, trasportavano le truppe in Africa. Tre di questi arrivarono a destinazione, mentre il convoglio “H”, sul quale era imbarcato Giuseppe Mastrodascio, fu distrutto.

Il Comando Superiore della Marina non ebbe alcuna possibilità di aiutarlo. Numerose vittime, considerate disperse, furono ritrovate una quarantina di giorni dopo. Le onde le avevano trasportate lontano, per lo più verso nord-est, sulle coste delle isole al largo di Trapani. I corpi furono recuperati, sepolti a Palermo  e, solo dopo una decina di anni, riportati nei luoghi d’origine.

I pochi naufraghi superstiti, che erano riusciti ad aggrapparsi a qualche scialuppa o a qualche rottame galleggiante, rimasero in acqua per più di 19 ore.

Ecco il racconto di Giuseppe:

“Fummo salvati la sera del giorno dopo. Questo me lo dissero  in seguito, perché io non ricordo niente di quello che successe per gran parte  del tempo trascorso  in mare.  Forse avevo perso conoscenza per il freddo e lo sfinimento. Sulla scialuppa dove ero io non tutti si salvarono. Alcuni erano morti o per i motivi appena detti o perché erano stati feriti dai proiettili. Le onde che si infrangevano sulla barca accrescevano la sofferenza dei feriti per il dolore provocato dall’acqua fredda e salata del mare. Oltretutto la scialuppa stessa era piena d’acqua. Quelli che non ce la facevano scivolavano lentamente e venivano portati via dal mare.

Per quanto mi riguarda, una circostanza fortuita mi aiutò a salvarmi la vita. Prima di partire ci vennero consegnati i salvagente che erano di due tipi:  a forma di due ciambelle da mettere intorno al torace (quello che mi avevano dato) oppure un giubbotto gonfiabile. Quando provai il mio mi accorsi che una delle due ciambelle era bucata e chiesi di cambiarlo. Nella concitazione della partenza mi diedero l’altro tipo (che forse era riservato ai graduati) e questo mi aiutò, perché era impermeabile e riparava anche un po’ dal freddo.

Insieme con me c’erano due militari delle nostre zone. Uno di Nerito, di nome Loreto che era del ‘22 e l’altro,  di cui non ricordo il nome, più giovane e più taciturno,  di Macchia Vomano.  Visto che eravamo quasi paesani facemmo subito amicizia e loro mi seguivano sempre, perché avevo un anno di più ed avevo fatto parecchio addestramento in precedenza. Loro invece erano partiti da poco, non avevano esperienza, non avevano avuto  tempo per addestrarsi e per fare amicizie e quindi erano piuttosto disorientati. Quando arrivò l’ordine di abbandonare la Puccini, che era in fiamme, loro erano con me ed io consigliai di aspettare un po’ per far diminuire la ressa.

Fu in quei frangenti che assistemmo  al terrificante affondamento dell’Aventino, pieno di militari, che si trovava ad una cinquantina di metri da noi. L’Aventino si era unito più tardi  al Convoglio, nel primo  pomeriggio. Mi dissero che era partito dal porto di Trapani, mentre noi eravamo partiti da Palermo.  Era una nave sicuramente più grande e più bella della Puccini sulla quale ero imbarcato io. Era spaziosa e piena di finestrini.

Prima dello scontro io ero di guardia in una torretta vicino al ponte di comando. Con me c’era Gino Lombardi, un amico proveniente da non ricordo quale città della Lombardia. Durante i mesi di addestramento lui prestava servizio in fureria e offriva il suo aiuto anche per scrivere le lettere a chi aveva qualche difficoltà di scrittura. Era benvoluto da tutti. Di ritorno dalle licenze, essendo proprietario di un’azienda dolciaria, riportava  grandi sacchi di caramelle e le distribuiva. Duravano sempre alcune settimane.

Quando cominciò la battaglia, il piroscafo tedesco KT-1 era dietro la Puccini. Il primo siluro fu lanciato verso i mercantili ed era diretto verso la nostra nave che riuscì a schivarlo con una manovra. Qualche minuto dopo vidi colpire il piroscafo tedesco e lo vidi affondare.  I tedeschi rispettavano alla lettera gli ordini e questi erano che si doveva cercare di salvare a tutti i costi anche le armi. Così, i pochi militari che riuscirono a buttarsi a mare, lo fecero con tutto l’armamento e,  appesantiti in quel modo, non riuscirono a salvarsi.

I colpi che un po’ più tardi, dopo che la scorta italiana era stata annientata, arrivarono contro la Puccini  fecero saltare subito il ponte di comando. Poi diverse cannonate colpirono gli alberi di carico, in calcestruzzo, che caddero sulla prua distruggendo tutto e provocando sicuramente dei morti. Infine la nave prese fuoco, le munizioni esplosero e le fiamme divennero altissime.

