Focus Natura – Mutamenti faunistici dei nostri ambienti urbani

A Cerqueto è stata notata, soprattutto in questi ultimi anni, una marcata diminuzione di alcune specie di uccelli come cardellini, usignoli, passeri e fringuelli, insieme ad un contemporaneo aumento di altre specie, come gazze e cornacchie. Perchè? L’amico biologo Nicola Olivieri, al quale abbiamo chiesto se i due fenomeni potessero essere in qualche modo correlati, ci offre  un’ approfondita  spiegazione.

Negli ultimi anni la fauna delle nostre città e nei nostri paesi si è arricchita di molte specie animali che fino ad un passato abbastanza recente apparivano completamente estranee rispetto agli ambienti urbani e suburbani.

Oggi all’interno dei centri cittadini del teramano è possibile osservare facilmente merli (Turdus merula) e storni (Sturnus vulgaris), gazze (Pica pica) e cornacchie grigie (Corvus corone cornix), ghiandaie (Garrulus glandarius) e taccole (Corvus monedula), gheppi (Falco tinnunculus) e poiane (Buteo buteo), tortore dal collare orientali (Streptopelia decaocto) e gallinelle d’acqua (Gallinula chloropus). I gabbiani reali (Larus michahellis)   sorvolano regolarmente alcune aree abitate dell’interno durante i loro quotidiani viaggi di trasferimento dalle zone costiere alle discariche, nelle pinete e nei giardini di periferia si possono osservare le evoluzioni degli scoiattoli (Sciurus vulgaris) tra i rami, mentre l’airone cenerino (Ardea cinerea) e la nitticora (Nycticorax nycticorax) compaiono frequentemente lungo i corsi d’acqua che attraversano le zone urbane e le aree antropizzate. Durante i periodi più freddi anche il martin pescatore (Alcedo atthis) dalla vivace livrea si addentra nelle nostre città seguendo le sponde di fiumi e torrenti, così come nelle zone costiere i cormorani (Phalacrocorax carbo) ed i tuffetti (Tachybaptus ruficollis), insieme ai gabbiani comuni (Chroicocephalus ridibundus), sono ormai ospiti quasi abituali dei porti e delle foci fluviali antropizzate.  Folaghe (Fulica atra) e germani reali (Anas platyrhyncos) hanno colonizzato da qualche tempo i laghi ed i fiumi più grandi dove si riproducono anche nei pressi degli insediamenti umani.

In altre regioni italiane la situazione non è dissimile e sono diverse le città ed i paesi italiani dove tra i grandi alberi dei giardini sfrecciano le sagome verdi dei ciarlieri parrocchetti monaci (Myopsitta monachus) e dei parrocchetti dal collare (Psitaccula krameri), eleganti pappagalli giunti a noi dai territori sudamericani e asiatici. I cieli di Roma, di Bologna e di altri centri urbani sono territorio di caccia del falco pellegrino (Falco peregrinus), così come il falco grillaio (Falco naumanni) da tempo ha stabilito i suoi siti di nidificazione tra i tetti di antiche città pugliesi e lucane, mentre i palazzi romani e triestini ospitano colonie riproduttive di gabbiano reale mediterraneo (Larus michahellis) come le falesie delle isole mediterranee.

Le motivazioni di questo processo di inurbamento che ha interessato molte specie animali sono molteplici, da un lato vi è stata la perdita di timore nei confronti dell’uomo, facilitata dall’affermarsi

nell’opinione pubblica di un atteggiamento più rispettoso nei confronti del mondo animale, dall’altro i nostri ambienti urbani e suburbani si sono rivelati più sicuri e ricchi di risorse alimentari rispetto a quanto accadeva in passato, grazie all’aumento di giardini privati e di aree verdi pubbliche, situate soprattutto nei quartieri periferici. In queste aree la pressione esercitata dai predatori è bassa, la caccia non è praticata, l’impiego di pesticidi è limitato, la vegetazione arborea è soggetta a minore disturbo rispetto alle zone agricole ed a molti incolti e boschi cedui di bassa quota. Inoltre questi ambienti offrono disparate fonti di sostentamento ad organismi che siano, anche solo parzialmente opportunisti, come sono molti degli uccelli e dei piccoli mammiferi che hanno colonizzato i nostri centri urbani.

