Storie di cardatori – Le marchigiane di Cerqueto

La vita dei cardatori di lana era sicuramente atipica: dura,  per i continui, quasi giornalieri, spostamenti,  ma per la stessa ragione, mai monotona. Avevano Infatti la possibilità di frequentare  realtà differenti a secondo della zona in cui si trovavano, di conoscere luoghi, storie, credenze e leggende locali e naturalmente  conoscere moltissime persone. A volte facevano amicizia  con ragazze con le quali potevano nascere storie, che potevano sfociare nel matrimonio e di conseguenza condurre la vita di famiglia a Cerqueto oppure nel paese della moglie. Altre volte, purtroppo, morivano lontano da Cerqueto e venivano sepolti in quei luoghi. In genere la notizia della morte arrivava in ritardo: abbiamo visto in un precedente racconto che la notizia certa della morte di Attanasio Pisciaroli (avvenuta il 30 novembre 1876) arrivò a Cerqueto proprio nel giorno di Natale. Il certificato, spedito da Comunanza, impiegò quasi un mese per raggiungere Teramo e da lì  il corriere, che aveva il compito di portare a mano  il certificato, raggiunse il municipio di Fano solo il 25 dicembre.

Di quelli che si sposavano lontano, alcuni non facevano più ritorno a Cerqueto, lasciandosi dietro i pochi averi e gli affetti familiari. E’ il caso questo, ad esempio, di Zaccagnini Domenico (nato nel 1851), fratello di Zaccagnini Giuseppe (1856) che era il padre di mia nonna Dionilla, oppure dei fratelli Antonio (1848) ed Agostino Di Matteo (1864), stabilitisi  a Fiuminata, nei pressi di Camerino.
La signora Maria Di Matteo, di Fiuminata e residente a Camerino, nipote di Antonio, ricorda con piacere le sue origini. Alcuni anni or sono, insieme al marito,  venne a Cerqueto per conoscere il paese da dove era partito suo nonno. Ricorda anche suo padre Gabriele, quando nel dopoguerra cardava la lana nella propria abitazione a Fiuminata, per uso famiglia e per altri. Segno questo che l’arte del lanaro, dai paesi di Cerqueto e Pietracamela, si era un poco trasferita anche nei paesi dove i lanari si erano stabiliti.

Tra le donne che si erano sposate con un cardatore ed erano venute ad abitare a Cerqueto, possiamo ricordarne alcune.

Cecilia Mariano di Villa Corvaro ( Stato Pontificio), nata nel 1801, moglie di Giuseppe Saladini, nato nel 1799 ed abitante nel Rione Castello.

La “marchisciana di Zicchërillë “, chiamata “Fidarma”, al secolo Angela Pedante, originaria di Treia (Macerata), nata nel 1861 e divenuta moglie di Zaccagnini Egidio che abitava nel Rione Piano.

La “marchisciana di Favettë”, Teresa Ribechi di Cessapalombo, vicino Tolentino (Macerata), morta il 23 aprile 1937 e moglie di Misantoni Giovanni, abitante al Rione Colle.

La “marchisciana di Mazzocchë”, Maria Gallope,  nata nel 1860 a San Severino Marche, seconda moglie di Di Cesare Domenico, vedovo e padre di primo letto di  Superna e Pasqua. Abitavano al Rione Piano.

Dobbiamo apprezzare il coraggio ed il senso di responsabilità di queste donne, che lasciavano i luoghi in cui erano cresciute per trasferirsi in un paese di montagna, dimora del futuro marito, senza conoscerne gli usi e le abitudini e con la consapevolezza che potevano anche non avere più possibilità di tornare nel proprio paese, dove avevano lasciato i loro cari e le amicizie.

A Cerqueto portavano comunque novità, costumi e saperi nuovi. Provenendo dallo Stato Pontificio, erano in genere molto religiose e i nostri anziani ancora ricordano le tante orazioni e le preghiere che Maria Gallope (rimasta inferma negli ultimi dieci anni della sua vita e morta nel 1945) soleva ripetere ed insegnare alle bambine di allora. Conosceva innumerevoli preghiere e pregava assiduamente per sé e per gli altri , tanto che molti, tra i quali anche il sacerdote Don Ruggero,  la consideravano quasi una santa.

La signora Teresa Misantoni, residente a Montorio e che ho incontrato qualche giorno fa, ricorda la nonna Teresa Ribechi come una  bella donna, con tante conoscenze, sia  di vita pratica che di  rituali “magici”, propri della religiosità popolare. Spesso i cerquetani la chiamavano per scongiurare il “malocchio” o per posizionare le “sanguette”, cioè le sanguisughe,  sui corpi di coloro che erano affetti da polmonite. Ricorda ancora anche una formula che la nonna ripeteva quando veniva chiamata per far guarire i bambini dai vermi intestinali:

Lu vervnë pïntuzë à natë senza l’occhië

l’occhië lu metterà e stà creaturë nun me la toccherà

Lunedì Santë, Padre, Fije e Spiritë Santë

Martedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì e Sabato

E la matinë di Pasquë lu vervnë pïntuzë  ‘nderrë caschë

La formula doveva essere ripetuta per sette giorni accompagnandola con gli abituali segni di croce sopra il bambino. Questo avrebbe permesso di sconfiggere i vermi. E la gente lo faceva!

Per i dolori di varia natura, la signora Teresa applicava sul paziente “le coppe a vent”: posizionava sulla parte dolorante una moneta da due soldi accendendoci sopra un piccolo pezzo di candela benedetta e coprendo infine il tutto con un bicchiere rovesciato.

Tutto ciò serviva per togliere o almeno lenire il dolore.

Erano queste le credenze di allora, che comunque alcune volte (o sarebbe meglio dire solo alcune volte) funzionavano!

Vincenzo Pisciaroli

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