I tre consigli… del saggio!

Francesco viveva in un bel paesino, alle pendici di un alto monte, con grandi querce e con ulivi, abbarbicati ai terreni scoscesi, ricoperti di erbe e fiori che, a primavera, facevano bella mostra di colori che inviavano profumi nell’ aria argentina.

Ma non si vive solo di aria e di colori! Nonostante il duro lavoro nei campi, il giovane,  sposato da poco, molto buono e molto povero, non riusciva a rendere felice la moglie  così decise, un triste giorno, di partire per l’America assieme al cugino Egidio, povero come lui, a cercare fortuna.

Dopo una traversata lungo e pericolosa arrivarono alla tanto desiderata meta. Il cugino trovò lavoro in una miniera, lui presso  un uomo molto ricco e molto saggio. Gli anni passarono, erano gli anni duri e tristi della guerra e le notizie non erano più giunte. Preso dalle tenaglie della nostalgia, decise di tornare al suo paese e ai suoi affetti.

Triste, molto triste, rimase il saggio, ora vecchio, all’annuncio della decisione di Francesco, per lui ormai come un figlio.

Prima della partenza volle dargli tre consigli, però, stranamente ne pretese il pagamento: 300 scudi. Era una somma molto alta, ma l’oramai non più giovane Francesco, accettò perché conosceva bene la saggezza del suo padrone. Oltre al foglietto su cui c’erano scritti i tre consigli, il saggio gli diede anche una bella focaccia che lo avrebbe sfamato durante il viaggio, faticoso e rischioso.

Sul bastimento trovò alcuni paesani e dopo tante ansie e peripezie approdò nell’amata patria.

Sbarcati, per raggiungere il paese, gli amici gli proposero di percorrere una strada più breve, diversa da quella conosciuta. Ma quando stava per unirsi al gruppo, si ricordò del “foglietto” su cui c’erano scritti i consigli.

Il primo diceva: “Chi lascë la strada viëcchië pë chë la nova, sa ca lascë e non sa chë trovë” – “ Chi lascia la strada che conosce per quella che non conosce, sa quella che lascia e non sa quella che trova”.

Allora disse ai compagni che gli dispiaceva lasciarli ma preferiva andare per la vecchia strada, che ricordava bene, anche se era più lunga e si salutarono.

Terribile fu la notizia che sentì quando si recò in una locanda per mangiare un boccone. Tutti i suoi compagni erano stati derubati ed uccisi da un gruppo di briganti. Ripensò al suo saggio e benedisse in cuor suo i cento scudi che gli aveva dato per questo prezioso consiglio.

Mentre mangiava gli si avvicinò, quasi volesse parlargli, una donna, molto grassa, senza una gamba, cieca in un occhio e priva del braccio destro.

L’apparizione suscitava sicuramente curiosità e Francesco stava per chiederle quale incidente l’avesse ridotta così ma ebbe un attimo di esitazione.

Il secondo consiglio diceva: “Quellë chë vitë, vojëtë e quellë chë siëntë, siëntë.” – “Quello che vedi, vedi e quello che senti, senti”.In parole povere: “Fatti gli affari tuoi, sempre!”.

Perciò non disse nulla e continuò a mangiare ignorando la pur ingombrante e invadente presenza.

Terminato il pranzo, andò a pagare il conto ma grande fu la sua sorpresa quando l’oste gli disse che non doveva pagare perché non aveva chiesto nulla alla strana signora. Col suo silenzio aveva sciolto l’incantesimo, perché tutti gli avventori che chiedevano notizie della donna dovevano essere uccisi per riparare ad un torto gravissimo, che era stato commesso in quel luogo, ai danni di un innocente. Francesco ripensò con infinita gratitudine al suo maestro: questa volta l’aveva veramente salvato!

