La roverella (Quercus pubescens Willd.), la quercia più comune nel nostro territorio.

La vegetazione arborea attualmente presente sul territorio teramano appare dominata da poche specie che tendono ad avvicendarsi a seconda dell’altitudine nell’ambito di un quadro piuttosto semplificato e prevedibile. Alle quote medie gli alberi più diffusi sono le querce, presenti un po’ ovunque, sia come piante isolate nei campi e nei prati, che come componenti di mantelli boschivi generalmente di limitata estensione. In Abruzzo le querce (genere Quercus) sono rappresentate da varie specie, caratterizzate da aspetto ed ecologia piuttosto differenti, tra esse l’entità che oggi è più diffusa, in un certo sento quasi ubiquitaria, è senza dubbio la roverella (Quercus pubescens), la quercia più nota e familiare dei nostri ambienti collinari.
La roverella è la quercia che con esemplari spesso annosi scandisce i bordi delle strade campestri, si affaccia sul limitare dei coltivi, si erge sulla sommità dei colli, troneggia isolata nelle pianure (foto n. 1). Un albero frugale, non invadente, lento nella crescita, tollerante nei confronti delle potature e delle bizzarrie climatiche.

Una presenza discreta dei nostri paesaggi più autentici, un elemento caratterizzante quasi quanto lo sono i cipressi per le colline toscane, persino idealizzato nelle chiome morbide delle grandi querce che segnano i tipici scenari agresti raffigurati nelle ceramiche di Castelli (foto n. 2). Scenari che costituiscono una sorta di topos artistico della ceramica abruzzese, eco fissata di un mondo nel quale le querce camporili erano più diffuse e rispettate, anche perché rappresentavano una importante risorsa per l’economia delle comunità rurali.  Come i cipressi nei paesaggi toscani anche le roverelle delle colline adriatiche sono presenze statiche, che sfidano il trascorrere del tempo subendo cambiamenti quasi impercettibili nel corso degli anni. L’aspetto della roverella tende, infatti, a variare poco nel tempo, soprattutto quando la pianta è giovane, perché inizialmente la sua crescita è molto contenuta. Solo in seguito, quando nel giro di un periodo piuttosto lungo l’albero ha raggiunto proporzioni ragguardevoli, la velocità dello sviluppo aumenta e la pianta si accresce più rapidamente, ma in questa fase riesce più difficile coglierne le variazioni di dimensioni, purché l’accrescimento della chioma si distribuisce in tutte le direzioni senza modificare troppo la sua forma.  La lentezza dello sviluppo e l’adattabilità alle diverse condizioni sono tra le caratteristiche che maggiormente hanno influito sul successo di questa quercia negli ambienti antropizzati, dove la roverella rientra tra le poche specie d’alberi spontanei accettati e rispettati.

Sul rapporto positivo intercorso tra l’uomo e questa pianta hanno pesato nei tempi trascorsi i vantaggi offerti dall’impiego dei suoi frutti nell’alimentazione dei suini, l’uso del legno come combustibile dotato di elevato potere calorico e la possibilità di utilizzarne le fronde per l’alimentazione del bestiame in caso di necessità. In passato le ghiande dal sapore quasi dolciastro della roverella sono state utilizzate anche per l’alimentazione umana. Sotto forma di farina furono, infatti, impiegate per produrre pane o polenta almeno fino ai primi anni del 1900 in alcune aree delle Marche e fino agli anni cinquanta della stesso secolo furono usate per la panificazione in alcuni settori della Sardegna. Questo uso, probabile retaggio di epoche molto remote, addirittura precedenti alla diffusione della cerealicoltura, fu sicuramente molto più esteso durante i periodi di carestia. In Abruzzo si ha notizia dell’utilizzo a scopo alimentare delle ghiande di Quercus virgiliana, una specie abbastanza simile alla roverella, tanto da essere considerata da alcuni semplicemente una sua forma, dotata tuttavia di distribuzione molto più sporadica. Quest’albero localmente è indicato con l’appellativo di “quercia castagnara” per il sapore dei frutti, che con la cottura diviene simile a quello delle castagne. In alcune aree dell’Africa settentrionale, del Medio Oriente e dell’Estremo Oriente il consumo umano delle ghiande prodotte da qualcuna delle oltre 600 specie di querce presenta ancora oggi una certa diffusione, tanto che questi frutti compaiono nei mercati, mentre presso i popoli nativi della California l’utilizzo delle ghiande come scorta di cibo per la stagione invernale rivestì una notevole importanza fino a periodi relativamente recenti. Il maggiore ostacolo all’utilizzo a scopo alimentare delle ghiande è il loro gusto amaro, dovuto alla presenza di acidi tannici, composti dotati anche di una certa tossicità nei confronti dell’uomo e di alcuni animali domestici. Solo tramite bollitura ripetuta, talora effettuata con l’aggiunta di cenere o argilla, era possibile allontanare da questi frutti buona parte dell’acido tannico, che è solubile in acqua, rendendoli più accettabili per il palato umano.