Nel caso specifico della città di Teramo, ma la situazione si ripete anche in molti altri centri urbani della provincia e della regione, la presenza di corridoi faunistici costituiti dai parchi fluviali ed in generale dagli alvei dei corsi d’acqua, accompagnati da fasce di vegetazione ripariale arborea ed arbustiva, facilita notevolmente la penetrazione nelle aree verdi dell’abitato di specie animali e vegetali che seguono una direttrice che può partire dai non lontani boschi montani appenninici.

Accanto al vistoso incremento di alcune specie animali nelle aree urbane e periurbane negli ultimi tempi si deve comunque registrare la diminuzione o la rarefazione di altre specie un tempo decisamente più frequenti. Il decremento riguarda alcuni uccelli tipici della fauna urbana come il passero domestico (Passer italiae) ed il balestruccio (Delichon urbica), alcuni rapaci notturni, molti rettili, anfibi ed insetti che frequentemente comparivano in passato nelle nostre città e nei nostri paesi.

Anfibi come il rospo smeraldino (Bufo viridis), la rana dalmatina (Rana dalmatina) e la raganella (Hyla intermedia), un tempo molto diffusi, si sono fatti rari, probabilmente perchè la nuova gestione delle aree verdi e dei parchi fluviali esclude completamente la presenza dei loro ambienti di riproduzione elettivi, le pozze temporanee, gli acquitrini, gli stagni, le anse tranquille, i canneti palustri. Continui interventi di pulitura e di rettificazione degli alvei fluviali hanno distrutto completamente questi ecosistemi un tempo ben rappresentati, sottraendo il tipico l’habitat ad una caratteristica comunità animale e vegetale. Tra gli anfibi anche il tritone italico (Lissotriton italicus), un tempo piuttosto comune, si è fatto decisamente più raro, mentre l’ululone dal ventre giallo (Bombina pachypus), che fino a qualche decennio fa era frequente anche nei pressi dei piccoli centri urbani dell’alta collina teramana, appare quasi ovunque scomparso. Rospo comune (Bufo bufo) e rane verdi del gruppo esculenta (Pelophylax kl. esculentus) rimangono abbastanza diffusi, ma la loro frequenza appare diminuita rispetto al passato, anche in questo caso a motivo della rarefazione dei siti idonei alla riproduzione di questi anfibi.  La rettificazione di tutti i corsi d’acqua, che si traduce in un incremento della velocità della corrente e l’immissione incontrollata di pesci nei laghetti collinari, negli stagni permanenti e nei più piccoli ruscelli rende questi ambienti poco adatti alla riproduzione degli anfibi. Tra i rettili le specie più grandi, come il ramarro (Lacerta bilineata), il biacco (Hierophis viridiflavus) e l’orbettino (Anguis fragilis), appaiono in decisa diminuzione nelle zone periurbane, nonostante l’apparente conservazione del loro habitat. In realtà anche le aree verdi che circondano i centri abitati del teramano spesso negli ultimi tempi hanno subito grosse trasformazioni, sono praticamente scomparsi i pascoli di bassa quota, si sono rarefatti i prati stabili, sono spariti i filari di aceri campestri maritati alle viti, scompaiono gradualmente le grandi roverelle camporili ed i filari di alberi che accompagnavano i sentieri, si diffondono invece gli incolti dominati dai rovi, i robinieti e le boscaglie di invasione degli incolti, ricche di specie alloctone come l’ailanto (Ailanthus altissima).  Permangono ancora i seminativi aperti ed i campi di foraggere ma si sono allontanati dai centri urbani, mentre le cinture di orti, coltivi e frutteti che accompagnavano gli abitati appaiono essenzialmente un ricordo del passato.  Questo nuovo paesaggio vegetale caratterizzato spesso da formazioni vegetali più chiuse e sovente degradate influenza inevitabilmente la fisionomia della fauna che vi si insedia. Scompaiono o si rarefanno  infatti tutte quelle specie di uccelli, rettili e grandi insetti legate alle distese erbose asciutte, ai pascoli rasi, ai cespugli ed alle siepi isolate, alle grandi querce monumentali, alle colture cerealicole tradizionali, agli aggruppamenti di cardi. Questa modificazione è stata indotta in parte dalla eliminazione dell’allevamento brado e del pascolo ovino, anche marginale, alle basse quote, attività che avevano plasmato da tempi lontanissimi il paesaggio e la vegetazione di varie zone del teramano, situate soprattutto lungo le valli fluviali e la fascia costiera, utilizzate per la sosta delle greggi durante la transumanza, il transito del bestiame, il pascolo invernale. Queste aree, ancora in periodi recenti, erano indicate con denominazioni come stucchi, tratturi, poste, etc., risalenti ai tempi del sistema pastorale periferico delle Doganelle d’Abruzzo di origine aragonese.

