Antichi mestieri alla Fiera della Pastorizia di Piano Roseto: la filiera tradizionale della lana

La lavorazione della lana7 luglio 2013 – Piano Roseto – Monti della Laga, ad oltre 1.250 m. di altitudine – 

155a  Fiera della Pastorizia, una manifestazione ufficialmente istituita nel 1837,  le cui origini risalgono  sicuramente a tempi molto più remoti,  Fiera che ripropone l’antico incontro settembrino tra i pastori della zona prima di partire per la lontana Puglia. Seguendo il ritmo stagionale scandito dalla transumanza, dopo mesi trascorsi nelle solitudine dei monti, i pastori, provenienti dai numerosi e allora popolati paesini del territorio con i loro animali e i commercianti provenienti dai centri più grandi di Montorio e Teramo,  si radunavano qui,  in questo immenso spiazzo, per confrontarsi e  per scambiarsi i prodotti, esenti da dazi e gabelle.  Alla fine degli anni settanta, quando fu ripresa la fiera,  il primo premio per  la razza sopravvissana fu vinto dalla azienda del pastore cerquetano, Francesco Di Cesare e il suo cane paratore (o toccatore), Lola, fu molto apprezzato durante la dimostrazione di conduzione del gregge.

Di Cesare con sua moglie Adelina ed il figlio Angelo durante la manifestazione

E da Piano Roseto, dalla possente fortificazione di Rocca Roseto,  partiva l’unico tratturo della zona  chiamato Rocca Roseto-Frisa diretto verso Montorio, Basciano, Cellino Attanasio, Pescara, fino a ricongiungersi, a Frisa in provincia di Chieti, al tratturo magno, L’Aquila-Foggia, denominato il Tratturo del re. Era in parte l’antica via de Bonano già nota nelle fonti medievali, in una carta del 1026, indicata come confine sino alla chiesa di Sant’Angelo in Sedino.

Una tipica capanna di pastori è stata sapientemente allestita fin da ieri e diversi oggetti del Museo Etnografico di Cerqueto fanno bella mostra di sé sia all’interno che all’esterno della capanna. Sono arnesi e strumenti  che raccontano la storia  e la vita del territorio, un viaggio nel tempo che fu ma un tempo non così remoto e lontano da molti di noi.

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Non è una presentazione né rigorosa né esaustiva  ma estremamente significativa nel riproporre all’aperto  i modi di vivere di tutti i nostri avi, un grande patrimonio di cultura e di conoscenza che i nostri predecessori ci hanno tramandato.
In lontananza una fila ininterrotta di stand gastronomici, compreso lo stand di Cerqueto; offrono i prodotti tipici e tradizionali della pastorizia, ciascuno con una presentazione particolare di prodotti caratteristici del territorio. E  non mancano gli altri elementi e i  richiami  delle feste popolari: il complesso che suona, le rivendite  di ogni tipo.

L’immensa pianura è in parte occupata dagli stazzi di razze ovine selezionate, valutate e premiate. Per tutta la giornata, dopo la funzione religiosa, celebrata dal vescovo di Teramo-Atri, Michele Seccia, con l’immancabile preghiera del pastore, alla capanna si respira un’aria festosa oltre che leggera e fresca, creata dalla affluenza di un pubblico numeroso e variegato.

Ovini alla fiera . Ph. Giuseppe Bianchini

Tra i diversi visitatori molti non fanno alcuno sforzo per ritrovarsi proiettati in questa realtà ormai scomparsa, e lasciano facilmente trasparire una soddisfazione malcelata per le ricreate  atmosfere quasi familiari, fatte di arnesi caratteristici, di mestieri antichi, impastate di lontani ricordi, di aie, di sudore, di duro lavoro, di momenti e luoghi che ricordano ancora con nostalgia e di tante curiosità quasi impensabili per tanti altri  giovani  visitatori appartenenti all’ ultima generazione.

Davanti alla capanna Romolo Intini e Elia Di Cesare offrono il loro valido contributo nel riproporre due momenti importanti e cruciali nella lavorazione della lana, quello della cardatura e quello della filatura. Con dedizione, abilità ed esperienza e una buona dose di manualità  si immedesimano nei due antichi mestieri, soddisfacendo la curiosità di grandi e piccoli. Gli scardassi, i ferri del mestiere per la cardatura e l’arcolaio o filatoio, insieme alle varie conocchie per la filatura, stimolano la curiosità dei visitatori e soprattutto dei più piccoli ed è ammirevole la costanza e il piacere incrollabili di Romolo ed Elia nell’insegnare ai visitatori i movimenti necessari.