Già in epoca romana era consuetudine lasciare boschi di querce, silvae glandariae, ai bordi delle aree coltivate, dove la produzione di ghiande rappresentava un’importante risorsa alimentare per i suini lasciati al pascolo. Le ghiande della roverella risultano più gradite a questi animali rispetto a quelle amare e meno appetibili prodotte da altre specie di quercia. Questa differenza di gusto si è rivelata fondamentale ai fini del favore accordato alla roverella nella gestione della copertura vegetale ed al declino cui è stato invece condannato il cerro (Quercus cerris), altra quercia un tempo molto diffusa nel territorio teramano.  Per il cerro, per la roverella e per altre specie appartenenti al genere Quercus esistono o esistevano in passato nel nostro territorio precise denominazioni dialettali, che testimoniano la capacità distinguere alberi solo apparentemente piuttosto simili, ma nella realtà dotati di caratteristiche ed esigenze alquanto differenti. Queste differenze hanno influenzato in modo positivo o negativo le interazioni con le comunità umane, condannando all’estinzione locale specie grandi ed esigenti come la farnia o ischia (Quercus robur), il rovere (Quercus petrea) e forse il farnetto (Quercus frainetto), alberi che sottraevano i terreni migliori alle colture e decretando invece il successo della più modesta e adattabile roverella.
Per i dialetti abruzzesi, così come per quelli di gran parte dell’Italia centrale, la roverella è ora la quercia per antonomasia. Essa viene indicata, in genere, con il termine cerqua o cerca, attestato anche nell’italiano antico, che deriva per metatesi da quercia. Questa voce è all’origine di numerosi toponimi, che testimoniano chiaramente la passata diffusione del querceto. Un bosco costituito da grandi roverelle era indicata con il termine dialettale cerqueto, fitonimo che è all’origine del nome di Cerqueto. Effettivamente intorno all’abitato di Cerqueto le roverelle appaiono ancora oggi molto diffuse, sebbene siano scomparsi gli esemplari più vetusti che in passato dovevano distribuirsi numerosi lungo i versanti della valle del Vomano. Le grandi querce, riunite in boschi d’alto fusto, rappresentarono un’importante risorsa in passato, quando era praticato l’allevamento brado o semibrado dei suini. Questa forma di allevamento tradizionale che rappresentava un’ importante componente dell’economia delle comunità montane, conferiva ai boschi di querce un valore produttivo che progressivamente è venuto meno con la scomparsa della suinicoltura semibrada durante il secondo dopoguerra. Questo ha determinato la graduale scomparsa dei raggruppamenti di grandi roverelle, con la conversione dei boschi d’alto fusto in modesti boschi cedui, più funzionali per la produzione di legna da ardere, che solo localmente tendono ad invecchiare. Le condizioni climatiche submediterranee ed il substrato calcareo-marnoso, piuttosto permeabile, che caratterizzano il settore iniziale dell’alta valle del fiume Vomano, risultano decisamente favorevoli all’affermazione della roverella, che forse grazie anche ad un preciso indirizzo nella gestione della copertura boschiva attuata localmente nei secoli passati, vi ha trovato una larga diffusione. Ancora oggi i versanti assolati che si stendono a poco a valle dell’abitato di Pietracamela ospitano formazioni boschive rade di roverella a tratti costellate di esemplari annosi, molto importanti dal punto di vista ecologico. Una imponente esemplare di roverella si poteva osservare fino al 2007 sul versante opposto della vallata, in località Piano Vomano, nel comune di Crognaleto, a circa 700 m di quota, dove era noto con l’appellativo di quercia “Mazzucche”. Questo patriarca vegetale raggiungeva un’altezza di circa 20 m ed aveva una circonferenza del tronco che sfiorava gli 8 m e si stimava avesse un’età di circa cinque secoli. Era un albero vetusto, ma deperiente, segnato dalle folgori e soffocato dall’eccessiva proliferazione dal vischio quercino (Loranthus europeus), una pianta semiparassita frequente sulle roverelle isolate. La siccità dell’estate 2007, insieme all’azione dei parassiti xilofagi forse ne determinò la caduta, ma la necromassa del suo gigantesco tronco, lasciato in loco, continua ad alimentare un importante comunità di organismi viventi. Anche i versanti della non lontana valle del Mavone, affluente del Vomano, caratterizzata da un clima più umido e piovoso, ospitavano alle quote medie formazioni boschive ricche di grandi roverelle, oggi solo in parte sopravvissute, la cui memoria permane nei nomi di paesi come Cerchiara, derivante dal latino Quercularia.