Tra le componenti della fauna che sembrano aver maggiormente beneficato dei cambiamenti che hanno interessato gli ambienti urbani ed agricoli del nostro territorio negli ultimi tempi  vi sono gli uccelli appartenenti alla famiglia dei Corvidi, raggruppamento che comprende specie come la gazza, la cornacchia grigia, la taccola e la ghiandaia.

I Corvidi sono una famiglia di uccelli inclusa all’ordine dei Passeriformi, comprendente circa cento specie, le cui dimensioni variano dai diciotto ai settanta centimetri di lunghezza. Essi rappresentano pertanto il gruppo di Passeriformi che raggiunge le maggiori dimensioni.  La loro colorazione è abbastanza tipica, prevalgono infatti, almeno tra le specie europee, le livree di colore nero, grigio,  bianco e nero, tuttavia alcune specie europee e molte specie asiatiche ed americane esibiscono invece colorazioni brillanti, nelle quali compaiono l’azzurro, il verde, il giallo, il violetto ed il bruno. La presenza di questi colori vistosi nel piumaggio denota il rapporto di parentela di questi uccelli con i Paradiseidi (gli uccelli del paradiso) della Nuova Guinea, ma i Corvidi hanno strette relazioni filogenetiche anche con gli Ptilonorinchidi (gli uccelli giardinieri) della Nuova Guinea e dell’Australia, con i Corcoracidi australiani e con i Laniidi (le averle) eurasiatici ed africani. La zona di origine di questo gruppo di uccelli è stata identificata nell’area compresa tra l’Australia, la Nuova Guinea e l’Asia Meridionale, da qui essi si sono diffusi in tutto il mondo, differenziandosi in un elevato numero di specie, soprattutto in Asia e nell’America Centro-Meridionale. La diffusione quasi cosmopolita di questa famiglia testimonia il grande successo ecologico raggiunto dai suoi componenti, che rappresentano probabilmente il più elevato stadio evolutivo di tutta la classe degli uccelli.  Il successo dei Corvidi si deve in particolare alla loro organizzazione sociale, spesso molto complessa, ed al loro comportamento estremamente versatile, che rispecchia capacità di apprendimento e memorizzazione pressoché uniche nell’ambito del mondo degli uccelli, paragonabili a quelle di alcuni mammiferi.  Le spiccate capacità intellettive di questi organismi si manifestano attraverso la loro abilità nell’imparare per imitazione, nel saper riprodurre la voce umana ed i richiami di altri uccelli, nel ricordare anche a distanza di mesi la posizione di oggetti da loro nascosti, nel saper riconoscere la propria immagine riflessa in uno specchio.  Numerose indagini etologiche successive agli studi pionieristici dell’etologo austriaco Konrad Lorenz, svolti sulle taccole (Corvus monedula) e sul corvo imperiale (Corvus corax), hanno evidenziato la presenza nei Corvidi, in particolare nelle specie appartenenti al genere Corvus, di complessi comportamenti sociali, della capacità di costruire “strumenti” da utilizzare per la caccia e della possibilità di immaginare lo sviluppo di problemi e di ipotizzarne la soluzione. Secondo studiosi come Christopher Bird dell’Università di Cambridge  i Corvidi sarebbero dotati di un “intelligenza” paragonabile a quella dei primati, legata in buona parte alla loro vita sociale.  Nel corvo della Nuova Caledonia (Corvus moneduloides) è stata, ad esempio, rilevata la capacità di utilizzare bastoncini di legno per catturare le larve di insetti presenti nelle fenditure dei tronchi, comportamento simile a quello di alcune scimmie antropomorfe, nonché di impiegare pezzi di filo metallico opportunamente piegato ad uncino per estrarre il cibo da tubi.

