Santa Rita e le rose

 rose2Santa Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti, monaca agostiniana per un quarantennio, è chiamata la “Santa degli impossibili„ perché dispensatrice delle grazie più impensate. Nacque a Roccaporena, in quel di Cascia nel 1381 in pieno Medioevo: età molto violenta in cui dominavano rancori, fanatismi, lotte accanite tra Guelfi e Ghibellini, soprusi di ogni genere e delitti, tanti delitti anche fra uomini di una stessa famiglia.

In quest’epoca così sanguinosa, la piccina dimostra doti soprannaturali sin dalla più tenera età. Narra la leggenda che, mentre la neonata stava in culla, dalla finestra aperta entra uno sciame di api, le ronza intorno e, un’ape, dopo l’altra depone il miele sulla boccuccia schiusa. Vicino c’è un parente con le mani rattrappite, vede le api, teme che possano far male alla piccola e con le mani tenta di mandarle via. Subito le mani si risanano: è il primo miracolo di S. Rita.

La bambina cresce sana e bella nella sua casa, coccolata dai genitori che le insegnano a leggere e scrivere: diventata adulta, Rita partecipa alle festa e alle sagre della cittadina e, in una di queste, incontra l’uomo della sua vita, Paolo di Ferdinando membro di una famiglia violenta e sanguinaria.

Il notaio Antonio non è contento: ‹‹Tua madre ed io vogliamo per te una vita tranquilla, quella gente non è come noi›› dice il padre di Rita che sposa Paolo, nonostante le raccomandazioni.

Rita comprese subito che cosa volesse dire il padre perché appena entrata nella nuova casa , la suocera l’accolse con queste parole: ‹‹ Non ti devi mai intromettere negli affari degli uomini›› – e il suocero sottolinea le parole della moglie con uno sguardo arcigno. La giovane sposa comprende all’istante che in quella casa l’aria che si respira è molto diversa da quella a cui era abituata. Le donne sono considerate schiave ed esseri non pensanti, devono soltanto occuparsi delle faccende domestiche. Rita con la sua dolcezza cerca di convincere il marito a non partecipare alle terribili spedizioni punitive e un bel giorno il suo uomo rinuncia ad impugnare la spada e cambia vita; diventa mugnaio e va a vivere con la sua famiglia in un cascinale.

I vecchi amici lo chiamano vigliacco ed anche i suoi familiari non ne accettano il cambiamento.

La famiglia è felice nella nuova sistemazione e trascorre qualche anno sereno tra i prati odorosi e l’aria che sa di farina. Ma un triste giorno viene ucciso un fratello di Paolo, che deve tornare a combattere per vendicarlo, secondo la legge dura del tempo.

Rita deve accettare a malincuore la decisione del marito e cerca di tenere i figli lontani dall’ambiente violento della casa del padre. Insegna loro a leggere e scrivere e i dettami del Vangelo. I ragazzi però preferiscono vivere con i nonni paterni dove si combatte e si decide tutto a fil di spada. La Santa continua a vivere nel cascinale, perde gli amati genitori e spesso si rifugia nel convento vicino, per avere un po’ di serenità nell’attesa del suo Paolo, che non tornerà più. Viene trovato infatti morto da un contadino, tra i dirupi di un sentiero che lo avrebbe ricondotto a casa. I malvagi compagni di un tempo non gli avevano mai perdonato l’abbandono.

Si precipita nel luogo con i figli che alla vista del padre assassinato giurano vendetta.

Dopo un anno muoiono di peste anche i figli.

Il dolore fa quasi impazzire Rita che irriconoscibile si aggira per le strade: sporca, scapigliata, disperata, lacerata.

Dicono che è una strega e molti la scansano, le stesse suore non la fanno più entrare in convento e la suocera le chiude la porta in faccia.

Il priore del convento, che aveva conosciuto anche i genitori di Rita e sapeva che donna era stata cerca di parlarle: ‹‹ Il Signore non ti ha abbandonata, prova a pensare a Gesù e a tutto quello che ha sofferto e chiedi aiuto a Lui››. ‹‹Pregherò anch’io per te›› dice la madre badessa che aveva conosciuto Rita quando l’aiutava a curare le piaghe dei malati, che sorprendentemente guarivano al tocco delle sue mani.

Rita cerca di ritrovare la via della sua casa, cammina con fatica, ha gli occhi gonfi, i piedi laceri, ma urla disumane la risvegliano dal torpore. Le urla provengono da una casupola; apre l’uscio cigolante e trova una partoriente, sola, che ha bisogno d’aiuto. Rita ritorna l’infermiera brava ed efficiente, capace di risolvere le situazioni più difficili, aiuta la donna a partorire il suo bambino, cura e soccorre come può tutti e due, con le poche cose che ha a disposizione. La nascita di quel bambino coincide con la sua rinascita. Ritrova nella fodera dell’abito il foglietto sul quale la mamma le aveva scritto di non perdere mai la speranza e di affidarsi a Dio.

Vede intanto il suo viso riflesso nel fondo di una pentola e veramente sembra una strega, ma non lo è.

Si lava, si pettina, indossa un vestito pulito e ricomincia a portare il suo prezioso aiuto a chi ne ha bisogno.

La peste miete vittime come un falcetto affilato e tanti implorano pietà.

Viene a sapere che il cognato, l’ultimo membro rimasto della famiglia del marito è malato di peste e attende disperato la morte.

Rita va a curarlo e lo guarisce. Assieme a lui guarda le stelle e le sembra di vedere i visi dei suoi figli sorridenti e santi.

