Le confessioni di un cerquetano!

Ero poco più che trentenne e lavoravo come aiuto   turbinista  presso la Centrale idroelettrica di S. Giacomo e,  a dire il vero, il posto che occupavo non mi dispiaceva affatto. Ero un turbinista  affezionato al mio lavoro,  anche con qualche soddisfazione. Avevo avuto modo di frequentare la scuola per corrispondenza  Radio Elettra e poi la Scuola Svizzera di Luino e mi ero appassionato allo studio della radio, in quel periodo  ancora molto poco diffusa e non solo a Cerqueto. A volte mi cimentavo anche a costruirne qualcuna per gli amici cerquetani. Mi davo da fare anche a vendere radio riceventi. Un giorno,  ricordo di averne vendute tante  passando da una porta all’ altra , o meglio da un paese all’altro, sempre a piedi,   da superare il guadagno di un intero mese di lavoro. Ero sposato da poco più di un mese quando,  il 15 novembre  del 1957,  fui convocato dall’ingegnere capo, il quale mi comunicò che la domanda di trasferimento  a Roma – Castel Giubileo – da me prodotta più di un anno prima, era stata accolta. Accettai il trasferimento e così fin dal  giorno successivo, indimenticabile anche perché compivo trentadue anni proprio quel giorno,  iniziai a lavorare a Roma. In realtà l’accettazione del trasferimento non fu semplice e indolore. Mi sentivo profondamente in colpa a dover abbandonare  Cerqueto.

Certo erano altri  tempi  quelli! Erano anni di intensa attività anche politica che comunque proseguì per qualche anno anche dopo il trasferimento. Insieme con Antonio Mazzetta, Antonio Menei, Battista Pisciaroli, Beniamino Misantoni, Sistino Misantoni mi  adoperai per la costruzione del vecchio Monumento ai Caduti e avevamo cominciato a lavorare per la realizzazione della strada carrozzabile, una mancanza che gravava enormemente sulle nostre spalle e limitava la vita di noi tutti. E’ difficile anche da  immaginare com’era la vita a Cerqueto  prima della strada di congiungimento alla SS 8O! Ci adoperammo  perché nei confronti del nostro comune mal sopportavamo il fatto che si facesse di tutto per  realizzare la strada per la montagna di Fano mentre della nostra strada , ben più vitale,  non se ne parlava affatto. Riuscimmo a rinviare di sei mesi il proseguimento della strada per la montagna di Fano e con l’operato del nostro Consiglio Comunale si  diede il via alla strada per Cerqueto. Era il 1960.  Certo senza l’appoggio e la responsabilità lungimirante   dell’allora sindaco Ettore Riccione sarebbe stato impossibile. Cerqueto deve molto  a quest’uomo che, posso testimoniare,  si è veramente dato da fare per il bene di Cerqueto anche mettendosi contro i  suoi paesani e sostenitori.  Non so come ma, solo per il comune di Fano Adriano,  esisteva una norma per cui dei 15 consiglieri dieci dovevano essere eletti a Fano e solo cinque  erano riservati a Cerqueto,  per cui si comprende facilmente l’impossibilità di realizzare qualsiasi cosa a favore di Cerqueto.  Per superare tutte queste difficoltà erano stati fatti diversi tentativi, ovviamente tutti falliti,  come  l’invito da me  sostenuto e promosso alla disubbidienza civile, a non pagare le tasse,  e la richiesta  di separarsi dal comune di Fano con la collaborazione del sindaco di Pietracamela.

