Sant’Antonio Abate tra storia, leggende e santità

ANTONIO Dal greco antìonos , nato prima oppure anthos, fiore. Per altri, dal latino Antonius, inestimabile. Patrono degli eremiti, dei monaci, dei canestrai

S. Antonio è considerato il caposcuola del Monachesimo, è uno degli eremiti più illustri. S. Attanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto, ci comunica notizie certe della vita di S. Antonio. Nacque verso il 250 a Coma, oggi Qumans in Egitto. A vent’anni perdette i genitori,  vendette tutto il grande patrimonio, affidò la sorella a una comunità di suore e si dedicò alla preghiera e al lavoro, in vita solitaria. Due secoli più tardi sarà la regola di S. Benedetto: “Ora et Labora” – “Prega e Lavora”. Un amico gli portava un po’ di pane e spesso si cibava con radici e frutti selvatici. Si spostò verso il Mar Rosso e poi sulle montagne della Tebaide, accanto ad una sorgente. Il demonio spesso lo tentava facendogli vedere tutti gli agi della vita che aveva abbandonato, ma S. Antonio era forte e mai si pentì della sua scelta. Il compagno di tutti i giorni era un corvo che gli portava il pane e gli indicava la strada per trovare l’acqua. Accorrevano da lui pellegrini e bisognosi di tutto l’Oriente, consolava tutti e compiva miracoli. Verso la fine del ‘300 incontrò S. Ilarione che fondò a Gaza, in Palestina, il primo monastero con gli insegnamenti del Santo. Nel 311 si recò ad Alessandria, dove incontrò S. Attanasio per consolare i martiri perseguitati da Massimino, Imperatore romano. Lo stesso Costantino e i figli richiesero i suoi consigli.

All’età di 98 anni seppe che l’eremita Paolo di Tebe aveva bisogno d’aiuto. Dopo tre giorni di cammino, in compagnia del corvo, trovò l’amico molto malato. Il corvo portò due pani ma Paolo morì tra le braccia di S. Antonio,  che lo seppellì con l’aiuto di un leone, dopo aver pregato. Trascorsero molte altre lune. Era un giorno pieno di sole e lo splendore della sua lunghissima barba si mescolava ai raggi, il suo cuore aveva cessato di battere. Due monaci lo trovarono sorridente, pieno di luce e coperto con infinite foglioline intessute dalle zampette del corvo. Era il 17 Gennaio del 356. Aveva 106 anni. Il suo sepolcro sarà scoperto nel 561. Del Santo ci restano 120 detti e 20 lettere dov’è manifestata la sua grande sapienza.

La prima chiesa costruita in suo onore è in Francia dove affluivano malati di ergotismo canceroso, causato da un fungo della segala che, a quel tempo, si usava per fare il pane. Il morbo provocava un bruciore terribile. Per ospitare tutti gli ammalati che andavano a chiedere la grazia, si costruì un ospedale. Nacque così l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani. All’Ordine il Papa accordò il privilegio di allevare maiali per uso proprio. I porcellini circolavano liberamente e portavano un campanellino di riconoscimento (ecco l’uso di mettere al collo delle bestie il campanello) così nessuno li toccava. Il grasso dei maialini era usato per curare “l’ignis sacer” cioè il fuoco di S. Antonio che è l’herpes zoster. Per questo nella religiosità popolare il maiale fu associato al grande eremita assieme agli altri animali.

Oltre al maialino nella sua iconografia compare il bastone dell’eremita a forma di “T”, la Tau, ultima lettera dell’alfabeto ebraico e il libro “Segni di Saggezza e di Eternità”. Com’è simpatico S. Antonio che, con il suo amico porcellino, si reca all’Inferno per recuperare le anime di alcuni morti, che, secondo lui, erano degne del Paradiso mentre il maialino distrae i demoni col suo campanellino.

Il nome mi riporta alla giovinezza vissuta a Cerqueto, un paese piccolo ma attento alle tradizioni e rispettoso dei Santi. Non c’era stalla che non avesse attaccato alla porta il Santino e non c’era padrone, dopo aver governato le bestie, che non dicesse:  “SANT’ANTUONËJË  T”AJEUTË”, “S. Antonio ti protegga” e quando si smarriva un animale, nessuno si preoccupava più di tanto, il Santo l’avrebbe protetto e fatto trovare. Speciale era il 17 Gennaio, le bestie venivano trattate meglio e la sera si andava a cantare “La Storia di Sant’Antonio”, un canto di questua, bellissimo che si tramanda da secoli (La voce di mio fratello accompagnata dalla sua fisarmonica mi lacrima nel cuore!).

Nel deserto dell’Egitto
Noi remiti mendicanti
Noi veniamo coi sacri canti
D’un gran Santo, d’un gran Santo
A celebrar.
Vi cantiamo la santa vita
Dell’eccelso Antonio Abate
E cortese a noi mostrate
Belle donne, belle donne il vostro cuor.
Ricco e nobile nacque Antonio
Disprezzò le sue ricchezze
Nonostante le dolcezze
Tutt’a Dio, tutt’a Dio si consacrò.
Fè dell’erba scarso pane
Fu la mensa sua gradita
Fu cent’anni e cinque in vita
Nei rigori, nei rigori di povertà.
Ripartì il patrimonio
Donò parte a sua sorella
Che devota figlia e bella
Tutt’a Dio, tutt’a Dio si consacrò.
E quel povero remita
Si rinchiuse nel deserto
Giovanetto poco esperto
Per amore, per amore del Buon Gesù.
Vedi tu che presto siamo
Dà la mano al tuo nemico
Fatti presto a farti amico
Per quel Dio, per quel Dio che ti salvò.
Fu eseguito senza stono
In raffronto al nostro canto
Viva sempre Antonio Santo
Cose buone, cose buone in quantità.
Ci darete voi signori
Ricompensa al nostro Santo
Viva sempre Antonio Santo
Cose buone, cose buone in quantità.

 
Spesso si continuava a cantare così:
 
 
Un quintale di gioie e zucchero
Cento libbre di torroni
E confetti e maccheroni
Cose buone, cose buone in quantità.
S. Antonio, giglio giocondo
Nominato per tutto il mondo
Chi lo tiene per suo avvocato
Da S. Antonio sarà aiutato.

Il gruppo canterino veniva rifocillato con un “goccetto” e con la “ricompensa” che poteva essere qualche salame, qualche salsiccia del maiale appena ucciso, delle uova fresche. Salutava con “SANT’ANTUONËJË TË L’ ARCUMPENSË”  e si continuava di casa in casa. Il ricavato della faticosa questua veniva cucinato e mangiato in “comunella” dalla maggior parte dei paesani con gioia e sempre in onore del Santo che visse nel deserto.

Rema Di Matteo

Lascia un commento