La roverella (Quercus pubescens), come le altre querce, il faggio (Fagus sylvatica) ed il castagno (Castanea sativa), appartiene alla famiglia delle Fagacee, raggruppamento che riveste un ruolo di grande importanza nell’ambito della vegetazione arborea in Europa e nelle zone temperate. Quercus pubescens è una specie di quercia adattata alle condizioni di aridità degli ambienti mediterranei, è diffusa, infatti, soprattutto nell’Europa mediterranea, nella Francia meridionale, nella penisola italiana, sul versante meridionale delle Alpi e nell’area balcanica. In Italia è presente in tutte le regioni, isole comprese, tuttavia, mentre nelle aree settentrionali si rinviene solamente nelle aree più calde ed asciutte, ad esempio nella fascia prealpina, nelle regioni centro-meridionali è diffusissima, sebbene tenda a suddividersi in differenti varietà, che alcuni autori elevano al rango di specie separate. La principale caratteristica distintiva su cui si basa l’identificazione della roverella è rappresentata dalla pubescenza che copre la pagina inferiore delle foglie. Questa particolarità, evidenziata nel nome scientifico della specie, Quercus pubescens, consente di distinguere con una certa facilità la roverella dalle altre specie di querce a foglia caduca italiane.

La fine lanugine che ricopre la pagina inferiore delle lamine fogliari di questa specie costituisce un preciso adattamento alle condizioni di aridità. Essa ha, infatti, la funzione di limitare la perdita di acqua per evapotraspirazione attraverso gli stomi, che si aprono soprattutto sul lato inferiore delle foglie, durante le calde estati mediterranee. Nelle foglie giovani anche la porzione superiore si presenta lanuginosa, ma in seguito su questo lato esse divengono glabre, assumendo complessivamente una consistenza cuoiosa. Un caratteristico feltro costituito da peli biancastri o rossastri protegge anche i germogli ed i giovani fusti della roverella (foto n. 3), che per questo inizialmente si presentano chiari e tomentosi (foto n. 4). Le foglie di Quercus pubescens sono lobate come quelle delle altre querce caducifoglie europee, ma presentano comunque alcune caratteristiche morfologiche peculiari (foto n. 5). In generale le dimensioni e la forma della lamina posseggono un grado di variabilità piuttosto accentuato, sulla base del quale sono state identificate varie entità, talora elevate al rango di specie distinte. In generale la forma è obovata, con 3-8 lobi di profondità variabile per lato e bordo spesso revoluto. I lobi tendono comunque a presentarsi meno accentuati rispetto a quanto si verifica nella foglia del farnetto (Quercus frainetto) e del cerro (Quercus cerris), specie quest’ultima nella quale appaiono anche decisamente più acuti. Solamente nella porzione basale della lamina i lobi possono divenire più marcati, ma l’apice si presenza in genere poco acuto, piuttosto arrotondato ed ottuso, caratteristica che agevola la distinzione dal rovere (Quercus petrea), nel quale l’apice fogliare di solito è più sporgente.  La lunghezza delle foglie appare anch’essa piuttosto variabile, potendo oscillare tra i 5 ed i 15 cm, mentre la larghezza va dai 2 ai 7 cm. La morfologia assunta dalla base della lamina fogliare può rappresentare un carattere di riconoscimento più sicuro,  usualmente in questa specie si presenta infatti piuttosto arrotondata o subcordata, elemento distintivo nei confronti delle foglie del rovere (Quercus petraea), che hanno invece base cuneata, mentre nella farnia (Quercus robur) posseggono base auricolata per la presenza di piccoli lobi.

