L’uomo e la natura

Non c’è alcun dubbio che uno dei motivi che rendono Cerqueto un posto unico e bellissimo sia lo spettacolo che la natura offre a chiunque voglia fermarsi anche solo un attimo ad osservare il paesaggio.
La vegetazione, il cielo, la montagna, l’acqua, l’aria pura ed incontaminata, fredda di inverno e fresca di estate, quel forte ed intenso colore verde, predominante sul panorama, non lasciano mai indifferenti, né i visitatori occasionali, né gli abitanti del posto.

Ci sono diversi punti del paese che regalano ampie viste panoramiche ed in qualunque direzione si volga lo sguardo prevale il contatto con la natura. Credo sia questa la ragione per cui proprio qui a Cerqueto in un momento di contemplazione dal Piano diretto sul profilo mutevole delle montagne della Laga di fronte al paese che si è presentata davanti a me la questione, dal vago sapore filosofico, relativa al rapporto tra l’uomo e la natura ed alla collocazione dell’essere umano nell’ordine naturale delle cose..

E’ un argomento vecchio come il mondo, sul quale si sono esercitati tutti i maggiori pensatori dell’umanità e che forse diventa ancora più attuale nei nostri giorni.

Sarà che quando al liceo i professori parlavano di Leopardi, Rousseau, i romantici e del loro drammatico rapporto con la natura io non capivo molto perché non ero per nulla interessato, mentre invece ora che l’età avanza e che sopraggiungono tempi meno spensierati questo tipo di riflessione si affaccia con curiosa frequenza.

Lo spazio di paesaggio molto ampio che abbraccia un numero considerevole di montagne e valli senza soluzione di continuità e, solo raramente, interrotto da qualche traccia di costruzione o manufatto dell’uomo, che si presenta davanti al paese, se vissuto con una predisposizione d’animo che potremmo definire “filosofica”, suscita con grande potenza la coscienza della limitatezza della nostra condizione umana e di noi stessi come individui soli nel mondo.

Di fronte a tanta natura siamo assaliti dal pensiero di quanto piccoli siamo a confronto del mondo che ci circonda. Basta una distanza di qualche chilometro affinché sparisca la vista dell’uomo e rimanga solo quella della natura che si riprende nel tempo e nello spazio inesorabilmente il suo predominio. Perché una cosa è certa. Forse con qualche alterazione (una piccola frana o un nuovo masso caduto per qualche aggiustamento geologico) oppure con qualche variazione di colore, ma quel panorama sarà lì a dominare anche quando noi non ci saremo più.

Una sensazione simile credo abbia ispirato il pittore Friedrich quando dipinse nel 1818 (siamo in pieno romanticismo) un quadro chiamato “Viandante sul mare di nebbia”. E’ un uomo che fissa lo spettacolo della natura in tempesta, una natura che è allo stesso tempo immensa e pericolosa e che esalta il concetto della piccolezza della dimensione umana rispetto alla potenza e vastità dell’opera della natura.

La natura si manifesta in tutta la sua furia o desolazione, perché è in corso una tempesta in mezzo alla nebbia, eppure quell’uomo, che evidentemente è davanti a qualcosa che non può comprendere perché troppo vasto, sembra padrone della situazione. Ha un suo portamento che sembra governare la scena e per questo acquista tutta una grandezza tragica. Forse sta pensando di gettarsi nell’abisso, oppure sta studiando i movimenti dei cumuli nebbiosi per capire come un viaggiatore solitario in quella situazione potrebbe riuscire a trovare la via di casa e della salvezza. Non possiamo saperlo.

Ma anche noi, come questo viandante, ogni volta che ci poniamo di fronte allo spettacolo della natura siamo travolti da sensazioni che cambiano e che caratterizzano lo specifico momento della vita/giorno che stiamo attraversando. La natura è qualcosa di assolutamente inaccessibile, mai pienamente conosciuta, ma allo stesso tempo fonte di immenso fascino ed attrazione e quindi di fronte ai suoi spettacoli ognuno di noi ne ricava sensazioni diverse, mutevoli in funzione del nostro stato d’animo. Quanto più lo spettacolo è di una bellezza severa,  che sgomenta tanto più noi ci sentiamo piccoli e fragili ed anche terribilmente inadeguati.

Ed allora resta la questione iniziale: quale deve essere il giusto rapporto tra l’uomo e la natura? Essa è qui per essere utilizzata, sfruttata, modificata secondo le nostre esigenze, in nome e per conto dell’aumento del benessere del genere umano oppure è necessario considerarla come la nostra prima genitrice e quindi in nessun caso è accettabile che venga radicalmente “snaturata”?

In tale contesto ancora più inquietanti sono gli interrogativi che suscita il pensiero che in un ambiente così spettacolare come la valle del Vomano o le pendici del Gran Sasso l’uomo negli anni sia stato capace di costruire chilometri di gallerie, abbia perforato in profondità la montagna, convogliato le acque e portato delle gigantesche turbine allo scopo di sfruttare le risorse della natura per generare qualla energia elettrica che serve ai suoi bisogni (spesso futili e superflui) lontani da qui.

L’uomo moderno, e soprattutto colui che vive nelle metropoli, spesso si crede superiore alla natura perché con il progresso della tecnica ha imparato a costruire delle macchine che la sfruttano e la imbrigliano a suo piacimento. Poi però basta uscire in una notte d’estate nuvolosa e senza luna, lontano dalle luci e dai rumori della civiltà, per sentire chiaramente quanto gran parte delle nostre costruzioni sono inutili e la nostra presenza nel mondo naturale sia solamente tollerata. Eppure a mio avviso questa è una sensazione del tutto salutare che dovremmo provare anche più spesso perché noi non siamo padroni neppure dei nostri pensieri e dei moti del nostro cuore.

Alla guida della nostra auto in mezzo al traffico cittadino, oppure osservando treni che corrono sulle rotaie e autostrade che attraversano vallate o gallerie che penetrano nel cuore delle montagne, ci sembra di avere in pugno il destino dell’universo. Poi però basta un attimo di fronte ad un vasto panorama di montagna o di mare con lo spettacolo dei venti, delle correnti, delle tempeste e della pioggia scrosciante, per rinsavire e prendere consapevolezza che entro un tempo stabilito, dovremo lasciare tutti i nostri oggetti ed anche questo nostro corpo con tutte le ambizioni e le speranze ad esso legate.

Tutto ciò aiuta ad avere maggiore rispetto per la natura, a preservarla ed a contrastare teorie e politiche per le quali sarebbe accettabile anche il suo iper-sfruttamento che porta a modificarla e spesso anche a distruggerla irrimediabilmente perché questo è funzionale al progresso e quindi migliora la condizione dell’uomo.

E’ ormai chiaro infatti che il dogma consumistico e capitalistico è in forte declino ed il momento è maturo per un cambio di mentalità che ci riporti all’antico rapporto di rispetto e timore reciproco tra uomo e natura. Per fortuna la coscienza di questa necessità si sta ampliando. Si comincia a parlare di riduzione dei consumi, di limitare i bisogni e di porre attenzione a sprechi e rifiuti. E’ un percorso irreversibile ed inevitabile che dovremo seguire tutti nel prossimo futuro e che dovremo insegnare alle prossime generazioni.

Andrea Marafante

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