Gaio e speranzoso si rimise in cammino. Ecco il piccolo camposanto: il cancello era sempre quello ma le lapidi dov’erano? Quanti “fornetti” e com’era diventato grande! Quante facce conosciute lo guardavano dai diversi piani! Con le lacrime agli occhi e nel cuore riprese la via, accompagnato dallo scricchiolio nelle orecchie del cancello. Era l’imbrunire, il sole era calato dietro il monte ma la sua luce ancora filtrava attraverso l’aria pura. Un suono amico lo scosse; i rintocchi del vecchio orologio del campanile d’un tratto lo riportarono alla sua infanzia e ai giorni di festa, quando andava a suonare le campane assieme ai suoi compagni. Che bei ricordi e com’era bella la chiesa ricca di arredi preziosi e piena di gente che cantava fiduciosa gli inni antichi! Ecco Cerqueto, il suo paese che tanto aveva sognato!.. Ma com’era diverso!

Le vecchie case non c’erano più, erano diventate più belle, tinte di colori nuovi, e le strade e stradette erano tutte asfaltate. Alcune macchine, posteggiate accanto ai muri testimoniavano il trascorrere degli anni.

Dov’erano le galline, le pecore e le mucche? Solo qualche cane abbaiava al suo passaggio. Riconosceva la casa di compare Giacomantonio col comignolo a cilindro, la casa di zi’ ‘Ngeluccio col comignolo a civetta, quella di comare Vincenzina coi battenti a forma di leone. Il suo paese, però, sembrava vuoto, disabitato. Dov’erano i bambini che giocavano rincorrendosi nella piazza? Che meraviglia i gerani rossi che rallegravano la bella via piana! Intanto si avvicinava alla sua casa e il cuore batteva sempre forte: ecco il vecchio balconcino di legno, ora cadente, di Giggetto e, finalmente, la ringhiera del suo balcone, la stessa dalla quale spuntava qualche margherita.

Si fermò un attimo, l’emozione gli soffocava il respiro. Poi si avvicinò un po’ di più e vide sua moglie, proprio lei, che parlava in tono molto amichevole con un giovane che sembrava un prete. Guardò meglio: no, no, non poteva essere! La realtà che si presentava ai suoi occhi era troppo dura.

Lacrime amare, irrefrenabili cominciarono a sgorgare dai suoi occhi, un’angoscia e un’ira profonda lo attanagliarono. In un attimo tutti i sacrifici e le sofferenze, le speranze, i desideri venivano cancellati dall’orrore di quella vista e dalla certezza di essere stato tradito dalla sua donna che aveva sempre amato. Un amore grande, infinito tradito! E, per giunta, con un prete! Era troppo! Stava per piombare su quei due come una furia ma … che cosa diceva il terzo consiglio?

“La rajjë dë la sajërë arpunnëla pë la matëjënë” – “ La rabbia della sera conservala per la mattina”.

Allora, come un mendicante a cui avevano scippato le scarpe, si recò da compare Giovanni. Il compare guardava la televisione assieme al suo Brik, unico compagno di vita. È facile immaginare gli abbracci tra i due amici! A mano a mano le emozioni si chetarono, il compare ristorò l’amico, da tempo a digiuno, con una bella tazza di latte caldo a lunga conservazione e poi gli raccontò tutto della moglie. La poverina, rimasta sola, aveva partorito il loro bambino, lo aveva accudito e con tanta fatica l’aveva fatto studiare ed era diventato prete. Ora era proprio il prete del loro paese e viveva con la mamma come aveva sempre fatto da quando aveva celebrato la prima messa.

Il racconto di compare Giovanni era una musica, la più dolce per il suo cuore e rasserenato dalle belle notizie corse ad abbracciare i suoi cari a notte fonda.

È difficile descrivere la gioia di tutti e tre nel ritrovarsi. Il figlio prete guardava il padre che conosceva attraverso una fotografia e i racconti della madre e più lo guardava e più si sentiva felice. Nella piccola casa, anche se era notte, splendeva il sole.

Quando nel tagliare la focaccia del vecchio saggio scoprirono un sacchettino con dentro i 300 scudi, la sorpresa per tutti e tre fu grandissima e finalmente vissero felici e contenti…

Rema Di Matteo

(Racconto di mamma Isabella)

SALVIAMO IL NOSTRO DIALETTO!

I TRE CONSIGLI

1)   “Chi lascë la strada viëcchië pë chë la nova, sa ca lascë e non sa chë trovë”

2) “Quellë chë vitë, vojëtë e quellë chë siëntë, siëntë.”

3)   “La rajjë dë la sajërë arpunnëla pë la matëjënë”

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