Un’operazione temeraria

Vissuto fino alla veneranda età di 97 anni,   mio nonno, Luigi Ruscio, tataruossë, classe 1876, era un formidabile narratore e riusciva sempre a catturare  l’attenzione degli ascoltatori con i racconti della sua vita. Con lo sguardo perso nel ricordo di un passato in cui tutto era più difficile e i problemi di sopravvivenza erano all’ordine del giorno, i suoi racconti  a volte erano quasi incredibili …. Storie scritte nel nostro tempo, scolpite nelle nostre menti e nei nostri cuori , racconti che ci permettono di rivivere un tempo molto lontano dagli odierni stili di vita.

Correva l’anno 1926.  A casa sua, in una fredda giornata di novembre,  davanti al grande e luminoso camino sedevano il cugino Luigi  Bianchini, il postino del paese, e Domenica … detta di Sfardellë. Non era il solito passare il tempo in chiacchiere, “lu sedà” delle lunghe serate invernali. I due erano accorsi  in aiuto del nonno,  preoccupati per la sorte di sua moglie Liberata, affetta da polmonite.   L’ammalata giaceva esanime nel suo letto, al piano di sopra. La terapia delle sanguisughe non aveva sortito alcun effetto e la situazione diveniva di ora in ora sempre più grave. Don Alessandro, il medico condotto,   era stato a visitarla  nel pomeriggio e l’esito della visita non lasciava  alcuna speranza. Non c’era altro che si potesse tentare!

Il nonno, dalla personalità in bilico tra arditezza e riservatezza, tra ritrosia e arrendevolezza, tra severità e resistenza aveva sempre la consapevolezza di quello che faceva e sapeva sempre trarre vantaggio dall’osservazione  e dal ragionamento. Ora era in difficoltà,  in  preda alla disperazione.  La vita non gli aveva certo risparmiato sofferenze e dolori.  Aveva perso la sua giovane madre dopo nove anni di lunga e penosa malattia. All’età di 38 anni, aveva partecipato alla prima Guerra Mondiale, come richiamato, nonostante fosse sposato e con  tre figli di pochi anni. La sua primogenita Lucia era morta bruciata, mentre tentava di accendere il fuoco in casa insieme a due suoi coetanei, in una fredda giornata d’autunno, in assenza dei genitori. La moglie si era recata a prendere l’acqua e lui si trovava  alle Vigne di Cerqueto, intento a ricostruire il suo vigneto, suo orgoglio e insieme suo sostentamento, quando apprese la notizia della sua morte.  Aveva da poco avuto la quarta figlia, sempre di nome Lucia, in memoria della figlioletta perduta, quando la prima  moglie, Maria Zaccagnini, affetta prima da polmonite e poi dalla inesorabile grande influenza spagnola, morì nel 1919.  Rimasto solo con tre figli piccoli, viveva momenti molto difficili e duri. Si doveva preoccupare dei figli, della casa, del lavoro, necessario per non morire di fame, soprattutto della piccola Lucia, di appena due anni. Spesso era costretto a condurla con sè e lasciarla all’ombra degli alberi  mentre svolgeva i lavori nei campi. Era stato merito di suo padre se non aveva abbandonato Cerqueto. Ritenendosi inadeguato a fronteggiare la difficile situazione, aveva quasi deciso di affidare la piccola Lucia  alla zia Concetta che , sposata bene, si era trasferita in un paese vicino a L’Aquila. Avrebbe  poi  raggiunto il fratello Francesco negli Stati Uniti con i due figli maschi più grandicelli. Ma il padre gli aveva ricordato e fatto capire che non doveva separarsi dalla figlia , che andare dal fratello in America sarebbe stato comunque un azzardo, che l’unica soluzione era “trovare una donna con la testa sulle spalle,  una donna che facesse  il pane per poter mangiare ”. E così aveva deciso di risposarsi. Da Liberata aveva avuto altri due figli e l’ultimo, Giuseppe, era ancora lattante quando Liberata si ammalò di polmonite.

Non poteva  perdere anche la seconda moglie!  Il nonno sapeva che, oltre agli animaletti gelosamente conservati in vasi di vetro nelle farmacie dell’epoca, le sanguettë, si poteva depurare l’organismo procurando delle incisioni e facendo scorrere il sangue.  Il salasso era stata una pratica terapeutica comune e derivava da tempi molto antichi ma da diversi decenni era stato  severamente proibito anche ai medici. Considerato per diversi secoli un tocca sana che si praticava per la salute del corpo, il suo uso era stato proposto  in qualunque caso, perché i suoi benefici erano considerati fondamentali, anche se l’individuo non ne aveva bisogno. Il cugino Picchiulittë, trasferito da Cerqueto a Monaco di Baviera, conosceva tante pratiche mediche,  le proprietà terapeutiche di tante piante  e  aveva ben istruito il nonno Luigi , in occasione di una sua visita a Monaco molti anni prima, quando era ancora molto giovane. Inoltre come lanaro il nonno aveva girato molti paesi dell’Abruzzo e delle Marche e aveva fatto tante belle esperienze anche in campo “medico”.

