Le strade

In un documento molto interessante rinvenuto in archivio– uno studio sulla viabilità, datato 1913 – ho letto, incredulo, che si riteneva indispensabile collegare tramite strade carrabili i vari paesi della sponda destra del fiume Vomano (Pietracamela, Cerqueto, Fano Adriano, Intermesoli, Cusciano e Nerito) alla strada statale SS 80 (costruita nel 1870) e che era altrettanto necessario collegare poi tra loro i vari paesi, tramite una strada pedemontana! Il tutto era corredato da un piccolo progetto grafico nel quale si evidenziavano quali potevano essere i percorsi dei singoli tratti tra paese e SS 80 e quale quello dell’eventuale pedemontana.

La pedemontana era vista come necessaria sia per incrementare gli scambi tra i paesi, sia per non fare di ciascuno di essi un “vicolo cieco,” a causa del fatto di essere collegati alla rete viaria principale tramite un unico accesso. 

Era il 1913 (!!) epoca nella quale il numero delle macchine era praticamente vicino allo zero (targa tipo 62 004 oppure 62 014, con sigla di provincia -62 per TE- e numero progressivo), ma il buon senso era evidentemente di molto superiore a quello attuale, epoca questa nella quale dalle targhe è stato eliminato il numero progressivo (per non fare la targa più larga della macchina stessa!) e si usa una combinazione di lettere e numeri che permette di registrare fino a 234 milioni di veicoli!

Dal 1913, Cerqueto (buon ultimo, e di gran lunga, tra i paesi di cui sopra) ha dovuto incredibilmente attendere fino al 1961 per ottenere almeno la strada di collegamento con la SS 80, oltretutto realizzata senza pagare gli espropri e con  la larghezza minima (ma nessuno vietava di farla più larga) del suolo stradale di soli 5 m ammessa dalle leggi di allora. L’anno dopo la larghezza minima sarebbe passata a 7 m!

Questo ritardo non è certamente stato indolore se si pensa che i nostri compaesani sono stati costretti a spostarsi a piedi per molti più anni rispetto agli abitanti dei paesi vicini (Pietracamela e Fano erano serviti dalla strada già dagli anni ’30, cioè circa trenta anni prima, che corrispondono a quasi due generazioni), a discapito dell’economia e dello sviluppo del paese e, soprattutto, a discapito dell’istruzione: i nostri padri ed i nostri nonni non hanno praticamente avuto la possibilità, o sarebbe meglio dire la libertà, di studiare oltre la scuola elementare!

Ora, per quanto riguarda la strada pedemontana di collegamento tra i  paesi, cosa ci si poteva attendere da un Comune così inadempiente perfino per la strada principale, verso la sua unica frazione? Nonostante se ne parli, come visto, dal 1913, questa strada in verità non è mai stata nei fatti una priorità per il nostro Comune, al di là dei discorsi di circostanza o delle labili promesse elettorali, e questo vale per tutti i sindaci che si sono succeduti negli anni.

Considerare un’opera “priorità” in una legislatura, non significa tenerla tra incerte ipotesi realizzative da reiterare anno dopo anno nei bilanci di previsione delle opere pubbliche. “Priorità” significa volontà di voler davvero realizzare l’opera e quindi di compiere tutti i passi necessari allo scopo; significa prendere l’iniziativa e proporla a tutti gli altri comuni, accettando magari dei compromessi, ma sempre con il principale obiettivo in primo piano. Significa non fermarsi al primo ostacolo e non partecipare in modo passivo alle iniziative prese da altri enti per lo stesso fine. Se questo non è mai stato  fatto è semplicemente perché non la si riteneva affatto una priorità. L’unico progetto di un possibile tracciato è stato commissionato dal Comune negli anni ’80, quando era vicesindaco Giocondo Di Matteo, ma prima e dopo, niente di niente.

Ma non possiamo dare sempre le colpe solo agli altri.  Non va taciuta neppure in questo contesto l’abituale condiscendenza di noi cerquetani, sempre attenti a non schierarci mai contro il “potere corrente” e a prestare spesso  un occhio di riguardo solo ai nostri interessi personali e a sorvolare su quelli della comunità,  trascurando però che in fondo  poi pure questi, come in una partita di giro, sarebbero interessi di ognuno. E così spesso abbiamo accettato e votato decisioni che andavano in direzione del tutto opposta all’idea della strada.