Rita ha circa trent’anni.

L’antico sogno di darsi completamente a Dio si risveglia in lei. Chiede alla superiora del convento di accoglierla tra le suore; la Regola lo vieta: non si possono ricevere donne che siano state maritate. Rita tre volte implora di essere accettata e tre volte viene respinta. Allora avviene il prodigio. E’ l’alba, la porta del convento è ancora chiusa, le chiavi sono, come sempre, nelle mani della superiora. La suora sagrestana scende in chiesa come tutte le mattine ad accendere le candele per la Santa Messa e vede qualcuno inginocchiato davanti all’altare. E’ una donna che la suora non conosce, è immersa così profondamente nella preghiera, che non si accorge neppure di lei e della luce delle candele accese.

La donna è Rita, entrata miracolosamente nella chiesa del convento, dove si erano rifiutati di riceverla. Non c’è regola che possa opporsi alla volontà di Dio. Si grida al miracolo e la Santa può finalmente vestire l’abito delle suore agostiniane e vivere solo per testimoniare Dio.

Consacrata al Signore è la più obbediente, la più umile, la più paziente delle suore. Le si comanda di fare i lavori più strani per provare la sua obbedienza, come quello di annaffiare un ramo secco di vite, tra i nascosti sorrisi delle altre suore, zappa, innaffia, cura il grande orto, come la più solerte delle contadine e lo sterpo secco fiorisce e fruttifica miracolosamente. Ancora a tutt’oggi, esso produce dei rigogliosi grappoli d’uva che vengono mangiati per devozione.

Assiste i malati, conforta tutti i sofferenti, visita i carcerati. Chi ha modo di incontrarla la dicono Santa e come S. Francesco riceve le stimmate.

Il Venerdì Santo del 1432, mentre prega davanti ad un crocefisso una spina si stacca dalla Corona di Gesù e va a conficcarsi nella sua bianca fronte. Il dolore è acutissimo. La piaga resta aperta per anni e anni, ma soffre senza un lamento. La ferita manda un odore così nauseabondo che le suore si devono allontanare. Rita vuole andare in pellegrinaggio a Roma, la superiora però le fa notare che non può; il lezzo della piaga è tale che non le permette di viaggiare con le altre suore. Ma la ferita si chiude all’istante, e può andare a visitare la tomba di S. Pietro. Al ritorno la piaga si riapre per chiudersi solo alla sua morte.

Siamo nel 1447 e giunge per Rita il momento in cui può andare a ricevere il premio dalle mani del Signore.

Sul letto di dolore esprime un desiderio e, ad una parente di Roccaporena, che era andata a farle visita: ‹‹Vorrei proprio sentire il profumo delle rose del mio giardino, va e portami una rosa››.

La parente sorride a quella richiesta, era gennaio e le rose sbocciano a maggio, non c’erano ancora le serre e i fiori e i frutti e i doni della terra rispettavano le stagioni.

Ma conoscendo Rita, si reca con fatica nell’orticello della Santa e trova le rose sbocciate tra la neve. Ne coglie una e la porta alla morente. I giorni di sofferenza non sono ancora finiti, deve tribolare ancora; la ferita sulla sua fronte ora ha il profumo delle sue rose. Intanto i giorni passano, l’inverno finisce. E’ maggio, le rondini intrecciano voli nel cielo azzurro e “fan mille giri„ sopra il convento dove Rita muore. Le campane ad un tratto suonano a gloria, nessuno le ha toccate, suonano da sole, mentre l’anima della Santa sale in Paradiso.

Nel povero lettuccio è rimasto il corpo ma non più il corpo rattrappito, rinsecchito dalla vecchiaia e dalla sofferenza, ma fiorente con le mani e i piedi rosei, profumati quasi di giovinezza e di gentili rose. Era il 22 maggio 1447. Ancora oggi il corpo è incorrotto e si può vedere nell’urna di vetro a Cascia da dove si diffondono l’eco delle grazie e del miracolo eucaristico, conservato nella Cripta inferiore. Dal popolo fu subito acclamata Santa, come è attestato dl Codex miracolorum, ma fu il papa Leone XIII che la proclamò il 24 maggio del 1900, dopo 455 anni dalla sua morte, assieme a S. Giovanni Battista De la Salle.

Santa Rita è festeggiata in moltissimi paesi e città italiane ed europee. Migliaia di pellegrini visitano Cascia ogni anno. E’ la Santa avvocata di tutti quelli che soffrono, specie delle partorienti.

A Cerqueto com’ era bella e profumata la nostra chiesa il 22 maggio, giorno della sua festa! Durante la messa solenne si portavano i boccioli di rosa che il parroco benediceva e mentre li distribuiva, reggeva il cestino la nostra Rita, l’unica cerquetana che si chiama come la Santa.

Ognuno custodiva il bocciolo con gran cura e quando qualcuno si ammalava, si era certi che lo avrebbe  guarito. ll ricordo di quei giorni, mi evoca il profumo delle rose mescolato a quello dei lillà “li flëure dé San Marchë” e delle giunchiglie, “li garuofënë dë li pratë”, che papà ,  nella sua meravigliosa sensibilità, assieme alla legna per scaldarci, coglieva per noi. Li  portavamo alla Madonna, la sera, quando andavamo a cantare: “Salve del ciel Regina”, accolte dalla statua di S. Rita, posta nell’altare di S. Antonio, di fronte a quella di un altro grande: S. Gabriele.

Rema Di Matteo

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