Aveva in mano una lampada a carburo, la mitica acetilene,  che aveva soppiantato la lampada a petrolio, nonno Luigi quando scese le scale di legno nel silenzio totale della “casë”, la  grande cucina con il camino, il centro dell’abitazione, la casa per eccellenza.  Prese il rasoio che si trovava nell’armadietto a muro, lu stëjpë,  e rivolgendosi al cugino  disse: “Mi devi aiutare”. Alla vista del rasoio  il cugino, impaurito, replicò: – Ma perché, che intenzioni hai? Che ci fai con il rasoio?” – E il nonno, pienamente convinto della propria decisione,  rispose: “Devo cacciarle il sangue! Li sanguettë sono morte, non tirano più.  Il sangue è guasto!”  In preda al panico  il cugino di nuovo replicò:“Tu sei pazzo, ma che vuoi fare?” Allora Domenica coraggiosamente si fece avanti: “Non temere! Se lo vuoi fare, ti aiuto io! Lascialo perdere stù cataplasmë”.  E il cugino rimase al cantuccio sempre più impaurito ripetendo: “Voi siete pazzi, voi siete pazzi…”.

I due risalirono in camera, scoprirono il corpo inerte di Liberata e nel punto esatto dove erano le sanguisughe, sotto la mammella destra, il nonno affondò il rasoio per ben tre volte!  La carne bianca reagì ai tagli dopo breve tempo e il sangue cominciò a spargersi dappertutto. In poco tempo il letto divenne un lago di sangue. A quel punto il nonno cadde per terra, quasi privo di sensi. Lo spavento era stato enorme.  Domenica  urlò l’aiuto di Luigi .  Dopo pochi secondi intanto il nonno si riprese  e  subito  si riattivò per fermare il sangue. Mandò Domenica  nella vicina stalla per raccogliere tutte le ragnatele , vecchie e nuove, “li ciamariègnë”, note per le loro proprietà emostatiche e antipiretiche. Incredibile! Le ragnatele, il chinino dei poveri,  consigliate dalla farmacopea popolare fin dai tempi di Ippocrate!

Formato  un bel pacchetto di ragnatele lo deposero sui tagli  sovrapponendovi una fasciatura ben stretta.  Liberata non dava alcun segno di vita. Quando finirono, il silenzio, pesante come un macigno, assorbì anche i loro respiri. Avevano perso ogni speranza e pensavano che morisse da un momento all’altro. Improvvisamente  la voce flebile di Liberata ruppe l’attesa: “Compare Lui’, mi pare di avere  un po’ di fame!” Quasi increduli le  fecero mangiare un pezzettino di carne che gelosamente conservavano in casa da qualche giorno solo per lei. E Liberata bevve pure piccoli sorsi di vino gustandone  il sapore,  che iniziava a scorrere caldo nelle vene.
Ma con la fine della lunga notte,  l’inizio del nuovo giorno,  insieme alla gioia di vedere Liberata  risollevata, il nonno  iniziò a preoccuparsi per il medico. Sapeva di aver agito illecitamente ed era  sicuro di finire in galera. Tra lui e  don Alessandro non correva buon sangue, antichi rancori non erano stati del tutto  sopiti. Dopo aver ben pulito la ferita, rifecero meglio la fasciatura. Domenica dovette recarsi nel vicino ruscello di Rio Ferroni a prendere l’acqua per poter lavare per bene la stanza e riportarla alla normalità.

“ Sapete niente di Liberata?  E’ morta?” Chiedeva Don Alessandro, che aveva  pernottato a Cerqueto, mentre si recava a visitarla  la mattina  di buon ora. “Pare che stia meglio” Si sentì più volte rispondere. E con grande sorpresa trovò Liberata,  seduta sul letto, intenta a conversare con altre donne, che erano andate a farle visita. Sentito un polmone chiese a Liberata di girarsi per poter sentire l’altro polmone e alla vista di quanto era stato fatto,  rivolgendosi  al nonno,  chiese sorpreso: “Chi ha osato fare questo?” Il nonno senza alcuna esitazione si fece avanti: “ Se mi vuoi mandare in galera, questo è il momento! Fai pure, secondo la tua coscienza! “ Don Alessandro senza rispondere e senza altre risposte uscì dalla stanza e se ne andò.  Non ci fù mai alcuna denuncia e Liberata continuò ad occuparsi della famiglia, dei figli e dei nipoti fino al 1957.

Adina Di Cesare

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