Le società degli insetti

L’ape domestica (Apis mellifera) rappresenta forse l’esempio più noto di insetto sociale, un semplice animale invertebrato che è stato in grado di sviluppare una complessa organizzazione sociale con la quale i ruoli delle migliaia di individui che vivono insieme vengono suddivisi ed armonizzati fino ad originare una sorta di superorganismo che assume la capacità di affrontare e di superare in maniera originale molte delle dure sfide che la natura impone ai piccoli esseri viventi.

In realtà quello dell’ape domestica, benché molto noto, non rappresenta sicuramente un caso isolato nel mondo degli insetti e degli invertebrati, nel quale la socialità si è sviluppata più volte ed è presente in vari stadi, più o meno evoluti. Tra gli artropodi diversi dagli insetti si possono ricordare alcuni aracnidi come i ragni   Anelosimus eximius che costituisce gruppi che contano anche 50.000 individui e Bagheera kiplingi, specie singolare non solo per la sua dieta basata su alimenti di origine vegetale ma anche perché forma piccole colonie che collaborano nella difesa delle uova e dei giovani esemplari. Per quanto concerne i crostacei un’organizzazione sociale abbastanza evoluta si osserva tra i gamberi tropicali appartenenti ai generi Zuzalpheus e Synalpheus, che formano colonie all’interno di spugne marine. I livelli più elevati di socialità del mondo animale si raggiungono comunque tra gli insetti, in particolare nell’ambito dell’ordine degli Imenotteri, che comprende le api, i bombi, le vespe e le formiche, nonché dell’ordine degli Isotteri di cui fanno parte le termiti. Questi organismi rappresentano esempi di eusocialità, con la quale si realizza una differenziazione così netta dei ruoli all’interno della comunità di individui appartenenti allo stesso gruppo familiare, da portare alla formazione di vere e proprie caste morfologicamente distinte. Tra i vertebrati ci si avvicina alla vera e propria eusocialità solo con i ratti talpa Heterocephalus glaber dell’Africa

orientale e Fukomys damarensis dell’Africa meridionale. In queste specie di roditori, che conducono vita quasi esclusivamente sotterranea in complesse reti di gallerie da loro scavate, a somiglianza di quanto avviene in alcuni insetti eusociali le colonie sono formate da una femmina e da alcuni maschi dominanti che assicurano la riproduzione, da individui di minori dimensioni che svolgono la funzione di “operai” e di norma non si riproducono e da “soldati” che difendono la comunità in caso di pericolo. Questi singolari roditori, in particolare Heterocephalus glaber, presentano spiccati adattamenti alla vita sotterranea come la perdita de pelo, la riduzione della vista, la perdita della capacità di regolare la temperatura corporea e l’aumento della durata della vita. La loro esistenza si svolge pressoché sempre al di sotto della superficie del suolo, impegnati nello scavo, nella manutenzione delle gallerie e nella ricerca di radici e tuberi, di cui si nutrono. L’acquisizione di un così elevato grado di socialità, paragonabile a quello raggiunto da alcuni insetti, si è accompagnato in questi mammiferi a peculiari modificazioni morfologiche ed alla comparsa di un certo grado di dimorfismo tra individui consanguinei, che nella colonia svolgono funzioni differenti. Questa differenziazione, tipica degli organismi eusociali, si manifesta con la massima frequenza nell’ambito degli insetti che formano società complesse. Nel mondo animale sono stati distinti vari livelli di organizzazione sociale, che vanno dalla presocialità alla subsocialità, dalla semisocialità alla parasocialità, dalla quasisocialità all’eusocialità. Nella subsocialità più individui adulti allevano la prole insieme, nella semisocialità più individui si aiutano nella cura della prole e qualche individuo può rinunciare alla riproduzione, mentre nell’eusocialità si ha una completa suddivisione delle attività riguardanti la riproduzione e la cura della prole tra differenti categorie di individui che vengono indicate come caste. Gli individui appartenenti ad alcune caste possono rinunciare in modo permanente o quasi alla propria riproduzione nell’interesse dell’intera colonia.  Gli insetti eusociali comprendono tutte le formiche, tutte le termiti, molte specie di api e vespe, il coleottero australiano Austroplatypus incompertus, alcuni afidi galligeni ed alcuni Tripidi. L’organizzazione sociale di questi insetti presenta molte analogie, ma anche molte differenze. Una caratteristica che le accomuna e che sicuramente ha esercitato un’influenza decisiva nell’evoluzione dell’eusocialità è rappresentata dalla costruzione di un “nido”, un ricovero che serve in primo luogo per proteggere i primi stadi di sviluppo della prole. Questo rifugio può divenire una costruzione di dimensioni imponenti rispetto alla taglia degli insetti che ospita, come avviene nei termitai o può essere molto più modesto, come le galle prodotte dagli afidi galligeni. Questi rifugi inizialmente possono rappresentare dei nidi pedotrofici, cioè destinati allo sviluppo delle larve, realizzati in maniera isolata, ma in fasi successive dell’evoluzione della socialità i nidi possono associarsi, perché vengono costruiti in particolari luoghi come cavità dei tronchi, anfratti di pareti rocciose, gallerie sotterranee, etc., che offrono le migliori condizioni di protezione. In questi siti i diversi individui adulti presenti possono iniziare a collaborare nella difesa dai predatori e dai parassiti, che sono richiamati più fortemente dalla presenza di più nidi prossimi tra loro. Parallelamente gli adulti possono iniziare a cooperare nella cura delle larve e nella costruzione dei nidi. Ma in questa fase la collaborazione si determina soprattutto se gli individui sono imparentati in qualche modo tra loro, infatti, la vera spinta alla socialità risiede soprattutto nel forte grado di condivisione del patrimonio genetico che sussiste tra i componenti del gruppo. In altre parole in società abbastanza complesse come quella delle api, le operaie collaborano con la regina, a costo di grandi rinunce, perché questa è inizialmente una loro sorella e successivamente, con il succedersi delle generazioni, la loro madre. In questo modo esse collaborano al successo ed alla diffusione del loro stesso patrimonio genetico pur senza riprodursi. Secondo quest’ottica, sostenuta per la prima volta da W.D. Hamilton nel 1964, l’altruismo estremo delle caste di operai e di soldati che costituiscono la risorsa fondamentale delle società degli insetti, si può spiegare solamente con l’elevato grado di parentela genetica che sussiste tra questi individui e quelli appartenenti alla casta delle regine o delle coppie reali che assicurano la riproduzione.

