Itinerari – Cerqueto, Macchia Vomano, Aiello, Figliola

Itinerario Cerqueto, Macchia Vomano, Aiello, Figliola

 Nella loro attività i cardatori, specie quelli divenuti esperti dopo anni di quel lavoro, tendevano a percorrere tragitti noti e a recarsi in quelle  località rurali delle quali già in anticipo sapevano quali erano le probabilità di trovare lana da cardare ed in quali famiglie era conveniente recarsi.

Ogni gruppo di cardatori, in genere formato da tre o quattro lavoratori, aveva propri itinerari che nel corso degli anni potevano parzialmente cambiare, ma rimaneva spesso invariata la direzione principale verso la quale si recavano, consolidando e man mano ampliando un proprio bacino di utenza, come si direbbe oggi. Così molti, soprattutto i cerquetani, si recavano verso la Marche ed erano tantissime le rotte seguite dai vari gruppi, tanto da percorrere quasi interamente il territorio rurale marchigiano, in particolar modo quello delle provincie di Ascoli Piceno e Macerata. Oltre che in questi territori, i cerquetani si recavano anche verso alcune zone dell’attuale provincia di Rieti, all’epoca appartenenti al territorio aquilano. La provincia di Rieti è stata infatti istituita solo nel 1927, unendo territori appartenenti alla provincia di Roma tra cui la stessa città di Rieti, con territori appartenenti alla provincia di L’Aquila, tra cui Amatrice, Cittaducale, Leonessa e Antrodoco.

In misura ancora maggiore e capillare, i cardatori di Pietracamela, che erano di certo i più numerosi, si muovevano soprattutto verso le alte Marche, verso la Toscana, la Romagna, l’Emilia e nell’intera  provincia di Rieti. Tutti questi lunghi tragitti interregionali, o diretti verso “regni esteri” per dirla col linguaggio anteriore al 1860,  quando l’Abruzzo apparteneva al Regno delle Due Sicilie e le Marche allo Stato Pontificio, richiedevano enorme resistenza fisica e mentale. Si spostavano, infatti, camminando a piedi e trasportando pesi non insignificanti sopra le spalle e mediamente ogni due o tre giorni erano costretti a trovare nuovo lavoro e nuovo alloggio. Questo per mesi e mesi, cosa che di certo generava ansia e insicurezza.

Cercheremo, qui e nei prossimi numeri, di  “ripercorrere” alcuni di questi tragitti: quelli di cui conosciamo con più accuratezza, grazie ai racconti ed ai documenti, le varie tappe.

 Prima della partenza, veniva ovviamente preparato lo zaino, con tutto l’occorrente, controllati, ripuliti ed eventualmente rinnovati i cardi, gli attrezzi del mestiere, e collaudate le scarpe, elemento primo del moto, un po’ come si fa oggi con i pneumatici nel momento di intraprendere un lungo viaggio. Lo zaino di stoffa veniva normalmente riempito con alcuni cambi di vestiario: pantaloni, maglie, intimo e calzini rigorosamente di lana e qualche camicia. La giacca era unica e sempre indossata per non occupare spazio.  Nello zaino dovevano essere presenti anche rasoio, fiammiferi,  ago e filo, coltello, lampade a carburo per spostarsi di notte ed altre piccole cose indispensabili durante i mesi di lontananza da casa. L’ombrello da pastore era fissato all’esterno dello zaino, insieme ai cardi. Per alimentarsi durante  la prima parte del viaggio,  portavano anche piccole razioni di cibo. In seguito il cibo sarebbe stato offerto dalle famiglie che avevano necessità di cardare la lana. Queste procuravano anche l’olio per ungere la lana e naturalmente un posto per dormire.

