Il cardo dei lanaioli

Capolino spinoso del cardo dei lanaioliIl cardo dei lanaioli o scardaccione (Dipsacus fullonum L.) è una pianta erbacea piuttosto vistosa, abbastanza comune nel nostro territorio, dove vegeta negli incolti umidi, spesso non lontano da torrenti o ruscelli. Il genere Dipsacus appartiene alla famiglia delle Dipsacacee ed annovera 15 specie di piante erbacee biennali o più raramente perenni, il cui areale di distribuzione comprende le regioni mediterranee, l’Europa e l’Asia. La denominazione di cardo attribuita nel linguaggio comune a questa pianta è invero alquanto imprecisa, in quanto oggi sono considerati veri cardi le specie facenti parte dei generi Carduus, Onopordum, Silybum, Cirsium ed altri affini, inclusi nella famiglia delle Asteracee. Il cardo dei lanaioli condivide con queste piante le grandi dimensioni e la presenza di numerose spine nell’infiorescenza, sul fusto ed ai bordi delle foglie, tuttavia le somiglianze si limitano solo a questi aspetti e per la restante parte si tratta di vegetali ben diversi.  Il cardo dei lanaioli nel pieno dello sviluppo può raggiungere l’altezza di 3 m, presenta fusto robusto e ramificato, munito di grandi foglie lanceolate, dentate sul bordo e spinose lungo la nervatura principale.

Le basi delle foglie opposte tendono ad abbracciare il fusto saldandosi tra loro nel punto d’inserzione, secondo una tipica disposizione definita connata. Nel punto in cui le grandi foglie si saldano si crea in questo modo una sorta di vaschetta o conca intorno al fusto, che si riempie di acqua piovana, caratteristica molto evidente durante i mesi primaverili. Il nome scientifico del genere Dipsacus, deriva proprio da questa singolare particolarità, Dipsacus significa, infatti, assetato, dal greco dipsa (διψα) ‘sete’. L’acqua accumulata all’ascella delle foglie, non rivestirebbe comunque il ruolo di riserva idrica, dal momento che queste piante tendono a vegetare in luoghi ove il suolo è umido, ma piuttosto quello di barriera contro gli insetti fitofagi, infatti, una volta giunti in corrispondenza di queste vaschette gli insetti che tentano si salire sui fusti di queste piante rimangono bloccati dalla presenza dell’acqua e tendono a cadere in queste raccolte di liquido, annegandovi. Sovente, infatti, le vaschette ospitano resti di insetti morti in via di decomposizione.

John Gerard, Botanica Mattioli 1597 -  Cardo dei lanaioli

Tutto questo ha portato ad ipotizzare che, come accade per alcune piante insettivore, Dipsacus sia in grado di assorbire i composti azotati forniti dagli insetti che si decompongono alla base delle foglie, per assicurarsi alcuni dei nutrienti indispensabili per il suo grande sviluppo. Le piante alle quali viene impedito di usufruire di questa fonte di composti nutritivi producono, infatti, meno semi. L’infiorescenza del cardo dei lanaioli è piuttosto diversa rispetto a quella dei veri cardi, consiste, infatti, in un grande capolino ovoide lungo fino ad 10 cm e largo 3 – 5 cm, costituito da fiori tubulosi di colore lilla o rosa carico, muniti di robuste brattee spinose più lunghe delle corolle. Alla base dell’infiorescenza vi sono alcune caratteristiche brattee, sottili e spinose che possono superare in lunghezza il capolino stesso. La fioritura, che ha luogo tra giugno ed agosto, procede in modo peculiare dalla fascia centrale o equatoriale del capolino verso i poli superiore ed inferiore contemporaneamente, inoltre, come accade per i veri cardi, i numerosi piccoli fiori richiamano molti lepidotteri ed imenotteri impollinatori. Alla fioritura segue in autunno la produzione di frutti, che sono acheni dotati di involucro quadrato. I semi sono molto ricercati da alcuni uccelli, in particolare dai cardellini (Carduelis carduelis L.), che nel ricercarli, durante la stagione invernale, ne determinano in parte la caduta al suolo con i loro movimenti, grazie ad uno speciale meccanismo a catapulta messo in atto dalle brattee irrigidite. Le caratteristiche infruttescenze, dette anche garzi, sono spinose per la presenza delle brattee indurite e permangono per mesi sulle piante ormai secche, spesso sino alla primavera successiva. Per la loro solidità fin dai tempi della civiltà egizia state utilizzate per cardare la lana e quest’impiego è proseguito per secoli nei paesi mediterranei ed in Europa. La parola stessa cardo sembra, in proposito, avere la stessa radice del verbo latino carminare ‘cardare a lana’. La denominazione specifica fullonum deriva invece dal latino fullo ‘addetto al lavaggio e finissaggio della lana’. Durante il Medioevo lo stesso Carlo Magno, con il “Capitulare de villis” dell’812 d. C. raccomandava la coltivazione del cardo presso le dimore degli agricoltori per la sua utilità nella lavorazione della lana. In questo periodo, soprattutto in Francia, si affermano vere e proprie coltivazioni di cardo dei lanaioli, che in questo modo viene sottoposto ad un’opera di vera selezione per renderlo sempre più adatto alla cardatura della lana. Si ottiene così una varietà dotata di garzi più spinosi ma più regolari, considerata poi una vera e propria specie distinta detta Dipsacus sativus (L.)Honckeny. Questa specie è stata coltivata anche in Italia, soprattutto nelle regioni settentrionali e talora si rinviene ancora oggi allo stato selvatico in quelle regioni. In Toscana la coltivazione del cardo dei lanaioli venne promossa soprattutto nel corso del 1800 da Sisto Bocci, proprietario del lanificio di Soci, rinomato per la produzione del Panno del Casentino. Tale coltura è proseguita fino agli anni ’60 dello scorso secolo ed ancora oggi le infruttescenze di Dipsacus sativus sono utilizzate per “garzare” la lana impiegata per produrre i pregiati tessuti di lana del Casentino.

Campo di cardi sulla montegna di Cerqueto

 Il cardo naturale, a differenza dei sostituti realizzati in acciaio o in altri materiali, possiede delle spine anche sulla superficie delle singole brattee e questo consente di ottenere tessuti particolarmente morbidi e lucenti, come quelli prodotti in Toscana. Altrove, già prima della Rivoluzione Industriale, si iniziò a condurre la cardatura a mano utilizzando i cosiddetti “cardacci”, due assicelle di legno irte di chiodi dotate di impugnatura. Sfregandole l’una contro l’altra o si provvedeva a districare l’ammasso di fibre di lana posto nel mezzo. Attualmente i “cardacci” sono muniti di sottili dentini in acciaio e ricordano alcuni tipi di spazzole per i cani. Attualmente, nella maggior parte dei casi la cardatura della lana viene svolta a livello industriale utilizzando macchine cardatrici meccaniche derivate dalla prima cardatrice meccanica a cilindri realizzata a Birmingham da Lewis Paul  John Wyatt nel 1760.

Nicola Olivieri

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