Questa situazione, sebbene declinata in modo differente, si ritrova nei vari gruppi di insetti che hanno raggiunto l’eusocialità.

Le termiti rappresentano per vari aspetti  esempi straordinari di organizzazione sociale, le loro colonie possono comprendere anche 10 milioni di individui, i termitai che costruiscono possono spingersi a 7 m di altezza dal suolo, le coppie reali nelle specie più evolute possono raggiungere i 100 anni di longevità. Questi insetti appartengono comunque ad un gruppo piuttosto primitivo, probabilmente si sono evolute a partire da specie di blatte lignicole, simili a quelle appartenenti al genere Cryptocercus che ancora costituiscono piccole colonie all’interno dei tronchi nelle foreste dell’America settentrionale e dell’Asia orientale.

Le termiti, come le blatte, non hanno mai sviluppato buone capacità di volo, la loro morfologia presenta molti caratteri arcaici e sono rimaste sostanzialmente legate alle zone tropicali. Tuttavia la relativa semplicità di questi insetti, considerati singolarmente, non impedisce che le loro complesse aggregazioni sociali assurgano al livello di incredibili superorganismi, capaci di modificare profondamente persino il paesaggio dei loro ambienti di vita.  Oggi tutte le termiti sono insetti eusociali, la loro società può comprendere una casta di operai, maschi e femmine, una casta di soldati, maschi e femmine, una coppia reale primaria (un re ed una regina), deputata alla riproduzione, ed una casta di riproduttori di sostituzione (re e regine secondari o terziari) che possono sostituire il re o la regina primari qualora si rendesse necessario. A queste si possono aggiungere altre infracaste o sottocaste, come quella degli pseudoergati, individui ancora immaturi o neanidi, che svolgono comunque un ruolo attivo nell’ambito della comunità.  Tutte le 2000 specie di termiti sono organismi diploidi, cioè tutti gli individui che formano la colonia hanno un corredo cromosomico nel quale sono presenti due copie di ogni cromosoma, una di origine paterna ed una di origine materna. Questo fa sì che gli individui di una colonia, figli della stessa coppia reale, condividano tra loro in media il 50 % dei geni, tuttavia per effetto di un complesso sistema di feromoni che regolano la consistenza delle caste all’interno della colonia, lo sviluppo delle larve (neanidi) può seguire direzioni diverse secondo le esigenze del momento.