Eppure è assurdo sottovalutare l’importanza che avrebbe avuto una simile opera per il nostro paese, specie se fosse stata costruita negli anni ’70. In questi ultimi anni è effettivamente più difficile sperare nella strada per vari fattori, ma negli anni ’70, in pieno boom economico, era molto più agevole ed era in quegli anni che se ne sarebbero ottenuti i benefici maggiori, quando il paese e tutto il circondario degli altri paesi vicini erano ancora vitali.

Anche la costruzione dell’albergo ed il suo auspicato buon andamento era quasi completamente subordinato alla realizzazione del collegamento con i Prati di Tivo. La stazione sciistica, in quegli anni di benessere e prima dell’apertura del traforo del Gran Sasso, richiamava sul serio tanti turisti, sciatori e no, alcuni dei quali poi, con gli alberghi dei Prati pieni e costosi, erano ospiti anche del nostro albergo (almeno finché questi  non capirono facilmente che se dovevano scendere da Cerqueto per andare a sciare, tanto valeva allora alloggiare negli alberghi di  Montorio). In seguito l’albergo è stato  mestamente chiuso.

Sarebbero stati innumerevoli i vantaggi di cui Cerqueto avrebbe beneficiato con il passaggio della strada e con il conseguente aumento del turismo. Tra i tanti, basti pensare al significativo aumento di valore che avrebbero acquistato tutti i nostri immobili, alle migliorie strutturali ed esteriori degli stessi e al probabile recupero di tutti quelli cadenti o diroccati,  con corrispondente  miglioramento della bellezza dell’intero abitato e dell’aumento della nostra ricchezza pro capite. La pedemontana (come spesso ha fatto notare Battista Mazzetta nel suo reiterato e importante impegno per far inserire la fattibilità della strada nei Piani Territoriali Provinciali, PTP) avrebbe inoltre costituito un transito di fondamentale importanza in presenza di calamità naturali, quando sarebbe necessario trovare un’alternativa sia alle S.P. per i paesi che alla S.S.  80.

Non va dimenticato poi il valore sociale dell’opera, dove l’aggettivo “sociale” è usato per sottolinearne  gli effetti positivi sulla qualità della vita  di tutta la popolazione. Tra i nostri paesi, le comunicazioni erano, paradossalmente, molto più intense nel passato, quando c’erano solo sentieri ed un’economia prettamente agricola, che oggi: un centro che ha una sola via di comunicazione che lo collega alla città, non ha quasi più alcun contatto con gli altri centri pur vicini: ne deriva un tipo di isolamento insidioso, poiché la vita sociale si riduce a quella del singolo gruppo comunitario e quindi per forza di cose monotona, senza l’ arricchimento e la varietà portata da altri gruppi. La strada invece avrebbe facilitato e suscitato nuove relazioni tra i paesi, con indiscutibile evoluzione dei contatti e degli stimoli per nuove e possibili attività culturali, turistiche ed economiche in genere. Di quanto detto ce ne siamo amaramente accorti io e gli altri della mia generazione: quando eravamo ragazzi non avevamo praticamente contatti con i ragazzi e le ragazze dei paesi vicini. Siamo cresciuti isolati nel nostro gruppo e le conseguenze di ciò (chiusura, diffidenza) ce le portiamo tuttora dietro.

A parte però le assenze propositive relative a quest’opera da parte del nostro Comune, in effetti altri enti più importanti, come la Provincia e la Regione, ne hanno sottostimato l’importanza. Nella seconda parte degli anni ’90 organizzammo a Cerqueto diversi incontri per riprendere il discorso sulla viabilità in montagna e per sostenere la causa della pedemontana rispetto al “collegamento rapido”,  sul quale contavano in particolar modo gli operatori turistici dei Prati di Tivo. Per noi era più essenziale sostenere l’interesse delle popolazioni dei vari paesi che quelli di pochi operatori turistici. Anzi eravamo convinti che anche per gli interessi di questi ultimi era preferibile la nostra tesi. Invitammo alcuni politici importanti a livello provinciale e regionale. Nonostante tutti a parole riconoscessero l’importanza dell’argomento e nonostante la successiva apertura di  alcuni tavoli di discussione, in pratica però, invece di scegliere tra le due opzioni, fu scelto di non decidere. Ci si limitò ad incaricare alcuni tecnici per progetti preliminari, in genere alternativi tra loro.