Le foglie della roverella tendono ad ingiallire piuttosto tardi, spesso durante il mese di novembre, assumendo rapidamente una colorazione bruno chiara. Soprattutto negli esemplari giovani le foglie vengono poi conservate ancora per alcune settimane, talvolta sino alla metà della stagione invernale. Gli esemplari di maggiori dimensioni tendono a spogliarsi del fogliame più rapidamente. Nelle regioni meridionali italiane esistono varietà della specie che mantengono le foglie fin quasi agli esordi della primavera, come adattamento a condizione climatiche più spiccatamente mediterranee. Durante le annate particolarmente aride la chioma delle roverelle tende ad imbrunire ed a disseccarsi già durante la stagione estiva, soprattutto nelle zone rocciose, ma eventi di questo tipo, se non ricorrenti, appaiono tollerati abbastanza bene. Quercus pubescens, come le altre querce possiede impollinazione anemofila, le piante sono monoiche ed i fiori unisessuali. Le infiorescenze sono amenti di colore verde chiaro che compaiono in primavera, tra i mesi di aprile e di maggio a seconda della quota, contemporaneamente alle nuove foglie. Gli amenti maschili sono penduli e lunghi fino a 6 cm (foto n. 6), presentano piccoli fiori piuttosto radi, di colore verde chiaro muniti di 6 stami, i fiori femminili, dai quali derivano le ghiande, compaiono alle estremità dei giovani rami, riuniti in piccoli gruppi.   La maturazione dei frutti avviene annualmente, all’inizio dell’autunno. Le ghiande della roverella hanno forma ovoide e sono di colore marrone chiaro, munite di caratteristiche striature (foto n.7), assenti in altre specie di quercia. La lunghezza oscilla tra 1,5 e 3 cm e sonoriunite in gruppi di due o tre o solitarie. La  cupola delle ghiande, profonda 1-1,5 cm, è coperta da squame appressate, quasi triangolari, con apice acuto, di colore grigio-bruno. Le ghiande presentano un breve peduncolo, lungo meno di 2 cm, molto più breve rispetto a quello della farnia (Quercus robur). La quantità di ghiande prodotta varia annualmente e ad intervalli di 3-4 anni risulta particolarmente abbondante. Le ghiande germinano abbastanza facilmente presso la pianta madre, ma la maggior parte delle plantule non sopravvivono.  La dispersione a distanza maggiore avviene grazie ad animali come uccelli o roditori che trasportano e nascondono i frutti in vista dell’inverno, senza pero poi riuscire sempre a localizzare i siti di accumulo.