Negli Imenotteri eusociali, cioè nelle api, nelle vespe e nelle formiche vige invece l’aplodiploidia, cioè nella comunità coesistono individui diploidi ed aploidi, questi ultimi caratterizzati da un

numero di cromosomi dimezzato. Le femmine sono diploidi e si originano a partire da uova fecondate o anfigoniche, mentre i maschi sono aploidi e sono generati da uova non fecondate per partenogenesi arrenotoca.  Il sesso degli individui è determinato quindi dall’eventuale fecondazione o non fecondazione delle uova deposte dalla regina. In questi insetti l’accoppiamento delle regine avviene prima della fondazione della colonia, in genere in occasione del cosiddetto volo nuziale, durante il quale può avvenire anche l’incontro con maschi non imparentati, provenienti da altre colonie.

La regina in seguito conserva nel proprio addome  i gameti maschili ed è in grado di decidere, in base alla situazione della colonia, di produrre uova fecondate che daranno origine ad operaie o ad altre regine o uova non fecondate, dalle quali deriveranno individui maschi. L’aplodiploidia di questi insetti determina anche il grado di parentela dei componenti della colonia. In una colonia di Imenotteri eusociali  nella quale la regina si sia accoppiata con un solo maschio le operaie, se  figlie della stessa regina, condividono in media tra loro il 75 %  del patrimonio genetico, poiché il padre, aploide, ha fornite a tutte lo stesso contributo in termini di geni. Con la madre diploide esse condividono invece il 50 %  dei geni. Se la regina è invece una loro sorella, come accade nelle colonie di nuova fondazione, le operaie condividono ancora con essa in media il 75 % dei geni.

Il forte grado di parentela che intercorre tra le operaie e tra la regina e queste ultime può quindi spiegare il loro altruismo che si manifesta nella dedizione alla cura delle larve, della regina ed in generale della colonia.  La casta delle operaie  tramite il suo spiccato nepotismo, cioè l’altruismo rivolto verso individui strettamente imparentati, consegue indirettamente il successo e la diffusione del proprio patrimonio genetico. I maschi, aploidi, presentano un minore grado di parentela con le operaie, avendo in comune con esse solamente il 25 %  del genotipo, questo, secondo Hamilton, potrebbe spiegare la loro scarsa dedizione al benessere della colonia.

Nella società delle api domestiche (Apis mellifera) questo quadro tende a complicarsi perché le regine si accoppiano con più maschi prima della fondazione della colonia, pertanto il rapporto di parentela genetica tra le operaie dovrebbe risultare più variegato.

Se l’assetto genetico degli individui appartenenti alle varie caste presenta molte analogie nell’ambito degli Imenotteri eusociali, rimane comunque vero che l’aplodiploidia è presente anche tra gli Imenotteri non sociali, perciò essa non può essere comunque considerata una condizione né sufficiente né necessaria ai fini  dell’evoluzione dell’eusocialità, perché le termiti, come si è visto in precedenza sono diploidi.

L’evoluzione di un’organizzazione eusociale si è tradotta in un enorme vantaggio ecologico per i gruppi di insetti che l’hanno conseguita. Benché le specie eusociali  nell’ambito di tutto il mondo entomologico rappresentino solamente il 2 %, la loro biomassa complessiva rappresenta il 75 % di tutta la biomassa degli insetti. Questo dato trova un chiaro riscontro anche nei nostri ambienti, dove risulta facilissimo osservare formiche, vespe, api, e bombi, mentre le altre specie di insetti presentano in genere densità molto meno elevate. Molto più difficile risulta osservare le termiti nella nostra regione, non perché non facciano parte della nostra fauna, ma perché si tratta di insetti molto elusivi, che rimangono solitamente al di sotto della superficie de suolo o all’interno dei tronchi e dei manufatti di legno, provocando per questo anche cospicui danni. Le termiti sono presenti nella provincia di Teramo con due specie,  Reticulitermes lucifugus Rossi e Calotermes flavicollis Fabricius, entrambe dannose a travi, mobili, infissi e tetti di legno, oltre che ai tronchi degli alberi ed ai libri. Esse attaccano i manufatti di legno svuotandoli dall’interno e lasciandone intatta la superficie, perché, come le blatte, non amano la luce e la loro dieta si basa quasi esclusivamente su prodotti cellulosici che riescono a digerire grazie a microrganismi simbionti.

