La breve esistenza di S. Gabriele

sangab10-11Il Santo degli Abruzzesi e il più abruzzese dei Santi nacque ad Assisi il 1° Marzo del 1838 dal padre Sante e dalla madre Agnese Frisciotti. La sua era una famiglia medio-borghese, di agiate condizioni, e che vantava nobili origini da parte della madre di Civitanova. Sante Possenti di terni si trovava ad Assisi per espletare il ruolo di governatore distrettuale, assieme a tutta la famiglia dal 1837.

Il futuro nostro S. Gabriele fu battezzato lo stesso giorno della nascita, nel fonte battesimale della Chiesa di San Rufino, dove era stato battezzato anche S. Francesco, e fu chiamato Francesco, Giuseppe, Vincenzo, Pacifico e Rufino.

Nel 1841 Sante Possenti chiese ed ottenne il trasferimento a Spoleto, con la carica di giudice di pace, per giudicare le cause civili che Sante onorò con la sua condotta integerrima.

La vita dei Possenti era semplice e vissuta nella preghiera, come racconta lo stesso S. Gabriele al suo padre spirituale Norberto. Francesco si nutre di preghiera e di santi propositi, nella scuola di papà e mamma, assieme agli altri fratelli e sorelle, due più grandi di lui, Luigi ed Enrico, diventarono sacerdoti. La devozione per la Vergine Addolorata, per la Passione di Gesù, per il Santissimo Sacramento, accompagna Francesco per tutta la sua brevissima vita. Perde la madre a causa di una meningite a 4 anni e la sorella Luisa, di 9 anni più grande, supplì al ruolo materno.

Una seri di altri lutti familiari gettò Francesco nel dolore e nello sconforto, alimentando in lui, ancora adolescente, la riflessione sulla caducità della vita e sulla dimensione effimera e illusoria di ogni bene terreno. Soffrì per la scomparsa del fratello Lorenzo, morto suicida a Roma nel 1853, poi per la morte della sorella Luisa di 26 anni a causa di una malattia improvvisa.

Questi tristi eventi, sicuramente diedero origine alla sua vocazione religiosa, come ci racconta Monsignor Battistelli, uno dei primi biografi del Santo che, nonostante i lutti, continuò a partecipare agli eventi culturali e mondani di Spoleto. Andava a caccia con gli amici, alle rappresentazioni teatrali, alle conversazioni serali, che si tenevano nella propria casa e in quelle delle altre famiglie di riguardo della città. Dimostrò doti non comuni di attore per la perfetta dizione, per la vivacità espressiva e per il portamento amabile e spontaneo. A scuola, nelle recite di fine anno era sempre tra i più brillanti. Si guadagnò la fama di ballerino, poiché era molto agile e disinvolto nei movimenti. Bello e attraente, gioviale nel carattere, un gusto raffinato e impeccabile donava al giovane Francesco compagni allegri e spensierati come Parenzio Parenzi e Filippo Giovannetti, che gli rimarranno fidati per tutta la vita. Ma Francesco non era solo divertimento, nell’intimo della sua coscienza si preparava per ben più alti ideali. Frequento dal 1850 al 1856 il Collegio dei Gesuiti con profitto e diligenza, dopo essere andato nelle scuole elementari dei fratelli delle Scuole Cristiane e un biennio di Grammatica (1848-1850) presso un precettore privato. Ottenne sempre un profitto eccellente, coronato da premi e da una medaglia d’oro vinta in una gara di latino.

La preparazione che Francesco raggiunse nel Collegio gli consentì di affrontare gli studi filosofici e teologici, propri della Congregazione dei Passionisti.

Il 22 Agosto 1856 mentre per le vie di Spoleto veniva portata la Sacra Icona della Madonna, che si rivolse a Francesco, che le aveva diretto lo sguardo, con queste parole: “Ma tu non sei fatto per il mondo. Che fai nel mondo? Presto, fatti religioso!”, ebbe chiara la via da seguire. Il 10 Settembre 1856 entrò nel noviziato di Morrovalle, tra i Passionisti, dopo aver salutato tutti gli amici e Maria Pennacchietti, verso la quale aveva nutrito un’amicizia speciale.