La corteccia della roverella ha una tinta grigio-bruna, piuttosto scura, suddivisa in scaglie rugose di forma trapezoidale. Poiché la specie vegeta in aree piuttosto calde e soggette ad incendi, essa offre anche una certa protezione nei confronti del fuoco nel caso che questo interessi prevalentemente il sottobosco. Il legno della roverella è duro, compatto, resistente, di colore giallo chiaro. Poiché i tronchi ed i rami sono spesso incurvati, le fibre non sono dritte e la lavorabilità è ridotta, è utilizzato soprattutto per la produzione di legna da ardere o di carbone, ma in passato era impiegato anche per le infrastrutture portuali, soprattutto dalla Repubblica di Venezia, che adoperava allo scopo tronchi provenienti dai boschi della Dalmazia. Un uso più recente riguarda la produzione di traversine ferroviarie, della quale hanno fatto le spese, ad esempio, i boschi di roverella presenti nelle zone interne della Sardegna.  La specie, come ulteriore adattamento agli ambienti aridi possiede un apparato radicale potente, dotato di un fittone ben sviluppato e di robuste diramazioni che penetrano in profondità nel substrato, anche se  questo risulta compatto e roccioso, insinuandosi nelle fenditure e nelle tasche di suolo. Grandi esemplari si possono così insediare sui substrati calcarei e nelle aree carsiche, anche laddove lo strato superficiale di suolo risulta molto esiguo ed i tronchi annosi sembrano spuntare direttamente dalla roccia.  Il tronco di Quercus pubescens a differenza di quanto accade in altre querce europee, inizia a ramificarsi molto presto, a distanza piuttosto ridotta dal piede, sviluppando branche sinuose che a loro volta si suddividono in rami sottili.

Questa modalità di sviluppo conferisce alla chioma una forma ampia e piuttosto irregolare, soprattutto negli esemplari isolati risparmiati dalle potature.  La pianta inizialmente presenta un accrescimento lento, ma con il trascorrere del tempo l’albero può assumere dimensioni imponenti, raggiungendo un’altezza che può andare dai 10 ai 30 m. Grandi roverelle isolate o riunite in piccolissimi gruppi si possono osservare in tutta l’Italia centro-meridionale e nelle isole, al margine dei coltivi, lungo i sentieri ed i tratturi, presso le chiese campestri. Gli esemplari più vetusti di questa specie possono raggiungere i 1000 anni di età e sviluppare tronchi massicci, dotati di circonferenze che superano i 6 metri di lunghezza. In alcune aree della Toscana grandi individui vengono conservati anche all’interno dei boschi cedui composti, secondo una tradizione ancora legata al pascolo brado dei suini nelle selve durante il periodo di maturazione delle ghiande. Questa consuetudine, pressoché scomparsa in Italia, permane invece in Spagna dove il famoso prosciutto serrano (jamón serrano) viene prodotto da suini che vengono lasciati pascolare nei boschi radi di quercia di sughero (Quercus suber) per nutrirsi delle ghiande.

La roverella è una specie piuttosto termofila e xerofila, legata, infatti, alle zone calde ed asciutte ed al clima mediterraneo e submediterraneo. In Italia è diffusa dal livello del mare fino a 1000 – 1200 m di quota, sui versanti montani più soleggiati. Vegeta anche nelle zone disturbate dalle attività antropiche e questa tolleranza ne ha sicuramente favorito la diffusione a discapito di altre specie arboree più esigenti. Oggi nell’ambito dell’intero territorio italiano la roverella rappresenta l’essenza arborea che forma le formazioni boschive di maggiore estensione. Questi boschi, diffusi soprattutto nelle zone collinari e lungo la catena appenninica, sono comunque per lo più cedui e risultano talora molto degradati. In Italia la roverella è presente in tutte le regioni, dalle Alpi, dove predilige i versanti rivolti a meridione e le vallate asciutte interne, sino alla Sicilia ed alla Sardegna, dove risulta particolarmente diffusa nelle zone interne. Nel resto dell’Europa la specie possiede un’areale di distribuzione molto esteso, gravitante intorno al bacino del Mediterraneo. Nella penisola iberica è presente soprattutto nelle regioni settentrionali e nordorientali con la sottospecie palensis, in Francia è frequente soprattutto a sud, in Provenza, ma negli ambienti più idonei si spinge fino alla latitudine di Parigi. Nella penisola balcanica la roverella risulta particolarmente diffusa, spingendosi a meridione fino al Peloponneso, in Grecia, e ad oriente fino alla Crimea. Anche in Turchia la specie è ben rappresentata, soprattutto nelle regioni occidentali, mentre in Medio Oriente compare con forme leggermente differenziate, considerate specie distinte, come Quercus infectoria, presente anche in Grecia e nelle isole del Mare Egeo. Nell’ambito del suo vasto areale di distribuzione la roverella si comporta da specie piuttosto polimorfa, tanto da dare origine a numerose forme, considerate talvolta alla stregua di specie distinte, tra queste per il territorio italiano si possono ricordare le entità Quercus congesta, Quercus amplifoli Quercus sicula, Quercus virgiliana, Quercus ichnusae, etc., ma complessivamente le varianti geografiche note assommano a circa 30.