Le formiche presentano invece una strettissima affinità con le vespe, derivano infatti da vespe solitarie che hanno perso le ali, che si conservano solamente negli individui destinati a compiere i voli nuziali. Esse si suddividono in circa 12000 specie, particolarmente diffuse nelle zone tropicali, che hanno raggiunto straordinari e svariati adattamenti, come la capacità di coltivare funghi, di allevare afidi e cocciniglie, di realizzare zattere, di nuotare, di respirare in maniera anaerobica sotto la superficie dell’acqua, di saltare e di sfruttare come schiavi individui appartenenti ad altre specie (formiche dulotiche). Tra gli insetti eusociali esse hanno subito la maggiore diversificazione adattativa ed hanno stabilito rapporti di simbiosi mutualistica con molti altri organismi, animali e vegetali, ai quali assicurano la protezione dai predatori o dagli erbivori o la dispersione dei semi.

Come le vespe, da cui derivano, le formiche hanno in genere larve carnivore, per questo molte specie sono accanite predatrici di altri insetti e talvolta persino di piccoli vertebrati, per questo possono svolgere un ruolo utile negli agroecosistemi. Tuttavia gli adulti a somiglianza delle vespe spesso sono attratti da sostanze zuccherine, tali preferenze alimentari spesso le spingono a danneggiare i raccolti di frutta. Molte specie, come quelle appartenenti al genere Messor, ricercano anche gli zuccheri complessi, come l’amido contenuto nei semi dei cereali, che raccolgono in grandi quantitativi sottraendoli alle coltivazioni.

Mentre gli Imenotteri Vespidi  e Formicidi  generalmente hanno larve caratterizzate ancora da dieta zoofaga, gli Imenotteri Apidi per lo più si sono completamente svincolati dagli alimenti di origine animale. Le api ed i bombi hanno sostituito le proteine di origine animale con quelle contenute nel polline dei fiori, che raccolgono attivamente ed accumulano per alimentare le larve.