Resto a Morrovalle 2 anni, sotto la guida del maestro Raffaele di S. Antonio, e professò i voti il 22 Settembre 1857, aiutando il maestro nell’insegnamento ai confratelli della lingua latina, considerata l’ottima preparazione di cui era provvisto. Partì alla volta di Pievetorina il 20 Giugno 1858, sotto la guida del padre Norberto di Santa Maria. Restò a Pievetorina per un anno circa e vi studiò la filosofia secondo i dettami della congregazioni dei Passionisti, che rispecchiava la dottrina di S. Tommaso d’Aquino.

Il 10 Luglio 1859 il confratello Gabriele che, prendendo i voti, aveva preso un altro nome, arrivò ad Isola di Penne (così si chiamava Isola del gran Sasso ai tempi di S. Gabriele, cioè durante il riassetto dell’unità della nostra Italia) per intraprendere altri studi, oltre la teologia, come la cosmografia, la geometria, la geografia, la chimica e la fisica sperimentale.

Dalla lettera di S. Gabriele scritta al padre il 26 Febbraio 1860 si evince la data dell’inizio del corso di teologia che il Santo non riuscì a terminare perché il 27 Febbraio 1862 morì, mentre il corso sarebbe terminato solo nel 1863.  Né riuscì a diventare sacerdote che pure era previsto entro il Natale del 1861, per una legge del Regno delle due Sicilie, che stabiliva che solo i chierici che potevano vantare un “patrimonio sacro” annuo, del valore di 50 ducati (equivalenti a 252 lire),  potevano accedere agli ordini superiori. S. Gabriele era legato al voto di povertà e per ricevere l’ordinazione sacerdotale doveva quindi tornare nelle Marche, ma non fece in tempo. Ricevette gli ordini minori nella Cattedrale di Penne il 25 Maggio 1861 dal vescovo Vincenzo D’Alfonso.

S. Gabriele aveva una vastissima cultura, conosceva la “Divina Commedia”e aveva letto molti testi di narrativa contemporanea tra i quali “ I Promessi Sposi” del Manzoni, il “Marco Visconti” del Grossi e tanti altri. Durante il periodo isolano si nutrì di opere teologiche, finalizzate alla sua formazione spirituale: lo attraevano in modo speciale tutti i libri sulla Vergine Immacolata. La devozione per la Madonna Addolorata, appresa dalla nonna paterna Vincenza Fantozzi, è stata il raggio illuminante di tutta la vita del nostro Santo, che faceva ardere una lampada innanzi la Santa Immagine, che teneva nella sua camera.

“Ad Iesum per Mariam” è il motto della Congregazione dei Passionisti e S. Gabriele l’ha fatto suo fino a cercare la sofferenza fisica nella sua profonda devozione, perenne e fervida.

Nel periodo passionista lesse e rilesse molte opere mariologiche: “Le Glorie di Maria” di Sant’Alfonso Maria dei Liguori (l’autore di “Quanne nasciette ninno”), “L’Amore di Maria” di padre Roberto Camaldese, “Il Mese mariano” del Muzzarelli, “Le Massime” di S. Alfonso che tenne sempre vicino al capezzale assieme al “Le Glorie di Maria” fino alla morte. Un brano mariologico attribuito a Tommaso da Kempis era ripetuto sempre dal Santo:

“Con Maria ricercate Gesù,
 Con Maria andate a Gerusalemme,
 Con Maria rimanete sotto la croce di Gesù”.