Le sorprendenti capacità dei Corvidi  erano già note nell’antichità e vari autori autori classici latini riportano notizie riguardanti singolari vicende che hanno per protagonisti questi animali.  Anche nell’ antico mondo germanico i corvi godevano di grande considerazione come animali della preveggenza e messaggeri del mondo soprannaturale, mentre durante il Medioevo il corvo veniva associato alla figura di San Benedetto ed ospitato nei monasteri benedettini, in ricordo di un evento miracoloso avvenuto a Subiaco e ricordato da San Gregorio Magno.

Le spiccate capacità intellettive delle diverse specie di Corvidi sicuramente ne contribuiscono a spiegare il successo ecologico e la crescente capacità diffusione anche negli ambienti antropizzati ed urbani. Fino a tempi recenti nella nostra regione ed in generale nel territorio italiano essi si tenevano lontano dai centri abitati, ma nei paesi balcanici, nel Vicino  Oriente  ed in molte città dell’Asia l’insediamento di questi uccelli negli ambienti urbani risale a tempi abbastanza antichi. Non si può peraltro escludere che già nell’antichità classica e poi durante il Medioevo, alcune specie di Corvidi, come è sicuramente è accaduto per le cicogne (Ciconia ciconia) e per vari rapaci diurni e notturni,  avessero già colonizzato i grandi edifici e le aree urbane in Italia, per poi allontanarsene in epoche successive a causa della persecuzione umana.

In epoca moderna la prima testimonianza sicura dell’insediamento di Corvidi in città italiane riguarda la taccola (Corvus monedula), della quale è nota una colonia urbana a Roma dal 1906. Successivamente, soprattutto durante il secondo dopoguerra, questa specie ha colonizzato varie città italiane, soprattutto quelle dotate di centri storici e di grandi edifici antichi. In Abruzzo la specie era rara durante l’ottocento, ma in un periodo successivo imprecisato ha colonizzato quasi tutti i centri urbani, anche quelli minori, dove nidifica comunemente nelle cavità dei muri dei campanili e degli edifici storici, ma riesce ad utilizzare anche costruzioni più recenti. Nella nostra regione la taccola molto spesso utilizza i ponti come sito di nidificazione e questo le ha permesso di estendere la propria presenza anche ad aree lontane dai centri urbani. Talvolta, come doveva accadere in origine, nidifica ancora nelle cavità e negli anfratti di pareti rocciose, anche di tipo arenaceo. Laddove convive con l’uomo la taccola non si rende responsabile di danni particolari, ma può svolgere una funzione utile limitando la proliferazione delle popolazioni di colombi, infatti può nutrirsi delle uova e dei nidiacei di questi ultimi. Per questo motivo le taccole sono state introdotte in alcune città dove erano assenti, come è avvenuto a Venezia. Molto più spesso la specie saccheggia i nidi dei passeri, ispezionando i tetti degli edifici, anche di quelli situati nei quartieri moderni dove le colonie non risiedono. Le taccole frequentano inoltre le discariche e sono in grado di localizzare rapidamente i piccoli depositi di rifiuti commestibili. Gli individui spesso si trasferiscono quotidianamente in aree di campagna per alimentarsi, in queste zone si trovano sovente anche i dormitori comuni utilizzati dalla specie, localizzati su grandi pioppi  o roverelle.  Questi spostamenti avvengono soprattutto durante le stagioni autunnale ed invernale, quando la consistenza delle popolazioni tende ad aumentare per l’arrivo di contingenti di individui svernanti provenienti da altri paesi, in questi periodi gli stormi tendono a concentrarsi in alcune aree dove le disponibilità alimentari sono maggiori. Durante il periodo della nidificazione gli uccelli trascorrono in genere la notte nei pressi dei nidi. Le taccole sono uccelli molto gregari, che nidificano sempre in colonie, possiedono una complessa organizzazione sociale basata su una notevole capacità di trasmissione culturale interindividuale, che è stata messa in luce per la prima volta grazie alle osservazioni effettuate dell’etologo Konrad Lorenz in Austria. Le taccole sono uccelli monogami che stabiliscono legami di coppia già alla fine del primo anno di vita e la loro esistenza può avere una durata di poco inferiore a quella umana.

