La strada promessa

Le scelte sbagliate si portano sempre dietro delle conseguenze negative. Quello che sta accadendo in questo periodo, relativamente alle incognite sulla riapertura degli impianti sciistici dei Prati di Tivo, non fa altro che confermare tale principio. Ad oggi, non si sa ancora se gli impianti saranno in funzione per la stagione invernale. Con ogni probabilità alla fine verrà trovato un espediente temporaneo che ne consentirà il funzionamento, ma comunque queste tensioni sono indizi, peraltro già emersi in precedenza, di evidenti difficoltà di gestione. Oltre alle superabili beghe territoriali tra i Comuni di Pietracamela ed Isola del Gran Sasso, gravano, in misura molto più rilevante, i pesanti oneri finanziari costituiti dagli interessi da pagare a fronte di un investimento pubblico di oltre tredici milioni di euro, occorsi per costruire il solo impianto di risalita, che ha sostituito la vecchia seggiovia della “Madonnina”. Senza contare quelli già spesi per gli altri impianti più piccoli. E’ facile anche presumere che i costi di gestione, in un impianto sovradimensionato rispetto all’effettiva affluenza turistica, possano aver superato i ricavi.

Riaffiorano allora tutte le perplessità e si palesano poco a poco i problemi, da più parti ipotizzati, quando furono presentati ed approvati i progetti che hanno portato all’assetto attuale. Qualcuno faceva notare che era sufficiente un terzo di quegli ingenti fondi per realizzare un nuovo moderno impianto di risalita, più piccolo di quello poi di fatto realizzato, ma ugualmente efficiente, e si sarebbe potuta utilizzare la rimanente quota di fondi per altre utili opere aventi lo stesso fine.

Il fatto è che le voci discordi furono messe a tacere da una scelta promossa ed approvata da Provincia, in prima fila, e poi Regione, Comuni interessati, tra i quali purtroppo anche Fano Adriano, Camera di Commercio, Federalberghi e operatori turistici ed economici. Questa scelta, con la creazione di un’apposita società pubblico-privata, fu senz’altro fatta per rilanciare la stazione sciistica dei Prati di Tivo, centro cardine per visitare il Gran Sasso, presumendo, nel contempo, che la ripresa della località turistica avrebbe indirettamente influenzato in modo positivo tutti i paesi del territorio circostante. O meglio, speriamo che questo sia stato l’obiettivo almeno degli Enti Statali. Speriamo, ma è lecito dubitarne.

Ormai si può, però, tracciare un bilancio di questa scelta, ed il bilancio, sia sotto l’aspetto economico che sotto l’aspetto sociale, non è certo positivo. Il tanto atteso incremento del flusso turistico non c’è stato (anzi…), i debiti, anche per l’incomprensibile ritardo nell’erogazione dei fondi FAS, sono elevati, la località è in crisi più di prima e con essa gli operatori turistici, mentre le comunità del territorio hanno proseguito verso il loro lento e continuo declino.

Un impianto di risalita infatti, per quanto efficiente e moderno possa essere, non può sopperire alle carenze dei collegamenti viari e delle infrastrutture ricettive distribuite nell’intero territorio montano situato alle pendici del Gran Sasso. Le scelte turistiche dipendono da ben altri fattori.

Naturalmente questo è evidente anche agli enti ed alle associazioni sopra menzionate. Per anni hanno sollecitato il collegamento rapido con l’autostrada A24, vedendo in esso la soluzione di tutti i mali. Ma, a parte le enormi difficoltà e la devastazione ambientale che tale soluzione comporterebbe, non è affatto detto che così si risolleverebbero le sorti della nostra stazione sciistica, anzi il rischio è che anche in questo caso si sperperino inutilmente somme consistenti di denaro pubblico. Considerate le difficoltà realizzative di una simile ipotesi, ora si parla di una strada che, partendo da Forca di Valle, all’uscita dell’autostrada A24, salendo lentamente di quota e passando sopra Cusciano e sopra Cerqueto, all’altezza di Colle Patriarca, terminerebbe nei tornanti a metà strada tra Pietracamela e Prati di Tivo. La Provincia ha appena affidato una progettazione preliminare relativa a questa ipotesi. Il percorso è stato pensato per collegare i Prati di Tivo all’autostrada. Ancora una volta l’iniziativa è partita dagli operatori turistici, insieme con la società pubblico-privata (a maggioranza pubblica) “Gran Sasso Teramano S.p.A.”, proprietaria degli impianti di risalita e dal sindaco di Castelli (?!).