Il polline è costituito dai granuli pollinici (microspore contenenti il microgametofito immaturo),   che funzionalmente rappresentano dei veri propri organismi, contiene quindi elevate percentuali di proteine ed aminoacidi. Anche il nettare dei fiori contiene aminoacidi e le api sono in grado di scegliere i fiori il cui nettare possiede un maggiore contenuto aminoacidico e risulta quindi più nutritivo.  Le larve dell’ape domestica hanno aspetto vermiforme e vengono nutrite con la cosiddetta pappa reale, con polline  e con miele. Le larve destinate a diventare regine si sviluppano in celle speciali, le celle reali, e vengono nutrite esclusivamente con la cosiddetta pappa reale che viene secreta dalle ghiandole ipofaringee e sottomandibolari delle api operaie nutrici che abbiano un’età compresa tra i 5 ed i 14 giorni. La pappa reale è una soluzione acida (pH compreso tra valori di 3,7 e 5) ricca di proteine ed aminoacidi essenziali liberi che possono rappresentare oltre il 45 % del peso secco. Essa contiene anche glucidi, lipidi, vitamine ed oligoelementi. In particolare è molto ricca di vitamina B5 o acido pantotenico. Dopo la metamorfosi e l’emersione dalla cella reale, che si verifica dopo 15-17 giorni dopo la deposizione dell’uovo, le api regine vengono ancora nutrite con pappa reale dalle operaie per tutto il resto della loro vita.  Lo sviluppo fino allo stadio di pupa delle larve destinate a diventare regine, nutrite esclusivamente con pappa reale, dura cinque giorni e mezzo. Le larve destinate a divenire operaie o fuchi (gli individui maschi aploidi) sono nutrite con pappa reale solo durante i primi tre giorni di vita, successivamente la loro dieta è costituita da polline ed in misura leggermente minore da miele mescolati ad acqua. Con questa alimentazione lo sviluppo di tali larve dura circa 7 giorni (6 giorni e mezzo per i fuchi). Le api operaie nutrici nel periodo durante il quale producono la pappa reale seguono una dieta ricca di polline. Da questo alimento, che rappresenta la principale fonte di proteine per le api, derivano le proteine e gli aminoacidi essenziali contenuti nella pappa reale.  Nella società delle api le operaie rappresentano un caso straordinario di polietismo, cioè di un polimorfismo del comportamento legato all’età. Esse infatti durante la loro vita, che nella stagione calda dura in media 30 – 40 giorni  svolgono in sequenza tutti compiti che sono necessari alla vita della comunità.   Le api operaie più giovani si occupano durante i primi tre giorni di vita della pulizia delle celle e del loro rivestimento con la propoli, sostanza resinosa dotata di potere battericida che le api traggono dalle gemme delle piante. In seguito svolgono il ruolo di nutrici, dapprima fornendo acqua, polline e miele alle larve più mature, quindi, allorché si sviluppano le ghiandole ipofaringee e sottomandibolari che producono la pappa reale, si dedicano alla nutrizione delle larve più giovani, della regina e delle larve destinate a diventare regine. Successivamente quando si attivano le ghiandole ceripare le api operaie si occupano della costruzione e della riparazione dei favi. In seguito sono impegnate nel ricevere il polline ed il nettare trasportato dalle bottinatrici, per poi dedicarsi alla difesa dell’alveare (api guardiane) ed alla ventilazione (api ventilatrici). Solo dopo il  ventunesimo giorno vita le operaie iniziano a svolgere il ruolo di bottinatrici che poi continueranno a svolgere fino alla conclusione della loro esistenza.  Le api  operaie che nascono in autunno hanno invece una speranza di vita molto superiore, perché godono della pausa di attività che caratterizza la stagione fredda e possono vivere anche per sei mesi. Un polietismo  comportamentale analogo a quello delle operaie dell’ape domestica si osserva nelle popolazioni di formiche appartenenti a specie primitive, anche qui le operaie più giovani rimangono nel nido e svolgono la funzione di nutrici, mentre quelle più anziane assumono il ruolo di bottinatrici. Nelle specie di formiche più evolute questi ruoli sono ricoperti invece stabilmente da differenti classi di operaie specializzate. Le api operaie bottinatrici che viaggiano all’esterno dell’apiario rappresentano quindi la frazione più anziana della compagine delle operaie di un alveare. Tuttavia in condizioni di necessità, quando la colonia è malnutrita, anche api operaie più giovani divengono bottinatrici, questo cambiamento di ruolo sembra sia regolato dalla concentrazione di una proteina che agisce nel cervello dell’ape. Durante questa fase della loro esistenza le api  si spostano abitualmente in volo negli spazi esterni all’arnia, mentre in precedenza avevano trascorso la loro vita sempre negli spazi interni.  Per imparare ad orientarsi nei primi periodi di questa nuova attività le bottinatrici più giovani compiono comunque voli di ricognizione di breve durata. Dall’ambiente esterno le api prelevano  nettare, polline, melata, soluzioni zuccherine prodotte da frutti, propoli, resine e acqua. In genere le bottinatrici si specializzano nella raccolta di una di queste sostanze. Durante il volo possono raggiungere la velocità di venti chilometri orari e tendono a seguire delle piste aeree predefinite situate a quote superiori a 10 m dal suolo. Queste piste aeree vengono riconosciute in base a riferimenti spaziali ben precisi, come alberi, piccoli  rilievi, costruzioni, etc. e consentono di raggiungere nell’intervallo di tempo più breve le località di foraggiamento, situate in genere sempre  negli stessi siti, dove si verificano le fioriture più importanti. Lungo queste piste aeree, percorse quotidianamente da un gran numero di esemplari, le api mostrano un maggiore aggressività, simile a quella che manifestano nei pressi del favo. Questo comportamento, che può sfuggire all’osservatore umano, ha lo scopo di scoraggiare i predatori alati, gli uccelli in particolare, che imparano presto la dislocazione di queste vie preferenziali di transito. Tra questi predatori vi è il gruccione (Merops apiaster), un uccello di origine tropicale dotato di lungo becco e di livrea variopinta, che si è specializzato nella cattura di api, vespe e grandi insetti. Il gruccione, da sempre presente nelle zone mediterranee, negli ultimi anni ha conosciuto un considerevole ampliamento verso nord del proprio areale di diffusione. In Abruzzo, dove in passato era una specie molto rara, ora è invece piuttosto frequente, soprattutto nelle zone costiere e collinari, laddove vi siano scarpate arenacee o argillose, che rappresentano i siti di nidificazione preferiti da questa specie. Le api bottinatrici possono raccogliere durante gli stessi viaggi sia il nettare sia il polline prodotti dai fiori, tuttavia vi sono comunque api che si specializzano nella raccolta del polline. Il nettare è una soluzione particolarmente ricca di glucidi, prodotta da peculiari strutture, dette nettarii, situati all’interno dei fiori o su altri organi dei vegetali. Il nettare viene secreto principalmente per attrarre e ricompensare gli organismi pronubi che attuano l’impollinazione entomofila od ornitofila delle piante. Le piante che hanno impollinazione ornitofila, cioè attuata da uccelli, come i colibrì, presentano una produzione particolarmente elevata di nettare e posseggono solitamente corolla di colore rosso.