Il sentiero per Macchia Vomano, Aiello e Figliola - Ph. Angelo Mastrodascio Dovendosi recare, nella maggior parte dei casi, verso le Marche, i cardatori di Cerqueto avevano all’inizio del viaggio, un percorso quasi obbligato, a parte alcune varianti meno consuete. Scendevano lungo la mulattiera che da Cerqueto portava al Vomano. Attorno al  1870, sul Vomano fu costruita l’attuale Statale 80, che collegava Teramo con L’Aquila. Lungo questa strada o, in precedenza, lungo la via Caecilia, risalivano il fiume fino al mulino, detto mulino Gennaro, che si trovava all’altezza di quella che oggi è la casa di Domenico Leonetti, appena dopo l’attuale  bivio per Poggio Umbricchio. Nell’arco di un chilometro lungo il corso del fiume c’erano all’epoca ben quattro mulini. Da valle verso monte: mulino Francuccio, recentemente restaurato dall’ente Parco e dalla Pro Loco di Poggio Umbricchio, mulino di Donato Evangelista, mulino Gennaro e mulino Di Battista.

Dal mulino Gennaro, scendendo al fiume, c’era un ponte, ora scomparso perché cancellato da una piena nel 1954. Quel ponte era un crocevia importante, perché lì confluivano le strade di quasi tutti i paesi a monte: Macchia Vomano, Piano Vomano, Aiello, Figliola, Crognaleto, Valle Vaccaro e così via. Del vecchio ponte scomparso sono rimasti solo i punti di attacco dei basamenti di entrambi i lati. Ricordo che mio nonno Giuseppe mi raccontava che una volta, partito nel mese di ottobre dopo giorni di forti piogge, incontrò parecchi problemi ad attraversare il fiume in piena, perché le sue acque quasi sopravanzavano il lastricato del ponte e una nebbia fitta impediva di vedere bene.

Risalendo il fiume lungo la sponda sinistra, fino all’altezza della contrada Reggimenti, si prendeva la strada verso Macchia Vomano, paese situato sopra un’altura della gola del fiume stesso

Il sentiero per Macchia Vomano, Aiello e Figliola - Ph. Angelo Mastrodascio In un pomeriggio di una domenica di fine marzo, Giovanni, Berardo ed io, abbiamo risalito questa vecchia strada, fino ad arrivare alla Macchia per poi dirigerci verso Aiello e Figliola.

Siamo partiti proprio a ridosso dell’agglomerato di case della contrada di Reggimenti. Dopo aver attraversato due ponti, uno più grande che oltrepassa il  Vomano ed uno piccolo che supera un torrente, costruiti nel 1925,  siamo arrivati al punto in cui la strada inizia ad inerpicarsi verso la Macchia. La strada è ancora praticabile, in quanto da alcuni anni è stata accomodata dall’Ente Parco, ma soprattutto perché fino a qualche decennio fa era regolarmente usata dagli abitanti della Macchia, e da quelli di Aiello e Figliola, per tornare ai loro abitati, dopo che a Reggimenti erano scesi dai pullman provenienti da Teramo o da Roma.

Questa mulattiera infatti, che collega Macchia Vomano alla nazionale, è  lunga circa 4 km, ma non è mai stata trasformata in strada carrozzabile, condannando così i tre paesi ad un destino prevedibile  e scontato. Sono quasi completamente disabitati per gran parte dell’anno, specie nel periodo invernale, per poi tornare a vivere solo per alcuni giorni nel periodo delle ferie estive. Possiamo dire che hanno anticipato il destino di quasi tutti i paesi della nostra montagna minati, anche e soprattutto, da una viabilità a dir poco mediocre e per nulla interconnessa. Attualmente il paese può essere raggiunto solo recandosi a San Giorgio (paese che ancora popolato proprio perché situato lungo una strada collegata a più paesi), situato a 1150 m s.l.m., oppure a Piano Roseto situato a 1300 m, per poi prendere il bivio che collega la provinciale alle tre località. Si incontrano in ordine, Figliola, Aiello ed infine, a circa 6.5 km da questo bivio, Macchia Vomano, il più grande dei tre.