In seguito la Provincia è intervenuta in modo sostanzioso (anche troppo!) per aiutare la società che gestisce la stazione sciistica dei Prati di Tivo, anzi ne è divenuta socio di maggioranza. Altri soci pubblici entrati in società sono la Regione, il BIM, la CCIA, La Comunità Montana e vari Comuni, insieme con diverse società private: una corazzata!

Così sono stati spesi più di dodici milioni di euro (!) per ammodernare la sola seggiovia per la madonnina, con un impianto di potenza dieci volte superiore al precedente, ma con  un afflusso turistico diminuito molto più di dieci volte rispetto agli anni d’oro serviti dal vecchio impianto. Un tecnico che lavora con gli impianti a fune, mi disse che sarebbe bastato spendere circa un terzo dei soldi spesi per aver un impianto ugualmente modernissimo, ma molto meno dispendioso e che, per sua esperienza, il tipo di impianto scelto (che è il top degli impianti) era preferibile solo in posti turistici molto frequentati o soprattutto in quelli d’elite, altrimenti sarebbe stato impossibile bilanciare con i ricavi i costi di esercizio richiesti da un impianto simile.

Comunque sia, la situazione del turismo ai Prati di Tivo non  sembra migliorata poi di tanto. Forse sarebbe stato più opportuno creare prima le infrastrutture adatte ad invertire la tendenza negativa del calo delle presenze. Se si fosse optato  per impianti più economici, i fondi risparmiati potevano essere utilizzati per altre cose importanti come la strada. Oltretutto la pedemontana sarebbe la meno costosa tra le varie ipotesi presentate negli anni, sicuramente la più idonea dal punto di vista ambientale e la più utile allo scopo. Una strada costruita come si deve e comoda ha pure la grande particolarità di “ampliare”  tutto il nostro territorio, così da contrastare la percezione di territorio chiuso e fatto di strade ripide e scomode, come quelle che raggiungono i singoli paesi o le stazioni sciistiche. Sarebbe in questo caso tutto il circondario, tutti i paesi con i loro territori, ad offrire una non indifferente varietà di offerta. Nonostante ciò, si sente ancora parlare di “collegamenti rapidi” tipo il treno a cremagliera, che dovrebbe  collegare il piazzale di San Gabriele con la Laghetta: diventerebbe secondo me un nuovo esempio di sperpero del denaro pubblico, senza contare lo scempio che si farebbe sulla natura.

Sul fronte opposto c’è da rilevare  quel che dicono alcuni ambientalisti, schierandosi contro qualsiasi strada per raggiungere i Prati di Tivo. Secondo loro i paesi, invece di pensare ancora alle strade, dovrebbero inventarsi e creare condizioni allettanti per il turismo. Non si capisce perché però, in zone così depresse, gli abitanti, che a stento riescono a rimanerci, oltre a doversi finanziare per realizzare come tutti gli altri le infrastrutture occorrenti, dovrebbero poi anche fare uno sforzo suppletivo per attirare interesse.

Ci troviamo quindi a dover contrastare un fuoco incrociato, tra ipotesi alternative da un lato e contrarietà assoluta dall’altro. Peggio ancora è il disinteresse mostrato fino ad oggi dalla politica: se si eccettuano, come appena visto,  i centri principali come le stazioni sciistiche, tutto il territorio intorno viene trascurato. In fondo ci sono solo pochi paesi spopolati, un bacino elettorale pari a quello di pochi palazzi in città! Se la costruzione di una rete di collegamento tra i paesi negli anni 70 sarebbe stata un po’ come curare dei  malati di influenza con ampi margini di guarigione e anzi di miglioramento della propria condizione, oggi la stessa sembra come un’ultima ancora di salvezza per malati quasi terminali. Eppure essa è tuttora importantissima, perché offrirebbe, sia a chi ha intenzione di resistere nei nostri paesi sia a chi ci vedesse qualche opportunità da cogliere, diverse possibilità di iniziativa.

Bisognerebbe soffermarsi sul fatto che la decadenza dei paesi di montagna è una grave perdita per tutta la nazione, perché con essi scompare un modello di cultura ben determinato ed esclusivo di questi luoghi. Il dovere dello Stato quindi, rappresentato dagli enti preposti, è quello di creare le condizioni basilari (vedi appunto i collegamenti viari) affinché da queste  possano poi generarsi opportunità di lavoro, niente a che vedere quindi con l’assistenzialismo.

Angelo Mastrodascio

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