Abbastanza simile alla taccola nella livrea è la cornacchia grigia (Corvus corone cornix), che raggiunge comunque dimensioni maggiori, con una lunghezza totale di 43-47 cm. La cornacchia grigia di recente tende ad ampliare la sua diffusione in Abruzzo e nella provincia di Teramo, diffondendosi dalle zone montane nelle valli fluviali e lungo le coste, fino a penetrare nei centri urbani. Nelle zone montane la frequenza di questa specie era legata in passato soprattutto alla presenza dei pascoli e del bestiame, in seguito essa ha iniziato a frequentare anche le strade, i depositi di rifiuti ed i centri abitati, ambienti dove era possibile sfruttare risorse alimentari supplementari. Lungo le coste e presso le foci fluviali si nutre, come i gabbiani, degli organismi e dei rifiuti spiaggiati, mentre nelle aree collinari e di pianura frequenta in maniera piuttosto discreta le diverse tipologie di coltivazioni che possono offrirle sostentamento, preferendo per la riproduzione ed i dormitori i grandi alberi che fiancheggiano i corsi d’acqua. Seguendo la strada dei corsi d’acqua è penetrata nei centri urbani più grandi e nelle loro periferie. A Teramo si riproduce con poche coppie nei parchi fluviali  dai quali irradia all’interno della città.

Seguendo la strada delle valli fluviali di recente anche la ghiandaia (Garrulus glandarius), corvide dalla livrea piuttosto vivace, ha colonizzato negli ultimi anni le aree verdi della città di Teramo. Si tratta di una specie piuttosto elusiva che in passato prediligeva assolutamente gli ambienti boschivi, mentre ora in tutta la regione si incontra anche in aree aperte e coltivate, sebbene non lontane comunque da piccoli boschi e fasce di vegetazione arborea ove le ghiandaie nidificano e si rifugiano.

Un altro corvide che in epoca decisamente recente ha colonizzato le nostre città è la gazza (Pica pica L.), definita anche gazza ladra, denominazione giustificata dal fatto che questo uccello manifesta  una certa attrazione nei confronti degli oggetti lucenti, soprattutto metallici, che tende a nascondere.