La casa di Massimino Macinati - Ph. Giovanni Leonardi

Ritornando al nostro itinerario, salendo verso Macchia Vomano, si arriva, dopo circa un chilometro, alla vecchia casa, ormai abbandonata, di Massimo Macinati, un signore che abitava da solo e che tutti  quelli della mia generazione ricordano, perché spesso ritornava con il pullman da Teramo, quando noi andavamo a scuola. Massimino, morto nel 1991, è sepolto nel nostro cimitero per volere di sua sorella Erminia, la moglie di Eugenio Pacicco. Era un artista della pietra e i dintorni della sua casa sono pieni di muretti perfetti da lui costruiti. La casa è ormai quasi completamente avvolta dai rovi ed all’interno si trovano dimostrazioni della capacità di Massimino di lavorare la pietra, come il camino o gli archi nel muro, fatti per ricavare spazi dove appoggiare gli oggetti.
Macchia Vomano visto dalla mulattiera - Ph. Angelo MastrodascioSuperata la casa di Massimino, la strada diventa più impervia e con pochi tratti pianeggianti. Parte del   vecchio lastricato è ancora presente, come sono ancora presenti, anche se in parte diroccati, i muri di pietra ai suoi lati. La strada è comunque molto più lunga della mulattiera che porta a Cerqueto da San Giacomo. Dal sentiero si scorge in basso la linea serpeggiante della statale 80 ed in lontananza i paesi di Fano Adriano e Cerqueto, mentre guardando verso monte, appaiono le prime casa di Macchia Vomano.  Un grande albero di quercia posto alla sommità della salita segnala la fine del sentiero e la strada diventa pianeggiante e con alcune terre coltivate ai lati. Da qui si entra nel paese, proprio nel punto esatto dove passavano i nostri antenati.

La fine del sentiero e l'arrivo a Macchia Vomano - Ph. Giovanni LeonardiArrivati all’interno del paese,  sicuramente i cardatori si sarebbero informati se c’era qualcuno che aveva bisogno dei loro servigi. Essendo luoghi di passaggio quasi obbligato per tutti i cardatori diretti verso la Marche, in questi paesi non trovavano mai molto lavoro, ma comunque anche una sola richiesta li avrebbe fatto fermare per la notte. La Macchia in quegli anni contava una popolazione molto numerosa, circa 600 abitanti.

Oggi Macchia Vomano, situato a 868 m s.l.m., è un bel paese, con le abitazioni nella maggior parte dei casi ben restaurate e con vicoli caratteristici ed ordinati. La presenza della pietra arenaria, del resto, per la sua facile lavorabilità che permette di ottenere blocchi molto regolari, quasi come mattoni, favorisce il recupero in pietra. Nel nostro paese invece, così come a Cusciano e Pietracamela, avendo a che fare con pietre calcaree, molto più dure ed irregolari, questo tipo di recupero è più difficile e costoso.

Al nostro arrivo abbiamo incontrato alcune persone che erano tornate per il fine settimana e con le quali abbiamo chiacchierato e scambiato pareri e impressioni sui rispettivi paesi. Ci hanno rivelato che anticamente, prima del quattrocento, il paese si trovava spostato più a monte e più vicino ad Aiello. Quando un terremoto rese inagibili le case, il nucleo fu abbandonato ed il paese si sviluppò più a valle, dove si trova attualmente, mentre altri  abitanti si trasferirono ad Aiello, che aveva subito meno danni.
Scorcio all'interno del paese di Macchia Vomano - Ph. Angelo MastrodascioDalla Macchia non si scorge il nostro paese e viceversa. Personalmente non ero mai stato a Macchia Vomano e l’unica immagine che ne avevo era quella di alcune case che si intravedono dalla statale 80, mentre si scende da Tintorale a Reggimenti o quella del fumo lasciato in cielo dai fuochi pirotecnici durante la festa patronale.
Il crocifisso ligneo all'ingresso di Macchia Vomano - Ph. Angelo MastrodascioProcedendo  in direzione di Aiello, un bel crocifisso ligneo segnala l’inizio del paese di Macchia Vomano per chi proviene in macchina dalla strada asfaltata, nella direzione opposta alla nostra.