Nel frattempo, sia i Prati di Tivo che tutte le comunità nelle vicinanze, sono come luoghi isolati, vicoli ciechi, che si raggiungono solo se ci sono determinati motivi per farlo e non perché fanno parte integrante di un ben definito circuito turistico. Ognuno è una realtà chiusa e circoscritta e allora, come si dice: “insieme ce la faremo, divisi cadremo”. Ed è proprio quello che sta accadendo.

Eppure, perfino documenti di  un secolo fa, in parte riportati a fine articolo, parlano della grande importanza di collegare con una strada i paesi della sponda destra dell’Alto Vomano. Non è mai stata realizzata. Una simile opera, si può intuire, avrebbe trasformato completamente il nostro territorio e avrebbe dato impulso ad iniziative redditizie, suscitato energie e dinamismi che allo stato attuale sembrano assurdi. Se fosse stato realizzata negli anni ‘70, ora la condizione dei nostri paesi e delle stesse località turistiche sarebbe probabilmente diversa.

Noi viviamo ai piedi del Gran Sasso, che è pur sempre la vetta più alta dell’Appennino. Il fascino di questi luoghi, unito alla possibilità di poterli visitare in modo agevole e completo, lungo un singolo percorso, avrebbe conferito loro un’attrattiva senz’altro maggiore.

Le potenzialità che potrebbero offrire le singole comunità locali per risollevare le sorti del nostro territorio, non sono mai state prese in seria considerazione. Realtà come Pietracamela, Nerito, Fano Adriano, Cerqueto, Intermesoli, Cusciano, Aquilano e così via, vengono solo sfiorate dai discorsi. Si pensa che un potenziamento delle sole località turistiche possa riflettersi positivamente su tutta la zona (cosa che negli anni si è dimostrata non essere vera) e non si pensa mai all’inverso e cioè che un potenziamento globale ed un’apertura del territorio possa invece favorire anche le suddette località turistiche. Scelte di questo tipo, oltre che tecniche, sono anche politiche e possiamo ben dire che i centri abitati situati nella nostra montagna non sono mai stati oggetto, da parte dei principali enti territoriali, di una ricerca d’insieme, utile per trovare le migliori strategie che possano favorire la loro ripresa. Uno dei compiti prioritari dello Stato è quello di dotare, nei limiti del possibile, ogni comunità delle condizioni necessarie che permettano loro di vivere autonomamente nel luogo originario. Per i nostri paesi, questo dovere lo Stato non lo ha rispettato, perché ha trascurato ciò che da quando è nata la civiltà umana è sempre stata considerata la fonte dello sviluppo e del progresso: la viabilità, che permette le interconnessioni tra le singole comunità.

L’inverso, l’isolamento, è invece spesso causa prima di declino. Lasciare un paese isolato significa decretarne la morte.

Il perché non sia stata realizzata nell’arco di decine di anni un’opera che in fondo non sarebbe poi stata né tanto difficoltosa, né tanto costosa è cosa strana ed è però soprattutto colpa nostra e dei nostri rappresentanti. Tra i Comuni interessati, Isola del Gran Sasso, Tossicia, Montorio al Vomano, Fano Adriano, Pietracamela, Nerito, non c’è mai stato, incredibile a dirsi, una reale coincidenza di vedute. Isola del Gran Sasso è sempre stata a favore del collegamento rapido con i Prati di Tivo; Montorio, che era sicuramente la forza maggiore, nonostante i pronunciamenti favorevoli, in realtà è sempre rimasta fredda a questa ipotesi, forse temendo di perdere una quota del traffico sulla statale 80, dopo aver perso, con l’apertura del traforo, quello più consistente di parte della Valle Siciliana. Visione poco lungimirante, perché la fine dei paesi di montagna, di cui Montorio rappresenta il punto di riferimento e dai quali trae profitto economico, costituirebbe un problema pure per la cittadina stessa. Pietracamela, finché il turismo ai Prati era vitale, ha sempre sottovalutato l’idea e si è posta in un isolamento dorato fino al brusco e tardivo risveglio. Si è trovata quindi tra due visioni contrapposte mostrandosi però, sotto la spinta dei suoi operatori economici, più sensibile al collegamento rapido. In questo contesto, hanno giocato un ruolo non secondario anche ex sindaci ed ex senatori del nostro Comune, che, direttamente coinvolti nella gestione degli impianti, hanno spinto per il collegamento rapido, ignorando quanto affermato nel nostro paese, allorché bisognava procurarsi i voti per l’elezione a sindaco. Il nostro Comune si è dimostrato, per anni e anni, quasi indifferente: la questione sembrava interessare principalmente Cerqueto e di certo non rientrava tra le priorità. Nerito è sempre rimasto defilato e poco coinvolto.