In Abruzzo, come nella maggior parte del territorio italiano, le consociazioni vegetali dominate dalla roverella sono rappresentate soprattutto da boschi governati a ceduo, destinati soprattutto alla produzione di legna da ardere. La specie possiede, infatti, una buona capacità pollonifera per cui dalle ceppaie nel giro di pochi anni si sviluppano nuovi getti che, entrando in contatto reciproco con le chiome, ricostituiscono gradualmente la copertura boschiva.   I turni di taglio vanno dai 15 ai 35 anni, a seconda delle zone. Spesso in occasione delle ceduazioni viene lasciato un certo di numero di matricine, alberi che saltano il turno di taglio e mantengono una certa copertura del suolo. Le produttività dei cedui di roverella sono in genere piuttosto basse a causa della scarsa fertilità dei substrati sui quali vegetano questi boschi. In Toscana ed in alcune zone dell’Umbria, come si è detto, presenta una certa diffusione una diversa forma di governo del bosco di querce, nota come ceduo composto, che rappresenta una sorta di situazione intermedia tra il ceduo e l’alto fusto. Il ceduo composto presenta una maggiore diffusione in Francia e consente di mantenere un certo numero di alberi alto fusto che si sviluppano al di sopra dello strato di piante destinate alla ceduazione. Nel caso delle querce gli esemplari di alto fusto assicurano la produzione di ghiande per i suini ed eventualmente di legname da opera. Dal punto di vista ecologico il ceduo di roverella semplice o matricinato presenta uno livello di biodiversità abbastanza ridotto, poiché mancano le specie animali e vegetali dei boschi maturi, mentre abbondano le specie più banali degli ambienti di boscaglia e di margine boschivo. Un bosco di roverella disetaneo, comprendente anche esemplari annosi e di alto fusto custodisce invece una comunità biotica ricca di specie più rare ed esigenti. Queste vanno dalle felci, bisognose di ambienti ombrosi, ancorché periodicamente asciutti, che, come il polipodio (Polypodium vulgare), possono vegetare come epifite anche sui tronchi e sui rami degli alberi più vetusti, al pungitopo (Ruscus aculeatus), al giglio rosso (Lilium croceum), al ciclamino (Cyclamen repandum), all’anemone epatica (Hepatica nobilis), ad alcune specie di orchidee, tra cui Cephalantera damasonium, Cephalantera longifolia, Epipactis helleborine, Limodorum abortivum, per giungere alla campanula selvatica (Campanula trachelium) ed alla digitale appenninica (Digitalis micrantha). All’interno di una formazione boschiva dominata dalla roverella non regna comunque l’atmosfera ombrosa uniforme tipica della faggeta, la luce che penetra tra gli alberi consente lo sviluppo di molte piante arbustive, tra le quali si possono ricordare il sanguinello (Cornus sanguinea), l’emero (Emerus major subsp. emeroides), la colutea (Colutea arborescens), il biancospino (Crataegus monogyna), la ginestrella (Genista tinctoria), la dafne laurella (Daphne laureola). Quando il bosco non è sottoposto a ceduazione alla roverella possono associarsi altre specie arboree più esigenti, come il cerro (Quercus cerris), il leccio (Quercus ilex), il carpino orientale (Carpinus orientalis), il sorbo comune (Sorbus domestica), il sorbo ciavardello (Sorbus torminalis), il carpino nero (Ostrya carpinifolia), l’orniello (Fraxinus ornus), l’acero campestre (Acer campestre), l’acero d’Ungheria (Acer obtusatum), il ciliegio (Prunus avium), etc., essenze talora esigenti, che possono scomparire a seguito dei tagli periodici, che si traducono in una riduzione della diversità della composizione del mantello boschivo.   Per quanto concerne la compagine animale le grandi querce rappresentano l’habitat elettivo di numerose specie di insetti, alcune delle quali possono raggiungere anche grandi dimensioni. Tra quelle presenti nel nostro territorio si possono ricordare il cervo volante meridionale (Lucanus tetraodon), la cui larva per più anni vive nelle ceppaie e nei cavi dei tronchi deperienti di specie appartenenti al genere Quercus e di altri alberi, il cerambice delle querce o grande capricorno (Cerambyx cerdo), coleottero di colore bruno-nero dalle lunghe antenne, che come gli affini Cerambyx welensi e Cerambyx scopolii, presenta larve xilofaghe che vivono nei tronchi di vecchie querce secolari, nonchè varie specie di cetonie ed il raro Osmoderma eremita, uno scarabeide saproxilico, legato cioè al legno marcescente.