Ma quali erano stati i motivi veri a farmi decidere di richiedere il trasferimento a Roma, nonostante il mio profondo attaccamento a Cerqueto?  Confesso  che  a  determinare il trasferimento  fu la mia condizione di lavoratore pendolare. Dovevo affrontare ogni giorno il viaggio a piedi di andata e ritorno Cerqueto-S. Giacomo. Sostenere i turni e viaggiare di notte, quasi sempre da solo,  era qualcosa che  mal sopportavo  e che mi metteva in  difficoltà.  La strada mulattiera che dovevo percorrere era piena di luoghi  legati a persone morte che io avevo  personalmente conosciuto o di cui avevo sentito parlare sin da piccolo. Morti  premature di persone giovani che avevano profondamente segnato la mia sensibilità. Durante le risalite a Cerqueto, in genere  notturne, avevo letteralmente paura. Lungo il tragitto mi venivano in mente tutte le persone che avevano perso la vita lungo la strada. Per esorcizzare la paura, ero costretto a  ricorrere alle mie “ preghiere”, o meglio ricordi del tutto personali.  .    Appena uscito dalla Centrale,   guardando il fiume Vomano, la mia preghiera iniziava con  Adelina e Filomena.  Le vedevo insieme felici,  le immaginavo in  Paradiso e le  associavo sempre ad una donna che girava per le strade di Cerqueto suonando un corno. Appena iniziavo ad inerpicarmi su per la prima salita ricordavo Addolorata, morta negli anni 1948 o 49.
Quando arrivavo nei pressi della casetta di Mazzetta era la volta di Stefano Valeriani, di Montorio. Aveva il suo negozietto di Sali e Tabacchi a Cerqueto. Mi veniva in mente il suo motto, sebbene da lui stesso disonorato, “L’uomo di vino non vale un quattrino”. A me voleva bene, spesso mi vendeva uno scatolone di sigarette, che io portavo a Teramo,  al mercato nero. Guardavo sulla sinistra , verso i Piaganini,  e ricordavo Domenico Marconi, una bellezza rara, soprannominato “Cianchette”. E poi,  guardando più  in alto , ai Canili, pensavo alla giovane Filomena Sciarretta, morta durante la costruzione di una piccola casetta in pietra.
Giravo  lo sguardo a destra e guardavo  Di Contro e mi veniva in mente Francesco Leonardi , il grande fotografo, morto nei pressi del fiumiciattolo di Rio Petruccio . Avevo una speciale ammirazione per lui e ricordo perfettamente la data della sua morte: 2 agosto 1936.
Passando per le Vigne come potevo non pensare al mio coetaneo di Cusciano , barbaramente ucciso dai tedeschi proprio lì ….  e ripercorrevo i giorni trascorsi in Germania e i pericoli fortunatamente scampati. Nei pressi del cimitero, dove ero costretto a passare, mi assaliva il terrore di qualche bastonata che poteva inaspettatamente arrivare. Era successo ad un paesano qualche anno prima.
Mi veniva poi spesso in mente Francesco Di Cesare, anche lui morto giovane. Avevo appena 8 anni e ricordavo sempre le lenzuola bianche che la mamma aveva esposto durante il funerale.  E poi  ricordavo Rosaria Ferretti, morta diciassettenne,  e poi la giovanissima Domenica Scardelletti, e poi il giovane Romano Di Gennaro, anche se morto a Roma. Lo rivedevo,  Romano, in groppa  ai vari somarelli  del paese,  che gli venivano affidati dai legittimi propretari perchè si abbeverassero alla vecchia ed unica fontana di Cerqueto con abbeveratoio.  A volte capitava che un tasso mi sfiorava all’improvviso ed allora la paura diventava terrore.
La mia “preghiera” era quasi sempre la stessa,  scandita da ricordi fissi e da  queste associazioni quasi automatiche e ogni volta ripercorrevo con la mente tutte queste tappe intessute di stati d’animo colmi di paura e di tristezza. Cercavo di superare l’angoscia prendendola di petto,  mettendo in moto tutte le risorse della mia fantasia, ma  il tragitto risultava per me sempre pesante. Il mio paese, le strade a me tanto familiari di notte  mi raccontavano  le storie dei miei compaesani, storie silenziose con tutti i loro tratti e le loro ferite. Ferite all’epoca non ancora rimarginate!! E ogni volta che arrivavo a casa veramente tiravo un profondo sospiro di sollievo!

Lino Bianchini

Lascia un commento