L’apparato boccale dell’ape è definito succhiatore-lambente ed è caratterizzato dalla presenza di una ligula (linguetta) formata dalla fusione delle due glosse, appendici pari pertinenti al labbro inferiore.

La ligula, che nelle varie sottospecie di ape domestica può avere una lunghezza che varia da 5,5 a 7 mm, consente di raggiungere il nettare situato all’interno di fiori caratterizzati da tubo corollino profondo o morfologie particolari, come accade nelle Leguminose o Fabacee. La ligula insieme ad altre appendici pari dell’apparto boccale, come le galee ed i palpi labiali, può costituire una sorta di tubo o proboscide, in grado di aspirare i liquidi grazie ad un’azione di risucchio attuata dalla faringe dell’animale. La ligula degli Apidi ha consentito a questi insetti di specializzarsi nell’alimentazione a base di nettare e di abbandonare la dieta mista che presentano invece le vespe. Queste ultime posseggono una ligula molto più corta e non sono in grado di raggiungere il nettare dei fiori dotati di corolla profonda, in compenso posseggono mandibole molto forti con le quali possono intaccare la buccia dei frutti maturi per accedere alla polpa zuccherina o sminuzzare il corpo di altri insetti. L’ape domestica non è invece responsabile di danni ai frutteti poiché è fornita di mandibole più deboli che non riescono a perforare l’epidermide dei frutti, anche se comunque le api sono attratte dai frutti già danneggiati dalle vespe o dagli uccelli. Il nettare aspirato tramite la ligula si mescola alla saliva nella faringe dell’ape e viene poi immagazzinato nell’ingluvie o borsa melaria, dove per l’azione degli enzimi contenuti nella saliva (diastasi, saccarasi, etc.)  inizia a trasformarsi in miele. Questo processo prosegue successivamente dopo il ritorno all’alveare con il trasferimento del contenuto della borsa melaria ad altre operaie (trofallassi), che a loro volta lo immagazzinano in apposite celle e lo ventilano. In questo modo viene persa buona parte dell’acqua per evaporazione ed i glucidi, che finiscono per rappresentare alla fine  l’80 %  del  miele, sono rappresentati essenzialmente dai monosaccaridi glucosio e fruttosio.

La raccolta del polline è un processo molto più complesso, al quale concorrono le tre paia di zampe dell’ape che sono munite per questo di speciali strutture. Sui tarsi di tutte le zampe vi sono gruppi di setole rigide, denominati spazzole, che raccolgono il polline che si deposita sulle varie parti corpo dell’animale durante le visite ai fiori, mentre nella parte inferiore delle tibie del terzo paio di zampe è presente una fila di spine che prende il nome di pettine. La veloce interazione delle spazzole e dei pettini delle zampe del terzo paio ed il movimento dell’articolazione tibio-tarsale, definita anche pinza del polline,  fa sì che il polline si accumuli in due depressioni delle tibie di queste zampe, denominate cestelle del polline o corbicule. In esse il carico, ben visibile,  viene sostenuto da un grosso pelo che lo attraversa. Nella ricerca del polline le api visitano anche i fiori impollinati dal vento, che non secernono nettare e non hanno colori vivaci, ma rilasciano grandi quantità di granuli pollinici. Tra questi fiori  figurano quelli dei salici (Sali spp.) e del mais (Zea mais). La visione dei colori, che riveste un ruolo fondamentale nell’individuazione dei fiori melliferi da parte   delle api domestiche, è stata studiata in maniera accurata da Karl von Frish (1886 – 1982), zoologo austriaco che dal 1910 si è occupato in maniera continuativa del comportamento delle api domestiche, studiandone il linguaggio e le percezioni sensoriali fino a mettere in luce quelle insospettate modalità di trasmissione delle informazioni che gli hanno valso, nel 1973, il premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina, insieme agli etologi Konrad Lorenz e Nikolaas Tinbergen.

