Il gallo cedrone, un simbolo del passato

Maschio di gallo cedrone- Ph. Jacopo RigottiDel gallo cedrone ormai nessuno sa più niente e nessuno lo conosce dalle nostre parti.  Il gallinaceo, chiamato  cedrone  in quanto il colore delle piume del maschio ricorda quello delle foglie verdi del cedro, ha un nome scientifico molto significativo, Tetrao Urogallus, che ci riporta ai boschi antichi e remoti. Il nome  greco Tetrao significa ”che schiamazza”  e si riferisce ai versi del gallinaceo durante le parate amorose; Urogallus sembra voler ricordare un bue selvatico europeo scomparso, dunque vorrebbe significare per estensione  grosso gallo oppure uro, come prefisso, potrebbe riferirsi alla bellezza della coda.

Nel corso dell’ultimo secolo la montagna  è stata trascurata, è stata abbandonata la selvicoltura e con essa  sono state abbandonate le cure del suolo. Sono cambiate le condizioni favorevoli all’insediamento del gallo cedrone, è cambiato il clima,  così il più grosso  della famiglia dei Tetranoidi, l’uccello galliforme, caratteristico  delle cime dolomitiche dei Monti della Laga e del Gran Sasso, delle Alpi nonché di altri rilievi montuosi dell’Europa centrale e settentrionale e dell’Asia nord-occidentale,  il maestoso gallinaceo, uno dei più antichi uccelli sulla terra, per molti di noi è solo qualcosa di misterioso, che appartiene al passato.
Attualmente in Italia è relegato quasi esclusivamente ad est della Valtellina,   nelle zone montuose del Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli,  ma  è in continua  e forte crisi. Di questo maestoso gallinaceo, simbolo della foresta  primitiva, a noi  di Cerqueto non resta che qualche dipinto su qualche antico piatto di ceramica e la riproduzione in ferro battuto, conservata al Museo di Cerqueto, frutto dell’arte sapiente dei maestri artigiani del nostro passato.

Rosina Lisii

E’ grazie alla preziosa testimonianza di Rosina Lisii, lucida novantacinquenne di Cerqueto, se sono venuta a conoscenza della presenza del gallo cedrone sulle nostre montagne almeno fino alla fine degli anni 20 del secolo scorso. Rosina si ricorda benissimo dell’urogallo.  Difficile da dimenticare! Di una bellezza sontuosa, tutto nericcio, con delle bellissime sfumature verdi sul petto e delle chiazze bianche sulla spettacolare coda. Le femmine invece hanno una colorazione più mimetica, grazie a tonalità molto fitte di marrone e di grigio delle piume. E Rosina ricorda anche molto bene il canto del maschio; lo aveva sentito mentre si cimentava nel suo tipico e  incantevole glu glu, un verso inconfondibile che sembrava uno schiocco. Perfetto il suo canto, dai toni piuttosto bassi e anche molto profondi, organizzati in fasi differenti : “il gocciolio, il trillo, lo schiocco e l’arrotondamento” (1). D’altronde come poteva essere diversamente essendo un inno d’amore, una esibizione per attirare le femmine? Era il mese di maggio, la stagione primaverile dell’amore per il gallinaceo. Lo vedeva Rosina proprio sopra al paese, dove il sottobosco diventava radura, in una porzione di foresta aperta,  in una zona ben definita denominata lë Fëntëcellë, sotto la Pianë dë lu Chërpënë, sopra lu Tërraunë. Era la stagione primaverile quando, disceso dagli alberi, dove si era ritirato durante la stagione della neve nutrendosi esclusivamente di foglie, il gallinaceo trascorreva le sue giornate  a terra, in continue corse tra gli sterpi e i bassi arbusti, alla ricerca  di cibo: frutti selvatici, semi, bacche, formiche e insetti vari, larve ed anche trifoglio. Ricorda benissimo Rosina la sua enorme e fastosa  coda, di cui faceva sfoggio spiegandola a ventaglio, proprio come quella del pavone. Forma corposa e becco molto robusto e arrotondato, ben visibile. Piatto con gallo cedrone tra grandi piatti castellani maiolicati - Tradizioni a Cerqueto  Cultura materiale- Regione Abruzzo/ Agricoltura e Foreste/ Ente provinciale per il turismo/Teramo -Illustrazione n. 115 Ma doveva guardarsi bene Rosina dal frequentare la zona delle Fëntëcellë perché sia Lucia dë Pësciarïllë, che abitava proprio all’estremità del paese e morta nel 1929, sia Giggino del  Colle,  con molta premura, le imponevano di allontanarsi da quella zona, perché troppo pericoloso era il gallo cedrone per i bambini. Egidio Tonnë (detto così dalla piccola statura e rotondità delle sue forme), figlio della menzionata Lucia, era spesso presente a queste parate del gallo cedrone insieme ad altri ragazzi.  I cerquetani sapevano bene che nel periodo degli amori, da metà aprile a metà maggio ed anche oltre, il gallo cedrone   assume un atteggiamento aggressivo e può essere veramente pericoloso.