La capanna dei pastori - Ph. Giuseppe Bianchini

Il cardatore o lo scardalana ha rappresentato la figura centrale dell’arte della lana. Esaurito il lavoro stagionale della propria zona dopo la tosatura estiva, infatti, gli scardalana, nel periodo di fermo lavori invernale, emigravano verso altri paesi, in piccoli gruppi, spostandosi di casa in casa o da un casolare all’altro, dove la loro opera era attesa. Il compenso, oltre al vitto e alloggio, era generalmente costituito soprattutto fino ai primi decenni del ventesimo secolo, più che dalla moneta, dai prodotti locali della terra. Secondo i racconti tramandati dai nostri nonni lo scardalana partiva caricandosi sulle spalle  i ferri del mestiere,  chiamati scardassi o cardi dal termine  latino carduus, poi cardus, cardo  (dipsacus fullonum),  genere di pianta terminante con delle brattee spinose al margine o all’apice, che, una volta essiccate, venivano usate fin dall’antichità per tirar fuori il pelo alla lana. Da qui poi il termine è passato ad indicare lo strumento per cardare vero e proprio. Altre due cose  erano importanti per lo scardalana da portare con sé: il il figlio da sfamare ed a cui doveva insegnare i posti dove poter lavorare ed il gergo tipico, conosciuto solo dai suoi compagni, per poter liberamente comunicare e parlare. L’opera  dello scardalana consisteva nel trasformare in un velo trasparente le fibre del vello della pecora, ponendolo a piccole quantità  sullo scardasso e pettinandole accuratamente, affinché si distribuissero in modo uniforme e nello stesso verso, il più possibile parallele le une alle altre. La lana veniva così preparata per le  trapunte inbottite  oppure magicamente formava due rotolini  di lana trasparente, quasi della lunghezza dei ferri, chiamate flachellë,  per rendere ottimale la successiva fase di lavorazione: la filatura. Questa veniva effettuata con altrettanta arte e maestria dalle donne con la conocchia o rocca e il fuso oppure con l’arcolaio o filatoio.

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Strumenti da sempre legati alla lavorazione della lana, del lino e della canapa e le cui immagini ci sono state trasmesse e descritte da tanti celebri opere pittoriche e letterarie, la conocchia o rocca e il fuso sono tra le prime invenzioni della storia.  Attrezzi femminile per eccellenza, la conocchia era utilizzata più anticamente ed era costruita con una canna suddivisa  nella parte alta in piccole parti e tenuta allargata da un’anima di legno. Su di essa la filatrice poneva la quantità di materiale da filare, che poteva essere il lino, la canapa o la lana. Dalla roccata le fibre grezze venivano tirate in modo da formare un nastrino, poi al fuso veniva impresso un movimento di rotazione e il filo veniva così tirato e ritorto per essere successivamente raccolto nello stesso fuso.

Il fuso e la conocchia nella mitologia classica hanno assunto anche un significato più ampio in relazione al destino e al tempo. Essi sono in mano alle grandi dee che  governavano i momenti della vita degli uomini, le Moire greche (le Parche per i romani), figlie di Zeus e Temi o, secondo altri di Ananke. Le Moire erano la personificazione del destino ineluttabile poiché avevano il compito di mettere in atto l’esistenza assegnata a ciascuna persona. Erano tre: Cloto, che in greco classico significa filo, filava lo stame della vita, Lachesi, che significa destino,  lo svolgeva sul fuso e Atropo, l’inesorabile, con lucide cesoie, lo recideva. La lunghezza dei fili prodotti variava come quella della vita degli uomini.

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Le macchine per filare usate nei nostri paesi di montagna fino a tutta la prima metà del secolo scorso  erano ancora praticamente le stesse che si usavano nel medioevo. Nella filatura a mano, realizzata con l’arcolaio a puleggia che aveva fatto seguito alla semplice conocchia con fuso fin dal 1200 un filatrice poteva filare solo un filo per volta:  con un braccio girava una ruota, che, a sua volta, faceva girare il fuso che torceva il filo; con l’altro braccio, tendeva il filo. La ruota poggiava su una piattaforma alla cui estremità era attaccato il fuso. Ogni tanto la filatrice doveva fermare l’azione della torcitura per avvolgere il filo. Questo non accadeva con il filatoio a pedale, comparso alla fine del ‘400 , col quale si poteva filare senza interruzione e più velocemente rispetto alla filatura a mano col fuso. Con il filatoio a pedale, il filo, nello stesso tempo, veniva torto e avvolto direttamente su una spoletta, che poteva  portare molto più filato del semplice fuso. Inoltre la filatrice, usando il pedale, aveva entrambe le mani libere e poteva torcere la fibra in modo più efficiente. Il filatoio a pedale poteva essere utilizzato anche per il lino e la canapa, ma dalle nostre parti era pressoché  sconosciuto o almeno non utilizzato.