Tramite un’accurata serie di esperimenti basati sulla somministrazione alle api bottinatrici di acqua zuccherata in piccoli recipienti posti su carta di diverso colore che venivano variamente spostati,  von Frish ha evidenziato che le api distinguono bene i colori giallo, verde – bluastro, azzurro, nero, bianco ed ultravioletto, colore quest’ultimo non percepito dall’occhio umano. Le api non vedono invece il rosso, mentre il verde della vegetazione appare loro come un’uniforme tinta grigio-giallastra nella quale risaltano in maniera ottimale le tinte dei fiori. Come si è detto in precedenza i fiori di colore rosso sono visitati essenzialmente dagli uccelli e sono frequenti soprattutto nelle aree geografiche che, come le Americhe, ospitano gruppi importanti di uccelli mellifagi impollinatori. In Europa i fiori dalla corolla rossa sono molto scarsi, alcuni di essi, come i papaveri dei campi, hanno petali che riflettono anche l’ultravioletto, per cui alle api, che non di rado li visitano, appaiono in realtà di colore molto più scuro, forse bluastro. Nella ricerca dei fiori le api utilizzano essenzialmente la vista, che nonostante gli occhi composti, raggiunge una minore precisione di quella umana; solo nell’ambito delle brevi distanze esse si orientano utilizzando i profumi emessi dalle piante. Quando un’ape bottinatrice ha individuato una pianta dalla fioritura particolarmente ricca di nettare durante le visite tende ad orientarsi solamente verso il colore ed il profumo di quella specie, tralasciando gli altri fiori eventualmente presenti. Sui fiori già visitati le api lasciano una traccia odorosa sgradevole che evita altri sopralluoghi nel breve periodo. Gli studi di von Frisch hanno messo in luce anche la capacità dell’ape domestica di discriminare la forma delle corolle dei fiori, esse infatti sono in grado di distinguere facilmente le corolle di forma sfrangiata da quelle di forma arrotondata, dotate di petali dai bordi interi.  La ricerca delle nuove fonti di alimentari viene fatta da una categoria di operaie definite esploratrici, che pattugliano il territorio alla ricerca di  fioriture.  Quando una delle  esploratrici ha  individuato una nuova risorsa sfruttabile  deve comunicarne alle compagne bottinatrici la posizione, in modo da consentire loro di utilizzarla tempestivamente. La scoperta della modalità con la quale viene comunicata questa posizione rappresenta  una delle pagine più importanti della Biologia moderna. La paternità di questa scoperta è sempre di Karl von Frisch, che osservò che l’ape esploratrice al suo ritorno nell’alveare esegue una specie di danza circolare muovendosi in maniera rapida sulla superficie del favo.  Questa danza circolare attira l’attenzione delle compagne che, nonostante la scarsità di luce presente all’interno dell’arnia, si appressano all’esploratrice che segue la danza circolare mutando di continuo il senso della rotazione. Le altre api tendono a seguire il percorso della danza circolare e percepiscono l’odore dei fiori che impregnano il corpo della compagna. In seguito l’ape esploratrice rigurgita del miele per rafforzare il messaggio ed esegue la stessa danza su altri punti del favo. Le altre bottinatrici memorizzano l’odore della nuova fonte di cibo e gradualmente fuoriescono per cercare nei pressi dell’arnia la fioritura individuata. Questo tipo di danza, definito danza circolare, indica che il punto di raccolta del nettare si trova ad una distanza non superiore ai 50 – 100 metri. Se invece il sito individuato dista di più, l’ape esploratrice esegue all’interno dell’arnia una danza piuttosto diversa,  descrive due semicerchi simmetrici (una sorta di “otto” schiacciato) separati da un tratto di percorso rettilineo che può avere una diversa inclinazione a seconda dei casi. Mentre percorre il tratto rettilineo l’ape agita pendolarmente l’estremità caudale dell’addome da destra verso sinistra e viceversa (scodinzola). Se la distanza del luogo ove si trova la fioritura si aggira intorno ai 100 m questa danza viene eseguita velocemente, se invece la distanza è superiore, la danza si svolge in maniera tanto più lenta quanto più il sito è lontano, ma in questo caso l’ape agita l’addome in maniera sempre più rapida. Così se la località scoperta dista 5 chilometri l’ape percorrerà il tratto rettilineo del suo tragitto di danza solo 2,2 volte in 15 secondi, se la distanza è invece di 1 chilometro il tratto rettilineo sarà percorso 4,6 volte in 15 secondi. Questi movimenti si accompagnano ad un particolare e tipico ronzio che sottolinea il ritmo della danza in un ambiente che è sostanzialmente oscuro Con questa danza, definita danza scodinzolante o danza dell’addome (Schwänzeltanz da von Frish) l’ape esploratrice non comunica solamente la distanza della località di raccolta del nettare, ma anche la sua direzione. Per fare questo essa utilizza come  riferimento la posizione del sole, la cui direzione rispetto all’alveare è indicata da un’ideale linea verticale nell’ambito dello schema del percorso di danza. Quindi, se il tratto rettilineo di questo percorso ad otto schiacciato viene percorso verso l’alto, significa che la fonte alimentare scoperta si trova nella direzione del sole, se invece viene percorso verso il basso vuol dire che essa è posizionata in direzione opposta rispetto ala sole. Se il tratto rettilineo forma un angolo di 30° a sinistra rispetto alla verticale ciò indica che il sito è ubicato 30° a sinistra rispetto alla posizione del sole, se invece il tratto rettilineo forma un angolo di 120° a destra vuol dire il luogo è spostato di 120° a destra rispetto alla posizione del sole. L’ape riesce a valutare la distanza della fonte alimentare con una certa precisione in base al consumo energetico che comporta il volo di andata e di ritorno, mentre riesce a tradurre un angolo orizzontale, come quello della direzione del luogo di raccolta rispetto al sole, in un angolo verticale, come quello che segue durante la danza, grazie alla sua percezione della direzione della forza di gravità, che avviene grazie a recettori che sono situati in corrispondenza delle giunzioni tra la testa ed il torace e tra il torace e l’addome.