Le ghiande prodotte dalla roverella rappresentano un’importante fonte alimentare per diversi vertebrati, tra questi vi sono roditori arboricoli come il topo quercino (Eliomys  quercinus), il ghiro (Glis glis), il moscardino (Muscardinus avellanarius) e lo scoiattolo (Sciurus vulgaris), ma anche uccelli come la ghiandaia (Garrulus glandarius), che durante la stagione fredda arricchisce la sua dieta con questi frutti, contribuendo alla diffusione delle querce.
Un bosco ceduo rappresenta un ambiente più povero anche dal punto di vista faunistico, poiché manca l’habitat complesso rappresentato dai grandi tronchi, articolato a sua volta in numerosi microhabitat ricchi di specie. I polloni di roverella che si sviluppano a seguito del taglio del fusto principale sono spesso soggetti agli attacchi del mal bianco della quercia o oidio della quercia (Micosphaera alphitoides), un fungo patogeno epifita molto frequente, che provoca la formazione di macchie biancastre pulverulente, dapprima sulla pagina inferiore delle foglie e successivamente su quella superiore, dovute allo sviluppo del micelio e dei conidi durante i periodi caldo umidi tardo primaverili, estivi ed autunnali. Un altro fungo che con una certa frequenza infesta le foglie della roverella è l’Ascomicete Apiognomonia quercina responsabile di un imbrunimento delle foglie dovuto ad una maculatura necrotica, che può causare la cadute precoce delle foglie stesse. Danni ai lembi delle foglie possono essere causati anche dagli attacchi del piccolo insetto Omottero Cicadellide Typhlocyba quercus, che quando è molto numeroso, determina la comparsa di piccole macchie bianco-giallastre dai contorni angolosi sulla pagina superiore delle foglie, dovute alla suzione messa in atto dagli adulti e dalle neanidi nel parenchima fogliare. Altri danni alla chioma di Quercus pubescens  possono essere causati dalle proliferazioni massive periodiche delle larve di Lepidotteri defogliatori, come il Tortricide Tortrix viridana, che può rivelarsi particolarmente nociva, in quanto i bruchi attaccano le gemme appena schiuse e le foglie giovanissime, i Limantridi bombice dal ventre d’oro (Euproctis chrysorrhoea) e bombice dispari (Lymantria dispar) e la processionaria delle querce (Thaumetopoea processionea). Le infestazioni di bruchi dovute a queste specie, se ripetute nel tempo,  possono causare squilibri nei processi fisiologici delle querce, che si traducono in una maggiore suscettibilità nei confronti di parassiti fungini ed insetti xilofagi, che nutrendosi del legno, scavano gallerie all’interno dei tronchi e dei rami, minacciando la stabilità degli alberi. L’elevato numero di organismi parassiti che vivono a spese della roverella costituisce una riprova dell’importante ruolo ecologico che assume questa specie nell’ambito della nostra flora spontanea, un ruolo di rilievo che dovrebbe assicurarle un maggiore rispetto, soprattutto laddove i grandi esemplari divengono la sede di una complessa comunità di viventi. Un rispetto che dovrebbe tradursi in vere forme di tutela.

Nicola Olivieri

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