Abruzzo come destino

Io non so se esiste il destino, so soltanto che ho incontrato per caso l’Abruzzo
e non l’ho mai più lasciato, mi ha voluto.

Nel lontano 1973, mi arrivava la cartolina precetto che invitava a presentarmi nella caserma”Berardi” di Chieti.

 E’ proprio lì, in quella caserma che è nato l’amore per questa terra, (da allora è rimasto fermo agli occhi e al cuore) quando dai bagni della mia compagnia ho cominciato a scorgere la Maiella, ad apprezzare un’acqua fresca e buona che proveniva dalle sue cime e poi quando si scendeva in cortile la mattina presto per l’alza bandiera, scorgevo in lontananza, un po’ sfumato il profilo del Gran Sasso.

 Ricordo, nonostante gli anni, la cordialità e la generosità della signora che gestiva l’osteria “Da Cesare” (noi militari la chiamavamo “Dalle Verginelle” perchè lei aveva due gemelle che, nonostante l’esercito dei militari passati da quelle parti, non avevano trovato un fidanzato), le sue fumanti, abbondantissime pastasciutte alla chitarra.

Sorrido ancora per quello che è un aneddoto gustoso: fresco di laurea mi sentivo un vero dott. e mi dava un po’ fastidio che tutti mi dessero del tu solo perchè indossavo la divisa di soldato.

Ho scoperto presto la meravigliosa semplicità e l’ umanissima immediatezza degli abruzzesi che danno del tu, a tutti, senza badare a titoli e onorificenze, prediligendo un contatto diretto da uomo a uomo.

Dopo un anno partivo con nostalgia da quella terra limpida di cieli, foreste e di cime, ricca di creature incredibili (lucciole, volpi, scoiattoli, cinghiali, lupi …..).

Nel treno che mi portava da Chieti a Roma, mi sono fatto una ferma promessa: qualunque nazionalità avrebbe avuto la donna della mia vita, sarei ritornato in quella terra d’armonia, in viaggio di nozze, anche per una sola notte.

 Ed ecco il colpo di scena del gioco…..lo chiamerò del destino?

 Una domenica sera novembrina di pioggia e nebbia a Treviso, dove mi trovavo per insegnare, incontro con una comitiva di emigrati una bella signora con un cappotto ampio, alla quale gli amici offrivano due caldarroste per volta, una per lei ed una per il bambino.

 Io intenerito del suo stato interessante mi avvicino e le chiedo: “signora suo marito dov’è?”

 Lei scoppiando a ridere chiarisce che tutto lo scherzo era nato per il suo cappotto ampio.

 Cercavo suo marito e quella ragazza chiara, abruzzese è mia moglie da più di trent’anni.

 Grazie a lei sono diventato cerquetano, ho percorso a piedi, religiosamente tutto il suo micromondo e ai cari ragazzi del posto dico di interrogarmi sui luoghi, anche a “saltare”, superando sempre l’esame grazie alla guida del maestro, mio cognato Pietro.

 Ora che è giunta l’estate 2010 l’ultimo verso della poesia che ho scritto proprio a Cerqueto recita così: “qui qualunque sosta sembra breve, è sempre breve, come per viandanti di passaggio”.

 Saro Gianneri

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