Altri esperimenti sulla comunicazione tra le api domestiche condotti più di recente da Adrian Wenner sono giunti invece alla conclusione che, nonostante  la danza, il ruolo principale nella comunicazione dei luoghi che offrono fonti alimentari è data dalla scia odorosa lasciata dall’ape. Queste ultime conclusioni appaiono comunque ancora controverse, ma senza dubbio il corpo dell’ape è costituito in modo tale che si presta in maniera straordinaria ad assorbire gli odori dal mondo che lo circonda. I principali canali di comunicazione all’interno della società delle api seguono la via olfattiva e tra le sostanze che mediano queste comunicazioni un ruolo fondamentale lo giocano i feromoni, sostanze chimiche naturali che rilasciate da un individuo determinano una reazione a livello di comportamento in altri membri della colonia. I feromoni all’interno dell’alveare rappresentano una sorta di linguaggio specifico che regola i rapporti tra le varie caste della colonia e tra gli individui appartenenti alle diverse caste. La regina produce ad esempio un feromone mandibolare che segnala costantemente la sua presenza e condiziona alcuni comportamenti delle operaie, anche le larve e le operaie emettono a loro volta feromoni che inducono particolari reazioni comportamentali e fisiologiche come lo sviluppo delle ghiandole che producono la pappa reale destinata all’alimentazione delle larve. Proprio la presenza di questi efficientissimi sistemi di comunicazione e condizionamento contribuisce in maniera  sostanziale  a mantenere la coesione tra gli individui all’interno dei raggruppamenti di insetti sociali, facendone degli straordinari superorganismi i cui componenti sono completamente interdipendenti da tutti i punti di vista. Un modello di socialità completamente diverso  e molto più flessibile si è sviluppato invece tra i vertebrati superiori, dove le forme di associazione tendono a formarsi soprattutto sulla base del vincolo della conoscenza personale.

Nicola Olivieri

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