Il nome scientifico della specie scelto da C. Linneo, Pica pica,  probabilmente è dovuto ad una confusione di specie, poiché con il termine classico pica in epoca romana si indicava piuttosto un uccello molto ciarliero, cioè la ghiandaia (Garrulus glandarius), così come accade ancora oggi nel dialetto abruzzese, nei dialetti laziali, in Campania, nelle Marche ed in altre regioni meridionali italiane.  Il termine italiano gazza deriva invece dal latino tardo gaia, testimoniato fin dal VI secolo d. C., ma anche in questo caso l’epressione  probabilmente era usata per indicare la ghiandaia, come ancora accade in Veneto ed in altre regioni settentrionali italiane. La gazza e la ghiandaia appartengono entrambe alla famiglia dei Corvidi, ma sono uccelli piuttosto diversi dal punto morfologico ed ecologico ed è singolare che nell’antichità si sia fatta confusione tra essi.  Vi è una certa probabilità questa incertezza delle fonti classiche deriva dal fatto che in epoca romana la gazza in Italia fosse molto meno diffusa e conosciuta rispetto a quanto lo sia attualmente. La gazza infatti è una specie legata ai campi aperti, alle praterie alberate ed alle basse quote, mentre evita i boschi chiusi e le zone montane. Poiché durante l’antichità gran parte del territorio italiano era ancora coperto da boschi è possibile che la diffusione di questo uccello fosse più ristretta, forse essenzialmente meridionale o orientale. Ancora oggi la gazza manca in Sardegna, dove è stata introdotta dall’uomo solo dopo il 1950 nell’isola dell’Asinara, dalla quale ha poi colonizzato la penisola di Stintino. Inoltre fino a pochi decenni orsono la gazza era quasi assente da gran parte della Liguria ed era rara in alcuni settori della Toscana, dell’Umbria e del Lazio. Forse la diffusione della specie ha subito un incremento nella tarda antichità e durante il Medioevo, quando la decadenza culturale ha ingenerato la confusione delle denominazioni. Al contrario la ghiandaia, come si è detto, era in origine un uccello essenzialmente boschivo, molto comune in epoca antica e ben noto  per i suoi tipici e sonori richiami di allarme. Nel teramano ed in altre aree abruzzesi e molisane la denominazione dialettale della gazza è “cola”, questo termine,  più che assumere un semplice valore onomatopeico, sembra riallacciarsi all’espressione pugliese “ciola, ciolo”, derivante a sua volta da “ciavola” o “craulo”, in uso nel Salento ed in Calabria, che a loro volta rimandano al latino gracula graculus. Con questi ultimi appellativi in epoca classica  probabilmente si indicava una specie comune e sociale come la taccola (Corvus monedula), si pensi in proposito alla fabula di Fedro “Graculus superbus et pavo“, piuttosto che l’attuale gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus) o quello corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), che sono specie montane e forse anticamente poco conosciute.