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Nella seconda metà del XVIII secolo per la grande richiesta di filati per tessere, dovuta all’aumento della produzione dei tessuti,  erano state inventate anche macchine capaci di filare più fili contemporaneamente ma tale rivoluzione industriale non interessò affatto la nostra zona che produceva semplicemente per soddisfare le necessità della propria famiglia.

A riproporre in modo chiaro e semplice le varie fasi della lavorazione manuale della lana così come avveniva nei nostri paesi di montagna sono le sculture in miniatura delle varie fasi della lavorazione, realizzate in legno da Romolo Intini una decina di anni fa. Le riproduzioni,  che accompagnano Romolo in ogni manifestazione e di cui va giustamente orgoglioso, sono state incise a mano e sono quasi tutte di legno di faggio. Figure semplici, immediate e simboliche; esempio di arte popolare nel senso più completo e più profondo del  termine, in quanto espressione significativa del patrimonio culturale e sociale di tutto il popolo del nostro territorio, quel patrimonio ormai del tutto scomparso, che Romolo, consapevole di tutto ciò, vuole salvare e trasmettere .  Esse rappresentano le attività della cardatura, la filatura, la formazione delle matasse con l’aspo, la formazione del gomitolo.  L’aspo è un’asta verticale in legno, alle cui due estremità sono intersecati rispettivamente due segmenti più corti che terminano a forma arrotondata. Le due croci sono orientate in modo opposto. Sui bracci delle rispettive croci viene avvolto il filo da destra a sinistra fino ad ottenere una matassa lunga circa mezzo metro che verrà poi sfilata dall’aspo, posta sul raggomitolatore, detto anche arcolaio,  per la formazione di gomitoli.  Si potevano così finalmente lavorare ai ferri maglioni, magliette intime, cuturnë  (calze per uomo), calzette per donne, mantelline e tutto ciò che era necessario per ripararsi dal freddo.

 Museo della transumanza- Villetta Barrea (AQ)Per completare il ciclo della lana non possiamo dimenticare le fasi preliminari e complementari alle attività sopra descritte, che sono la tosatura delle pecore, la lavatura della lana grezza oltre al trattamento delle matasse prima di essere raggomitolate, come lo sbiancamento e la tintura. La tosatura delle pecore per prelevarne il vello si faceva generalmente una due volte all’anno, in primavera o all’inizio dell’estate e in settembre. Si cominciava presto per cercare di evitare le calde ore della giornata. Le  pecore venivano raggruppate in un recinto e ad una ad una venivano ‘mpasturatë cioè immobilizzate tramite le gambe legate e consentivano la tosatura in tutta tranquillità. La lana veniva tagliata vicino alla cute dell’animale, con forbici caratteristiche,  e il vello veniva così preso quasi per intero.

Prima di tosarle le pecore venivano sempre bagnate, ossia lavate perché la lana pulita, anche se pesava di meno, veniva pagata di più.  A Cerqueto il bagno delle pecore veniva fatto a Rio Ferroni o a Rio Macinella, e si cercava di sfruttare l’altezza dell’acqua che si accumulava in questi laghetti naturali. In due persone si prendevano le pecore di peso e si buttavano letteralmente nell’acqua costringendole a bagnarsi completamente e a rimanere nell’acqua qualche minuto. Fatto il bagno a tutto il gregge ci si rimetteva in cammino per il pascolo e il giorno successivo  di buon ora si procedeva alla tosatura.  Per l’uso domestico della lana seguiva un ulteriore  lavaggio  con acqua e sapone fatto in casa  per eliminare la lanolina, che rende la lana grassa e impermeabile facendo attenzione perché non infeltrisse.  La lana, anche se non cardata, veniva  scelta  con le mani, ossia  veniva resa soffice e omogenea allargandola con le mani e ripulendola per togliere le   impurità. Poteva essere  usata così per materassi e  cuscini.

Adina Di Cesare

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