La meditazione sui dolori di Maria era per lui “Il suo Paradiso”. Sapeva di morire presto perché aveva la tubercolosi e a quanti gli chiedevano della sua malattia rispondeva così:

“Se volete che parli come la sento, non mi dispiace morire, anzi tempo che nel gusto che ci sento, ci sia l’amor proprio”. La grave malattia non offuscò minimamente l’interiore serenità spirituale, espressa dal sorriso che ne caratterizzò l’agonia e il trapasso. Il Dott. Reginaldo Rossi di Tossicia aveva applicato tutta la sua scienza ippocratica per salvare il Giovane Santo ma ormai il morbo aveva consumato e minato il fisico. Il padre Norberto aveva convocato un consulto di medici guidati da Parrozzani e dal Dott. Gaetano Tartagliozzi, professori specialisti, ma fu tutto inutile. Il bacillo di Koch, incubato forse nell’adolescenza, unito alla scarsa alimentazione e ad altre sofferenze fisiche e agli stenti rubò alla vita tante giovani vite.

Molti ebbero la fortuna di incontrare S. Gabriele nel convento di Isola che una tradizione vuole fondato da S. Francesco d’Assisi prima che si recò a Greggio per fare il primo presepio.

Tutti parlano di uno portamento umile e dimesso dedito alla più rigorosa osservanza della regola passionista e del “Consolatore dei poverelli”.

Don Ciaranca che si recava al convento racconta che invitava spesso a mangiare un gruppo di quattro studenti, di cui faceva parte anche Gabriele, a casa sua. “Gli altri mangiarono normalmente mentre Gabriele bevve appena qualche goccino di vino, e, dell’arrosto cotto ai ferri, ne inghiottì quanto un uccellino. Egli stava in questa terra ma colla mente in cielo”.

La testimonianza di Saverio Tortella, nativo di Pretara, attesta l’inclinazione di Gabriele per le mansioni più umili. Il Tortella era stato assunto nel 1861 dai Passionisti come garzone. Ogni giorno usava condurre il gregge al pascolo nei prati vicini al convento, racconta che il Santo per molti giorni, prima che si allettasse per la grave malattia, si unì a lui per condurre l’armamento al pascolo, accompagnandolo fino ad una cera distanza e al momento di separarsi gli ripeteva di pregare la Vergine con tre “Ave Maria” e al ritorno, la sera, Gabriele lo aspettava per chiedergli quante volte aveva salutato la Vergine.

Agli studenti che incontrava a Fano, a Corno, a Cesa di Francia raccomandava di recitare il Santo Rosario. Amava parlare con i contadini ed i pastori dei paesi vicini ad Isola. Cercò di consolare un detenuto di Colliberti che si lamentava di essere stato ingiustamente imprigionato. Francesco Dionisi di Pretracamela racconta: “L’anno 1862, stando nel ritiro di Isola, strinsi amicizia con Confratello Gabriele, che era molto malato ma affabile e benigno e desideravo conversare con lui”. Il Dionisi riferisce che parlavano di filosofia e che il Santo lo invitò a studiare mostrando “cultura e intelligenza”. Il Dionisi apprese della morte di Gabriele mentre si trovava nell’Università di Napoli per studiare medicina e ne rimase molto scosso, conservandone il ricordo per tutta la vita.

Di San Gabriele possediamo i seguenti scritti: le Lettere, i Propositi e il Simbolo Mariano.

Le Lettere sono 41 per il padre, per il cugino Pietro, per il fratello Michele e raccontano la vita del Santo. I Propositi sono 40 Massime, le cui fonti erano le Massime di perfezione e santità del padre Bernardo Spinelli, passionista anche lui.

Il Simbolo Mariano era chiamato dal Santo “Simbolo della Madonna”. Fu scritto da S. Gabriele a Isola. Il testo consta di una serie di pensieri dedotti dai Santi Padri e dai dottori della Chiesa, che costituiscono altrettanti atti di “credo” nella qualità e nei pregi della Vergine. Per testimoniare il suo ardente amore alla Vergine, lo portò costantemente sul petto, cucendolo nell’abito. Subito dopo la sua morte fu considerato Santo dal popolo.

Rema Di Matteo

 

Lascia un commento