Nel teramano la gazza ha iniziato ad avvicinarsi ai centri urbani intorno al 1987, mentre contemporaneamente subiva un consistente incremento numerico anche nelle zone agricole. Oggi la specie è insediata in tutte le città abruzzesi, soprattutto nei quartieri periferici più ricchi di alberi e penetra in tutti i piccoli centri urbani situati a quote medio-basse. Nella porzione costiera e collinare della regione essa rappresenta oggi il corvide più frequente, con una densità media che forse supera le due coppie per kmq. La specie negli ultimi tempi tende a spingersi anche verso le zone montane, come accade nella valle del fiume Vomano, dove le gazze risalgono fino al passo delle Capannelle a circa 1300 m s.l.m.  In passato la specie era molto meno diffusa, manteneva un atteggiamento diffidente ed elusivo e rimaneva essenzialmente una specie agreste, di comparsa abbastanza irregolare in molti luoghi. L’arrivo delle gazze, predatrici di uova e di nidiacei, suscitava grande allarme nei piccoli passeracei, che emettevano forti richiami nel tentativo di scoraggiare gli aggressori; oggi che questi predatori rappresentano una presenza costante non è più possibile osservare le reazioni di allarme dei piccoli uccelli, che evidentemente ricorrono ad altre strategie di difesa delle covate. Secondo alcuni autori l’incremento numerico delle gazze e degli altri Corvidi nei pressi dei centri urbani ha determinato una riduzione delle popolazioni dei piccoli uccelli granivori residenti, come verzellino (Serinus serinus), verdone (Chloris chloris), cardellino (Carduelis carduelis), fringuello (Fringilla coelebs) e passero domestico (Passer italiae), i cui nidi sono esposti alla predazione da parte di questi corvidi. Nel teramano tale fenomeno sembra essersi verificato soprattutto a carico del passero domestico (Passer italiae), che invece rimane ancora una specie molto numerosa nelle città dell’Italia settentrionale dove l’inurbamento dei Corvidi non è avvenuto. Anche il cardellino (Carduelis carduelis) nelle zone abitate sembra meno comune che in passato e talora nidifica tra le piante ospitate sui balconi delle abitazioni nel tentativo di evitare la predazione. Tuttavia le gazze ed altri corvidi hanno comunque imparato ad ispezionare questi ambienti durante le primissime ore del giorno, quando è meno probabile l’incontro con l’uomo. Alcuni studi sembrano comunque non evidenziare un particolare decremento delle popolazioni di altre specie ornitiche nidificanti negli ambienti urbani a seguito dell’aumento delle gazze, tuttavia i risultati di queste indagini possono essere influenzati dalle dimensioni del contesto urbano esaminato, infatti nelle aree di dimensioni medio-piccole gli effetti del prelievo di uova e nidiacei di altre specie, presenti con popolazioni ristrette, può avere effetti più pesanti. L’impatto dovuto al prelievo di uova e nidiacei da parte delle gazze è comunque più marcato sulle popolazioni di specie di uccelli che sono oggetto di gestione faunistico-venatoria come starne, fagiani, etc.  Sicuramente nel teramano l’incremento numerico delle gazze è andato di pari passo con la rarefazione di una parte della piccola fauna, come rettili, anfibi, locuste, coleotteri scarabeidi, grandi lepidotteri, tutti organismi che sicuramente rientrano nella dieta di questi uccelli. Gazze e cornacchie grigie hanno imparato inoltre a pattugliare i bordi stradali durante le ore del tardo pomeriggio, soprattutto durante la stagione estiva, per nutrirsi dei piccoli animali travolti dalle auto.

Per quanto attiene l’impatto delle gazze sulle colture esso riguarda soprattutto il mais, l’uva, gli ortaggi ed i frutti di piante arboree e si esercita sia durante i periodi della semina che della maturazione. Nei frutti più grandi il danno è spesso molto evidente ed è dovuto allo svuotamento del contenuto interno attraverso  aperture superficiali,  è invece più difficile la valutazione degli effetti del prelievo di singoli semi ed acini in altre tipologie di colture

L’incremento numerico della gazza in altri paesi europei è iniziato intorno al 1965 e la specie oggi nidifica in molti dei grandi centri urbani del continente. In Italia la specie ha colonizzato le aree urbane soprattutto nelle regioni meridionali e successivamente nelle regioni adriatiche e padane. Nell’area urbana di Siracusa, in Sicilia, la specie era già presente alla fine degli anni ’70 dello scorso secolo, mentre nel Lazio ancora oggi l’inurbamento è avvenuto solo in poche aree.

L’insediamento della gazza negli ambienti urbani è stato favorito dalla presenza di fonti alimentari di origine antropica, in Abruzzo infatti la specie ha iniziato dapprima a frequentare le discariche e le piazzole di sosta situate lungo le autostrade dove era facile trovare residui di cibo e successivamente si è addentrata nelle zone abitate, dove in precedenza era completamente sconosciuta.