Vidi arrivare l’Aventino  trasversalmente alla prua della Puccini, forse perché aveva tentato qualche manovra diversiva. Si fermò davanti a noi e fu illuminato dai bengala e dal fuoco della Puccini. Cominciarono a bombardarlo, colpendolo con un’infinità di ordigni. Alcuni siluri  lo colpirono dal lato della  poppa, invasa così dall’acqua. Molti soldati furono uccisi, anche se il grosso delle truppe era sotto coperta, nelle stive. In pochissimo tempo la nave, con un gran fragore, si mise in verticale  e affondò.

I corpi di coloro che erano sul ponte della nave volarono verso il basso e furono  risucchiati dal vortice, senza alcuna possibilità di scampo. Quelli che erano nella stiva, più di mille persone, morirono tutti. Credo che i corpi non siano mai stati recuperati. Quello che rimane di loro sarà ancora all’interno del relitto.

Lo sgomento per quanto appena visto ci convinse che bisognava fare in fretta ad abbandonare la nostra nave. Tutti avevamo paura perché non c’era scelta e molti di noi non sapevano nuotare o addirittura non avevano mai visto il mare prima. Mi ricordo che il ragazzo di Macchia  Vomano tremava e non riusciva a parlare. Quando venne il nostro turno scendemmo con le funi e ci raccomandammo di rimanere vicini. Appena in mare però le forti ondate ci separarono subito ed ognuno lottò da solo. Li vidi allontanarsi,  sopraffatti dalle onde e dopo un po’ non li sentii più.

Il mare era pieno di grida, di rimbombi e boati provocati dalle esplosioni e di sibili provocati dai proiettili che colpivano l’acqua. Per mia fortuna riuscii ad arrivare alla scialuppa e a salvarmi.

A fatti avvenuti, è evidente che sarebbe stato conveniente rimanere a bordo della Puccini, poiché questa non affondò nonostante le fiamme, ma in quelle circostanze non si poteva sapere cosa sarebbe accaduto ed il colpo di grazia alla nave sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro.

Venimmo raccolti dall’equipaggio del Camicia Nera. A noi ancora in vita ci avvolsero con le coperte e ci misero sopra le pareti delle caldaie della nave, dove faceva caldo. Mi risvegliai di soprassalto a causa delle esplosioni provocate dalle tre cannonate che il Camicia Nera sparò verso la Puccini per affondarla, non essendo  possibile rimorchiarla in porto.  Al mio fianco c’erano altri naufraghi come me.

Ci fecero uscire l’acqua dai polmoni e ci diedero cioccolata e riso caldo. Poi ci concessero due ore di riposo a turno sui letti, per permettere a tutti di riposarsi. Quando arrivammo a Trapani,  io riuscii  a scendere da solo. Lungo il percorso, ai miei lati, erano allineate centinaia e centinaia di salme avvolte in sacchi di tela scura.

Rimanemmo per qualche giorno a Trapani e, dopo dieci giorni di licenza a casa, io fui mandato di nuovo a Torino, presso la Divisione Superga.

Nel mese di aprile arrivò la notizia che era stato ritrovato il corpo di Gino Lombardi. Era finito  su una spiaggia dell’isola di Pantelleria.

Nel nostro reggimento ognuno fece un’offerta e con i soldi raccolti fu realizzata una targa in legno. Al centro della targa ponemmo un foglio di alluminio (in quel periodo era praticamente impossibile trovare oro o argento), sul quale  furono incisi tutti i nomi di coloro che lo avevano conosciuto, e la inviammo alla sua famiglia.”

Per conoscere il nome del soldato di Macchia Vomano, abbiamo consultato gli elenchi dei deceduti in guerra nel Comune di Nerito-Crognaleto, al quale Macchia Vomano appartiene. In essi risulta, in effetti, che Loreto Colantoni, nato il 01/01/1922, è morto nel Mare Mediterraneo il 02/12/1942. Si tratta quindi, senza alcun dubbio, dello stesso Loreto, di Nerito, citato nel racconto. In questo elenco, però, non risulta un altro militare deceduto quello stesso giorno. Avendo constatato in più occasioni (tra cui questa relativa a Loreto) come i ricordi di Giuseppe siano precisi e lineari, allora i motivi di questa assenza possono essere diversi. Il soldato non era di Macchia Vomano, ma di qualche altro paese non del Comune di Crognaleto. Oppure potrebbe essere tra i dispersi. Oppure ancora, ed è forse la spiegazione più plausibile, il mare  lo trasportò vicino le navi inglesi ed essersi in questo modo  salvato, perché finito prigioniero.

Angelo Mastrodascio

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