Da qui bisogna camminare per ben tre chilometri in salita, lungo la strada asfaltata che procede sul crinale, prima di arrivare al paese di Aiello.

I cardatori sicuramente conoscevano e prendevano scorciatoie tra i campi che permettevano loro di risparmiare tempo. Nonostante, come detto, i tre paesi sono quasi completamente disabitati, in questo tratto abbiamo notato diversi appezzamenti di terreno coltivati e lavorati, soprattutto a foraggio.Aiello - Ph. Giovanni Leonardi

Il borgo di Aiello (in passato chiamato Ajelli, 1083 m s.l.m.) è situato appena sopra la strada e vi si accede tramite una stretta deviazione dalla strada stessa. Al momento del nostro arrivo, in paese c’erano quattro persone. Una signora tornata da Roma insieme al marito, un signore, che conosce diverse persone di Cerqueto e che era venuto ad Aiello solo qualche ora per lavorare il suo orto e l’unico abitante fisso del paese. Oltre lui in realtà ci abitano anche due rumeni che lavorano come taglialegna.

Chiesa dei Santi Silvestro e Rocco ad Aiello - Ph. Giovanni LeonardiSi può immaginare cosa si può provare a vivere soli in un paese disabitato, con le strade deserte, ma ancora piene degli echi delle persone che si sono conosciute durante la vita ed ora lontane o scomparse.

La signora ricordava abbastanza bene, avendone sentito parlare da bambina, che ad Aiello arrivavano spesso i cardatori. Fino agli anni ’90 ancora usava scendere a piedi fino alla Statale per prendere il pullman che l’avrebbe portata a Roma o, viceversa, risalire  dalla Statale verso il suo paese. Al centro del borgo c’è la chiesa dei SS. Silvestro e  Rocco, costruita attorno al 1500 e alla fine del paese, in direzione della Macchia, c’è un altro piccolo agglomerato di case chiamato Cascatuccio. Di fronte, in lontananza, si vedono benissimo Cerqueto e Pietracamela.
Cerqueto visto da Aiello - Ph. Giovanni Leonardi

Lasciato il paese di Aiello, a nemmeno un chilometro, dall’altra parte della strada si incontra il bivio per Figliola, che è il più piccolo dei tre borghi. Se gli altri due hanno qualche residente, Figliola (1013 m s.l.m.) è completamente disabitata. E’ costituita da una ventina di case, delle quali molte sono state restaurate e quindi nel periodo estivo torna a vivere per qualche giorno. Anche ai tempi dei cardatori del resto Figliola aveva pochi abitanti, circa trenta o quaranta, stando a quello che raccontava mio nonno, che li conosceva tutti. Dopo poche centinaia di metri dal bivio, appena si arriva nel borgo, si incontra la chiesa di Santa Maria Maddalena del 1600, con pareti bianche e posta in posizione rialzata rispetto alla strada per cui vi si accede tramite un’ampia scalinata.
Figliola - Ph. Angelo Mastrodascio Alla fine del centro abitato, ma vicinissimo ad esso essendo in pratica l’ultima costruzione verso valle, c’è il piccolo cimitero, senza loculi ma solo con lapidi a terra, tra le quali, sull’erba che le circonda, si sente il leggero sibilo prodotto dalla corrente d’aria proveniente dalla gola del fiume.  Le ultime sepolture  risalgono agli anni ’50-’60. Tutte, tranne una particolare tomba di un cittadino e soldato veterano americano, evidentemente originario di Figliola, che porta la data del 2006.

Chiesa di Santa Maria Maddalena a Figliola - Ph. Giovanni Leonardi

A Figliola, nel pomeriggio inoltrato, è finita la nostra camminata e Figliola segnava la prima parte del viaggio dei cardatori, perché poi da li, attraversando altri paesi, si sarebbero diretti  oltre le montagne, verso le Marche, dove avrebbero lavorato per mesi.

 Angelo Mastrodascio

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