In questa moltitudine di voci contrapposte sulla viabilità della nostra zona montana, e di colpevole inerzia, si è dato spazio ed ascolto, come spesso succede nei nostri paesi, a persone, entità ed interessi esterni la cui visione delle cose è sicuramente ridotta e settoriale, non potendo conoscere tutte le dinamiche di un luogo, dinamiche che solo un nativo ha nel proprio bagaglio personale. Anche a questo si può far probabilmente risalire le scelte che hanno portato all’attuale situazione di impasse ai Prati di Tivo.

E così, per la nostra debolezza, siamo costretti ad ascoltare tutto ed il contrario di tutto su ciò che è importante per noi e cosa si dovrebbe fare per risollevare le “sorti della montagna”. In relazione alla strada, c’è chi dice che la strada tra i paesi non serve, “un falso problema”, e che i paesi debbono e possono trovare nella propria storia e nelle proprie peculiarità le ragioni stesse di una ripresa che inverta la costante negativa dello spopolamento. La strada sarebbe una della tante opere inutili, che nulla risolve, ma anzi toglie autenticità alle caratteristiche specifiche di un determinato luogo. Io credo alle opportunità offerte dalle nostre specificità, ma sono risorse che possono acquistare ancora più importanza qualora messe in comunicazione con quelle, altrettanto specifiche, offerte dai paesi limitrofi. Non è vero poi che un collegamento tra piccole comunità possa cancellare le peculiarità di ognuna, queste rimarrebbero comunque ed il numero di presenze turistiche che si può immaginare nelle nostre zone non sarebbe mai tale da metterle in pericolo. I nostri borghi sono già culturalmente immersi nel mondo moderno e non cambia nulla da questo punto di vista se sono collegati o meno ad altri borghi altrettanti piccoli. Certo, la strada di collegamento Intermesoli-Fano non ha invertito la tendenza allo spopolamento di questi due paesi. Ma questa strada collega appunto solo due paesi e non li collega affatto al “mondo esterno”. Essa offre comunque un’alternativa nel caso in cui uno dei due paesi dovesse rimanere isolato, alternativa che dovrebbero avere anche tutti gli altri e che ad oggi, con un’unica via, invece non possiedono. C’è chi dice “siamo all’interno del Parco, basta con questa strade, se ne sono costruite già troppe, bisogna alimentare un turismo consapevole, non un turismo di massa, alla riscoperta vera della natura”. Come già accennato, non mi pare affatto che i nostri luoghi siano assaltati da migliaia di persone in visita, anzi mi sembra l’opposto. E poi, se è vero che non bisogna costruire strade in quota, e per questo ci sono già specifiche leggi, questa strada metterebbe in contatto solo comunità impoverite dall’isolamento, nulla o quasi nulla toglierebbe all’ambiente di interesse, che si sviluppa più in alto. A meno che non si voglia, o si ritenga meglio ed ineluttabile, che questi paesi scompaiano o siano vissuti solo nelle vacanze estive, lasciando alla natura la possibilità di riconquistare quello che l’uomo, in questo caso nel corso dei millenni, gli ha strappato. Gli abitanti dei paesi possono trasferirsi in luoghi più popolati, in città, dove di solito risiede chi fa questi discorsi, il quale poi usa la macchina per attraversare strade di montagna, per arrivare con essa ad esempio sulla Laghetta, a circa 1800 metri di quota, da dove partire per andare a scalare sul Gran Sasso o a fare escursioni, in mezzo alla natura, nel “rispetto della natura”. Perché allora non lasciare la macchina sulla statale 80, salire a piedi a Pietracamela e da qui ai Prati di Tivo ed infine godersi la natura scalando la vetta, o attraversando Campo Pericoli? Ci si riuscirebbe, come è possibile ora grazie alle strade, in una mezza giornata e la sera essere pronti per tornare con la macchina nella propria abitazione di città? Non voglio affatto criticare, con ciò, la difesa dell’ambiente, ed è chiaro quanto questa sia importante per l’equilibrio futuro della Terra. Voglio solo dire che spesso certe posizioni sembrano derivare da fanatismo, il quale tende ad appiattire i ragionamenti, per cui ad esempio una strada è negativa a prescindere e non si ascoltano le ragioni che possano dimostrare la sua utilità. Il fatto che il Parco amministri territori ancora abbastanza integri dal punto di vista ambientale, non deve far dimenticare che in questi stessi territori hanno vissuto per secoli i nostri antenati, in comunità molte più numerose di quelle di oggi e che con l’ambiente hanno coabitato, sfruttandolo per la propria esistenza, con i lavori agricoli, l’allevamento ed il taglio rispettoso dei boschi, ma lasciando comunque alle future generazioni territori ancora intatti. Una delle opposizioni che l’Ente Parco rivolse al progetto della seggiovia dei Prati di Tivo, fu che l’impianto che si andava a costruire era inopportuno perché, data la sua potenzialità di smistamento, avrebbe aumentato ”l’afflusso antropico”. Cosa perlomeno strana da dire per una stazione turistica, tralasciando invece qualsiasi richiamo sui costi esorbitanti e sui maggiori sbancamenti di terreno occorrenti per realizzare le strutture fisse. Il famoso “afflusso antropico” poi chiaramente non c’è stato e gli impianti hanno spesso girato a vuoto.

