La leggenda di Santa Reparata sul Gran Sasso e le Verginelle

Il primo a parlare di Santa Reparata nel suo Martirologio fu Beda il Venerabile. La dodicenne giovinetta, di nobile stirpe, fu perseguitata, martirizzata e uccisa dagli sgherri di Decio, Imperatore romano, il giorno 8 ottobre del 250 d.C., perché si era rifiutata di sacrificare agli dei pagani ed aveva manifestato la sua fede in Gesù di Nazareth, che la sua anima raggiunse in Paradiso, sotto forma di una bianca colomba. Il suo culto si diffuse, durante il Medioevo, in molte città europee ed in molte località italiane. In Francia, a Nizza, dove sorge la bellissima cattedrale di Sainte Réparate, una leggenda narra che il corpo della Santa sarebbe arrivato in quel luogo su una barca guidata da angeli, dopo che gli aguzzini l’avevano mandata alla deriva. Anche la chiesa più famosa di Firenze, Santa Maria del Fiore, era stata intitolata a Santa Reparata dal vescovo Zenobio quando i Fiorentini, per intercessione della Santa, riuscirono a respingere gli Ostrogoti. È proprio in Toscana che la santa è rappresentata in opere molto importanti eseguite da Arnolfo di Cambio, Andrea Pisano, Andrea Pissignano ed altri. Santa Reparata è patrona di Nizza, di Atri, di Teano e compatrona di Firenze con San Giovanni Battista e compatrona di Cerqueto con il nostro S.Egidio.

Una sessantina di anni fa nonna Maria ci raccontava che Reparata era la più piccola di sette sorelle che assistettero alla morte di Gesù e, dopo la Resurrezione, lasciarono la Terra Santa e si sparsero un po’ dovunque per testimoniare la nuova religione. Durante il viaggio queste sante donne compivano miracoli di ogni genere, anche quelli che servivano per procurarsi il cibo.Una di esse, mentre pescava, cadde nel mare. Non sapeva nuotare ma S.Pietro stesso, il grande pescatore di anime, la salvò mettendole tra le braccia un grosso pesce che sfamò tutte. Un’altra sorella fu colpita da uno strano morbo che stava per farla morire ma alcune gocce di pioggia la guarirono. Ripresero il cammino e dopo giorni e giorni di sacrifici, raggiunsero la Francia. Si recarono al monastero fondato da Maria di Betania, che accoglieva i bambini abbandonati, figli di soldati e di mamme, uccisi nelle battaglie della vita e della guerra. Reparata rimase per un po’ di tempo in Provenza, poi si rimise in viaggio ed approdò alle foci del Tevere con due sorelle, Annunziata e Consolata. Trovò molta accoglienza tra i contadini dell’Agro Romano ma il suo desiderio era vedere il luogo dov’era stato crocifisso San Pietro. Con le sorelle raggiunsero il luogo santo e conobbe diversi cristiani che la nascosero nelle catacombe per salvarla dai soldati imperiali che giravano per Roma con l’ordine di “scovare” i cristiani per darli in pasto alle belve del Colosseo. Santa Reparata rimase per molto tempo nelle catacombe (pare quelle di San Callisto) e qui curava i malati, aiutava tutti e compiva tanti miracoli. Guarì dalla lebbra diverse persone, allontanò un leone che stava per divorare un bambino, salvò un uomo che stava per annegare.

