Oh, cari Santi del mio paese! S.Biagio tra leggenda, storia e tarallucci

Un ricordo vivo della mia lontana infanzia sono i tarallucci di S.Biagio. Il giorno prima della festa del 3 febbraio , nonna Maria prendeva la tiella di rame, ripulita col sale e l’aceto, per cuocere i tarallucci, che mamma preparava sopra la “splanatura” in belle file, come tanti soldatini.

Il colore dei tarallucci cotti sembravano le gote delle bambole di porcellana; il profumo che si sprigionava dalla tiella, aperta con uno straccio bagnato, sapeva di pane, di casa, dei fiori dei nostri monti. Il sapore non so descriverlo, era un sapore di cose buone, genuine, del quale ancora ho nostalgia.

Ma la canestra si vuotava il giorno della festa perché i tarallucci venivano incartati e regalati alle persone importanti, tra cui il medico condotto. Mamma e nonna impiegavano una giornata per fare “li tarallucci” e riempire la bella canestra, nuova nuova, foderata con la tovaglia bianca.

Noi mangiavamo quelli aspersi con l’acqua santa, durante la Santa Messa, sicuri che ci avrebbero protetto dal mal di gola, benedetta con due candele incrociate per intercessione di S.Biagio.

S.Biagio era un medico vero, aveva studiato a Sebaste, sua città natale e molti furoni i malati che guarì nel corso della sua vita, vissuta nel terzo secolo della nostra era.

Il suo primo miracolo pare sia stato la guarigione di un bambino moribondo, perché una lisca di pesce gli si era conficcata in gola.

La mamma, per ringraziarlo, gli preparò una torta speciale col buco al centro perché si potesse spezzare meglio e da qui i “nostri tarallucci”.

Un’altra leggenda narra che mentre il vescovo Biagio si muoveva nei luoghi della sua terra (la Turchia) incontrò una donna disperata, perché un lupo cattivo le aveva tolto l’unico suo bene: un porcellino.

Il vescovo la rassicurò, dicendole che avrebbe convinto il lupo a restituire il maialino e così fu. Dopo alcuni anni la donna seppe che il Buon Vescovo era stato imprigionato e condannato a morte. Allora andò a trovarlo, portandogli in dono dei pani e delle torce che avrebbero permesso a Biagio di leggere, sua grandissima passione, e di consolare quanti erano nelle dure carceri.

La donna continuò per anni ad offrire le torce in onore del Santo e da qui l’uso delle candele accese per la benedizione della gola. Per sfuggire alla persecuzione di Licinio si ritirò in una grotta, lo nutrivano due aquile che lui benediceva ogni volta. Con le aquile, andavano a trovarlo tutti gli uccelli e gli animali della zona, specie quelli malati, che subito guarivano, poiché S.Biagio era anche veterinario.

La voce dei miracoli correva per valli e monti e arrivò anche alle orecchie dell’imperatore, che lo credeva un mago pericoloso e voleva quindi eliminarlo. Gli mandò un plotone di soldati, armati di tutto punto, per prenderlo e rinchiuderlo in prigione. I soldati raggiunsero la grotta, ma a difendere Biagio c’erano alcuni leoni, e quando i miltari videro quell’assembramento, zitti zitti si ritirarono e tornarono dall’imperatore.

Ma un bel giorno fu Biagio a presentarsi dall’imperatore per sentire che cosa volesse da lui. Strada facendo compiva miracoli: aggiustò le zampe ad alcune mucche che non riuscivano a tirare l’aratro, curò un cavallo che era caduto in un burrone, guarì un uomo storpio solo con la sua ombra. Tra un miracolo e l’altro si ritrovò nella reggia.

“Salute a te, Biagio, amico degli dei” disse l’imperatore vedendolo.

“Salute a te, maestà, ma io non sono amico degli dei. Io sono fedele ad un solo Dio, quello vero.”.

Licinio s’inquietò per quella risposta e ordinò che fosse subito gettato in prigione. Biagio restò in prigione per molto tempo. Alla fine l’imperatore decise di andarlo a trovare per convincerlo a fare sacrifici agli dei e portò con sé molte statuette.

Quando le vide il Santo, ebbe un’idea. Chiese di recarsi sulle rive del lago e di buttare le statuette nell’acqua. Se le statuette erano veri dei, si sarebbero salvate, altrimenti sarebbero rimaste nel fondo.

Pluff! In un solo gesto Biagio le buttò nel lago e nessuna statuetta tornò a galla. Indispettito, l’imperatore ordinò che anche Biagio fosse gettato nel lago ma l’acqua si raccolse lontano da Biagio che restò all ’asciutto. Fu ordinato ai soldati di preparare un gran fuoco e di buttarci Biagio, ma le fiamme fuggirono dal corpo denudato del Santo, che nel frattempo, cantava le lodi al Signore. Furono tentati altri modi per toglierli la vita, ma senza esito. L’imperatore, sentendosi beffato e sconfitto, ordinò che fosse decapitato.

Era il 3 Febbraio del 316 D.C., quindi tre anni dopo che Costantino aveva concesso la libertà di culto per tutti i suoi sudditi, ma Biagio non fu salvato. Un dissidio per questioni di potere fu causa di martiri di tanti vescovi e di tanti cristiani nelle tetre prigioni della Turchia, allora Impero Romano. Per punizione fu straziato con i pettini di ferro bollenti, che si usano per cardare la lana e per questo è anche protettore dei cardatori di lana,  oltre che degli animali, delle attività agricole e dei mal di gola.

Altri Santi di Febbraio proteggono dai  mali; per esempio, Santa Apollonia è contro il mal di denti. A Cerqueto si dice una piccola poesiola.  Me la insegnò nonno Giocondo, il mio nonno emigrante, che visse con noi solo pochi mesi  “M’è venuto nu gran male di denti /Credevo di morire certamente /Ho pregato Santa Apollonia e Santa Anastasia/ Acciocché il male di denti vada via”.

Rema Di Matteo

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