La possibilità di realizzare un qualsiasi tipo di collegamento si è quindi persa in anni di chiacchiere, congiunte ad un palese disinteresse. E’ evidente che molte problematiche dei nostri paesi vengono da lontano e sono chiaramente legate ai drastici cambiamenti economici avvenuti a partire dal secondo dopoguerra, comuni a molte altre zone montane in Italia. Non si vuol di certo affermare, pertanto, che la pedemontana avrebbe risolto tutti i problemi di questi territori, si può però immaginare che essa avrebbe favorito la nascita e la crescita di attività lavorative stabili sul territorio. E si può affermare che è anche per la sua assenza se ora i nostri paesi si trovano in uno stato di estrema fragilità.

Parlare di queste cose oggi sembra quasi inutile: la strada doveva essere costruita molti anni fa, quando le comunità erano ancora vitali. Negli ultimi anni, la necessaria viabilità tra i paesi è stata confusa e aggregata a quella idonea a favorire l’arrivo dei turisti ai Prati di Tivo, mentre le due esigenze, quasi inconciliabili, potevano e dovevano essere distinte.

Attualmente l’unica ipotesi è quella, sopra ricordata, della progettazione preliminare affidata dalla Provincia, per una strada di scorrimento in quota tra Forca di Valle ed i Prati di Tivo e che passa sopra i paesi. Ancora una volta si è anteposto il flusso turistico ai Prati di Tivo a scapito delle comunità. Il progettista, che dobbiamo dire ha parlato spesso con noi ed ha ascoltato (ma solo ascoltato) tutte le istanze, dice che comunque saranno previsti degli svincoli che collegheranno questa strada ad ogni paese. A parte le enormi incognite, per la grave crisi economica, che si riesca a passare dal progetto preliminare alla costruzione reale della strada, viene da pensare se questa ipotesi sia per noi più un danno che un bene. La strada infatti non passerebbe nelle vicinanze del paese, ma molto più in alto. Dagli svincoli occorrerebbe poi realizzare i collegamenti, che non fanno parte del progetto, verso i paesi. Noi abbiamo già la malridotta strada che sale in montagna ed enormi sono i dubbi che possa esserci un rifacimento totale della sua sede stradale.

In questo caso, in un sol colpo perderemmo l’integrità della nostra montagna, cosa non da poco essendo essa uno dei rari luoghi dell’intero comprensorio quasi sconosciuto ai più, senza conquistare nessuno degli aspetti positivi del collegamento stradale appena ricordati. Il danno e la beffa. L’unica possibilità è che, poiché si prevede l’esecuzione dei lavori per lotti e che il primo lotto dovrebbe essere Cerqueto-Pietracamela, si può sperare in un collegamento diretto tra i due paesi. In alternativa forse vale la pena di opporsi a questa idea.

Alla fine, allora, probabilmente non resta che accettare la situazione attuale, convivere con una sola via di accesso, sperando di non rimanere isolati come successe nel 1992, cercare di ottenere il massimo dalle nostre peculiarità e, ribaltando un po’ il tutto, dal nostro isolamento. In fondo “finché c’è vita c’è speranza”.

Angelo Mastrodascio

Stralci dalla relazione  sul progetto della strada tra i paesi, anno 1913

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