Un bel giorno decise di riprendere di nuovo il viaggio e, sempre a piedi, raggiunse i nostri colli. Dovunque andava faceva del bene. Un pastore si innamorò della bella giovinetta ma lei aveva deciso di restare la sposa di Gesù e quindi, per fuggire agli occhi del pretendente, si rifugiò in una grotta, alle pendici del Gran Sasso, dove trovava, con l’aiuto di Gesù e delle due sorelle Annunziata e Consolata, il necessario per sopravvivere al clima e alla fame. Solo il sole riscaldava le sue membra giovani ma rattrappite dal freddo e dagli stenti. Una sera, però, Santa Reparata volò in cielo. Tutte le campane dei paesi intorno iniziarono a suonare a festa e gli angeli scesero dal cielo per accompagnare l’anima della santa e le anime delle sorelle in Paradiso. Nacque così la leggenda delle campanelle di Santa Reparata e degli spiriti buoni che aiutarono l’antico popolo di Cerqueto, rispettoso e adoratore dei suoi santi, a costruire la chiesetta in onore della nostra santa. La chiesa sorge ad oltre 1000 m. sul livello del mare, circondata dal profilo indimenticabile dei nostri monti. Ha una sola navata, un bel soffitto a capriate a nudo, un importante portone e un vecchio cancello, che rimanevano aperti l’ottava di Pasqua e l’8 ottobre quando si andava in processione ad ascoltare la messa che il sacerdote celebrava nella chiesina. Si portava la statua a piedi, si cantava e si pregava con fatica: la strada che da Cerqueto porta a Santa Reparata è molto ripida ma la devozione vinceva lo sforzo e il fiatone.  A Santa Reparata si andava anche nei 3 giorni che precedevano l’Ascensione. Ricordo il vecchio parroco, Don Ruggero, che con la sua bellissima voce cantava le Rogazioni e noi rispondevamo sempre camminando per l’acciottolato bagnato dalla rugiada di maggio e adornato di primule, che vigorose spuntavano tra l’erbetta.

Le  Verginelle

A Cerqueto, quando in famiglia si ammalava qualcuno di un male “serio” o quando si doveva superare qualche difficile prova o semplicemente per ringraziare si mandavano le “verginelle” di Santa Reparata. Anche i Cerquetani emigrati in America e in Canada chiedevano di mandare le “verginelle” per chiedere l’intercessione della Santa.
Le “verginelle” erano delle bambine di Cerqueto che avevano già fatto la Prima Comunione e che conoscevano quindi le preghiere di tutti i giorni e sapevano rispondere al S.Rosario, recitato da una donna adulta che sapeva pregare e che godeva di una certa fiducia da parte di tutti.
La famiglia “mandante” o la persona pensava a invitare le bambine. L’appuntamento era sempre nel Piano Santo. Prima di partire si scrutava bene il tempo, già osservato scrupolosamente la sera prima. In ordine e con il segno della croce si iniziava il percorso. Si portava soltanto una boccetta d’acqua, un golfino, una sciarpina di lana di pecora fatta a mano, che riparava dal venticello, e tanta, tanta buona volontà perché il cammino non era dei più facili e si doveva rispondere al Santo Rosario, rigorosamente in latino. Ho partecipato diverse volte a questo rito.
Si arrivava a Santa Reparata dopo un’ora abbondante e ci si inginocchiava tra i banchi polverosi ed ammuffiti per rispondere all’ “ora pro nobis” delle litanie. Dopo aver invocato la grazia “commissionata” si tornava, attente a non cadere tra i sassi che le gelate avevano reso più pericolosi (ci si andava in tutte le stagioni).
All’ora di pranzo si ritornava dalla famiglia del “mandante” per gustare “lu brode di gallina ’nghë li scarpellë ‘mbossë” e le immancabili cotolette panate che anche “a li cunzulë” non mancavano mai. Forse perché sono buone anche fredde! La fame, la fatica, la giovinezza rendevano quel pranzo eccezionalmente “squisito”. “Magnaitë li fijjë mè e stetë cuntentë ca giovanë come uojjë ’ngë magnaitë chiù” – (Mangiate flglie mie e state contente che giovani come oggi non ci mangiate più). Per ringraziare la famiglia, la “Rosariaria”, la donna che ci aveva accompagnato, diceva:  “Santarparata të l’armedië”, “(Santa Reparata ti ricompensi del bene che ci hai fatto) – “Arvëdeccë” (Arrivederci) e la piccola assemblea si scioglieva.

Rema Di Matteo

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