L’incremento numerico della gazza è favorito dalle sue abitudini riproduttive, già durante l’inverno la specie inizia a  predisporre i grandi nidi realizzati con rametti intrecciati e foderati con radici, erba, foglie o carta che costruisce su alberi di varie specie, ma soprattutto su pioppi, robinie e roverelle. Ogni coppia in genere costruisce molteplici nidi (da 2 a 4) nel proprio territorio, allo scopo di  confondere i predatori. Tra questi nidi uno soltanto è effettivamente utilizzato per la riproduzione.  Queste costruzioni sono sormontate da una cupola protettiva per evitare la predazione da parte della cornacchia grigia (Corvus corone cornix) e sono munite di uno o più fori di entrata ed uscita.   All’interno del nido vengono deposte 5-8 uova di colore verdastro tendente al blu o al grigio munite di picchiettatura bruna o grigia. L’incubazione delle uova ha durata di 18-24 giorni e viene svolta dalla sola femmina, che  rimane nel nido ancora per circa dieci giorni dopo la schiusa, mentre il maschio si occupa della ricerca del cibo. Dopo circa 21 – 28 giorni dalla schiusa, quando sono in grado di compiere brevi voli,  i piccoli abbandonano il nido, ma continuano ad essere sfamati dai genitori fino al termine dell’estate. Il tasso riproduttivo della specie raggiunge in media il 16 % e l’aspettativa di vita media degli individui adulti raggiunge i quattro anni. I nemici naturali delle gazze adulte sono essenzialmente rapaci diurni come lo sparviero e l’astore, grandi rapaci notturni, volpi e mustelidi. Uova, i nidiacei  e giovani sono minacciati soprattutto dalla cornacchia grigia, da gatti, mustelidi e da altre gazze adulte. Nelle aree dove la cornacchia grigia raggiunge elevate densità numeriche la consistenza delle popolazioni della gazza si mantiene piuttosto ridotta sia a causa dell’incidenza della predazione di uova e nidiacei, che della competizione alimentare tra gli adulti delle due specie.

Nell’intento di migliorare la convivenza tra l’uomo ed i corvidi le strategie di intervento diretto miranti alla riduzione delle popolazioni tramite abbattimento selettivo e distruzione dei nidi  attualmente non sembrano dare risultati apprezzabili se limitati ad aree ristrette ed a brevi periodi temporali, poichè a causa della elevata densità e della capillare distribuzione delle popolazioni di corvidi sul territorio l’eliminazione di alcuni individui da una certa area viene presto compensata dall’immigrazione di nuovi esemplari in cerca di nuovi territori provenienti da altre zone. Questo è dovuto anche alla presenza di un certo grado di erratismo all’interno delle popolazioni. Per avere un qualche effetto gli interventi di tipo diretto dovrebbero assumere una estensione spaziale e temporale così ampia da risvegliare il timore atavico di questi animali nei confronti dell’uomo in ampie zone, in modo da tenerli a maggiore distanza dagli insediamenti umani. Un tipo di strategia di questa portata appare attualmente difficilmente praticabile. Altri interventi potrebbero coinvolgere  i nemici naturali di gazze e cornacchie,  cioè soprattutto  rapaci diurni e notturni. Queste specie, che un tempo effettivamente abitavano anche le nostre città sono attualmente, per varie cause, in forte decremento numerico e non è ipotizzabile un loro aumento o  una loro reintroduzione nel breve periodo.  I sistemi impiegati per la protezione dei coltivi come cannoncini, nastri, sagome di predatori, zimbelli, dissuasori sonori di vario tipo, etc. esercitano un effetto limitato nel tempo poiché le gazze e gli altri corvidi imparano presto ad assuefarsi ai segnali visivi e sonori  che non rappresentano una reale minaccia. Perchè queste strategie abbiano una qualche efficacia devono essere impiegate solamente per brevi periodi ed alternando sistemi di dissuasione differenti, in modo da ritardare l’assuefazione ai diversi espedienti.

L’incremento eccessivo delle diverse specie di  Corvidi rappresenta in genere un segnale di squilibrio degli ecosistemi dovuto ad interventi antropici di lungo periodo  che in qualche modo determinano la semplificazione degli ecosistemi, favorendo la proliferazione degli organismi opportunisti. Qualsiasi strategia che pertanto miri realmente ad avere un qualche successo nel fronteggiare fenomeni di questo tipo non può prescindere dalla necessità di interventi che nella gestione degli spazi naturali e di quelli urbani costruiti, mirino in primo luogo al ripristino di quei livelli di  biodiversità idonei ad  assicurare il mantenimento degli equilibri nelle relazioni trofiche tra gli organismi.

Nicola Olivieri

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