Il gallo cedrone è considerato giustamente il simbolo della natura primitiva e incontaminata, ma fin dall’antichità è anche portatore di simboli e significati, che gli attribuiscono un fascino tutto particolare e estremamente profondo. Non è un caso che il grande poeta Montale gli  abbia dedicato una poesia e, grazie anche alle sue capacità canore, gli abbia attribuito simbolicamente il valore stesso della poesia. La poesia non deve avere connotati specifici e per essere vera e autentica deve avere e conservare la stessa ambiguità del gallo cedrone. E’ la salvezza che viene indicata non nella cultura o nei valori cristiani ma in basso, negli istinti, nella pura forza biologica, allegoricamente rappresentata dall’animale.
E’ una allegoria complessa quella del gallinaceo, capace di unificare il “cielo e la terra” (Il gallo cedrone di Eugenio Montale) , due mondi molto diversi. L’alto, il cielo, il luogo dello spirito contrapposto alla terra che è in basso, luogo delle umane passioni.  E il gallo cedrone  con la sua ambiguità, al limite tra specie diverse, per metà gallo, terricolo, e per metà uccello, volatile, rappresenta l’energia vitale derivante dalla capacità di mimetizzarsi, di modificarsi ora nell’una ora nell’altra forma.

Dualismo tipico delle filosofie e delle religioni antiche incentrate su anima e corpo, spirito e materia, Dio e uomo. E fin dall’antichità il gallo è sempre stato considerato animale sacro in molte culture; nella religione greca, in relazione a Esculapio, e in quella dell’Iran antico. Rispettato e venerato da molte tribù indiane, simboleggia la spirale di morte e rinascita, il ciclo infinito, proprio per il movimento della sua danza che sembra riprodurre il movimento di una spirale.  Il gallo serviva anche ad allontanare o ad annullare un’influenza maligna. Per la sua esuberanza sessuale trova posto nei riti di fertilità e nei riti matrimoniali sia in alcune religioni antiche, sia nel folclore europeo.  Nella tradizione iconografica, è raffigurato come simbolo della vigilanza o della combattività. Cedrone2E  le penne del gallo cedrone furono scelte dal Generale La Marmora, fondatore del corpo dei bersaglieri,  per i cappelli delle truppe come simbolo di ardimento, prodezza  e   vigilanza.

Vanitoso seduttore, superficiale e anche un po’ stupido, senza arte né parte, pessimo marito e padre,  lo rappresenta invece Verdone nel suo noto film-commedia Il gallo cedrone. Una rappresentazione del gallinaceo che cozza completamente con la tradizionale rappresentazione dello stesso come volatile intelligente, tenace e coraggioso, estremo difensore del suo territorio e del suo nido. E strida anche con la descrizione di elegante corteggiatore del gallinaceo fatta da ben noti etologi, biologi e ecologisti.
Una decodificazione del significato quella di Verdone, che, conservando la forza di espansione magica  del mito, diffonde sprazzi di luce crudele sui fumosi destini di noi moderni.

Adina Di Cesare

(1)  “Il Gallo cedrone: quattro anni di ricerche scientifiche nel Parco Naturale Adamello Brenta”  – Documenti del Parco – 19-

 

Lascia un commento