I focaroni: un rito prezioso

La sera del 9 dicembre a Cerqueto si riaccendono i Focaroni   “ li Fucareune”, un momento collettivo molto suggestivo, le cui origini si perdono nella notte di tempi lontanissimi. I fuochi vengono accesi per ricordare ed illuminare il cammino degli angeli che,  secondo la leggenda, nel lontano 9 dicembre 1294, portarono in salvo la casa della Vergine, traslandola miracolosamente da Nazareth fino ad un bosco di lauri, oggi Loreto. Alcuni documenti ritrovati confermano in realtà che il trasporto avvenne per mare su navi crociate. Infatti, dopo la cacciata dei cristiani dalla  Terra Santa, un esponente della famiglia Angeli, regnanti dell’Epiro, mise in salvo la Santa Casa, che fu poi trasportata nel 1291 a Tersatto, nell’odierna Croazia, poi ad Ancona nel 1293 e infine a Loreto il 10 dicembre 1294.

Senza raggiungere le dimensione di una volta, il focarone  conserva il suo carattere autentico e genuino proprio perché non ha fini turistici o commerciali. Gli abitanti dei quattro rioni organizzano separatamente questo rito con passione e dedizione; i giorni precedenti ammassano materiale in quantità, soprattutto ginestre e  ginepri, creando così una grande catasta da accendere per la festa.

Quali altri riti si intreccino intorno a questo evento, quali motivazioni lo abbiano generato non è facile dirlo. Insieme alla componente religiosa ci sono elementi ancestrali legati al culto dell’uomo di tutti i tempi per il fuoco ed elementi vicini al cambiamento della stagione: è il periodo dell’anno in cui si va verso i giorni più corti e bisogna scongiurare che il buio abbia il sopravvento sulla luce, il gelo riduca il calore. Potrebbe  trattarsi di una vera e propria festa del fuoco,  simbolo della vita, che ha permesso all’uomo di iniziare il cammino verso la civiltà. Ma c’è anche del misterioso, il fuoco non sempre distrugge: il fuoco scalda, attira, purifica, illumina, brucia, dà energia  e sacrifica!

Ma qual è il significato attuale di un simbolo così antico? Una società che non è più solamente agricola, che non usa più solo la fiamma per illuminare e il fuoco per riscaldarsi, quale rapporto ha con la cerimonia connessa al rituale del fuoco?  Tra i tanti significati possibili  c’è sicuramente la ricerca di una propria identità da parte di una comunità minacciata sempre più di estinzione e di solitudine. I falò accesi nei ricordi delle persone denunciano la nostalgia e il dispiacere per una cultura soppiantata dalla emigrazione. E poi, attraverso la festa, la comunità esprime la propria identità. E il momento in cui ognuno esce dalla condizione di singolo individuo per trasformarsi in qualcosa di diverso, una comunità. E’  senz’altro un bene culturale da salvaguardare e da proteggere, fragile, perché si tratta di un patrimonio non tangibile, immateriale. Ma è anche un patrimonio straordinariamente nobile, materia infinitamente preziosa che senza sosta rielaboriamo per ricostruire i nostri progetti sociali come comunità e per affermare la nostra autonoma identità. Per fortuna la natura  dei riti è flessibile e si proietta verso innumerevoli varianti, adattandosi all’evoluzione dei tempi e dei diversi contesti.

Al di là di tutte queste considerazioni a me piace ricordare i grandi fuochi di una volta, l’andirivieni frenetico dei giorni precedenti la festa, le corse in montagna, il traino dei ginepri giù per le discese, la sistemazione delle provviste in ogni vicolo del rione, negli incroci delle strade, a volte  nascosti per metterli al sicuro dagli sguardi indiscreti e famelici  dei concorrenti degli altri rioni. Solo poco prima della festa si raccoglieva tutto il materiale  in un unico, enorme mucchio.   Nel clou della serata la gente del rione era tutta raccolta intorno al fuoco. I più grandi, armati di rami nodosi, badavano a far ardere la legna, alzandola e attizzandola, mentre la fiamma si alzava sempre di più accompagnata dallo scoppiettio del ginepro. Inebriati dal profumo della legna che bruciava, si intonavano canti in omaggio alla Vergine Maria.  Si osservava il fuoco e si parlava del fuoco, di quanto la fiamma era alta. Si confrontava il proprio fuoco con quello degli altri rioni e si provava soddisfazione se erano più piccoli o invidia se erano più grossi. Noi ragazzi avevamo anche il compito di spiare, dovevamo riferire che ne era degli altri fuochi e che cosa accadeva intorno ad essi. Intanto le ore passavano e la fiamma, non più alimentata, lentamente si esauriva.  Allora vedevamo uscire da sotto la cenere, come dolci frutti del fuoco, le patate annerite. Quando ricevevi la tua patata bollente, la passavi velocemente da una mano all’altra soffiandovi sopra,  toglievi velocemente la pelle bruciacchiata, la mordevi  e ti scottavi il palato. E non finiva qui, quando la fiamma svaniva quasi completamente iniziava il salto dei tizzoni: uno dietro l’altro ci sfidavamo a chi faceva il salto più alto e più lungo, ora incitati ora frenati dagli adulti. Alla fine si ritornava a casa, le vecchiette un pò si strascicavano un pò si appoggiavano alle sedie su cui erano state sedute. E noi ragazzi commentavamo alcune fasi della bella serata, pienamente soddisfatti del contributo apportato al  proprio rione.

Se il focolare è il più chiaro simbolo della famiglia,  i focaroni hanno rappresentato e  rappresentano tuttora l’unità del vicinato, un momento di aggregazione e di vicinanza tra famiglie che vivono a più stretto contatto, che gioiscono e patiscono insieme per tutto il corso dell’anno. E’ un fatto che da quando la vita del rione è  ridotta anche i nostri fuochi si sono affievoliti. Per la prima volta quest’anno il rione Casale e il Castello non hanno organizzato la festa del fuoco. Il Piano ha acceso il suo fuoco con qualche giorno di ritardo a causa del forte vento. Solo il rione Colle ha rispettato pienamente la tradizione sfidando anche le intemperie. Auguriamoci che i  nostri fuochi, come i  fuochi di un tempo, continuino a riscaldare a lungo  i nostri cuori e ad illuminare le nostre menti.

Adina Di Cesare

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