Jack, il nonno americano.

La soffitta della mia vecchia casa di Cerqueto custodisce tanti oggetti fuori uso: vecchi mobili, giocattoli, attrezzi da lavoro, utensili del babbo. Appena ho un po’ di tempo, mi piace curiosare tra quelle cianfrusaglie piene di ricordi . Mi fanno sentire la presenza delle mie care persone, che non ci sono più. Tra tanti oggetti trovo giornali coperti da un lieve strato di polvere. Uno mi colpisce. E’ ingiallito  e scritto in inglese. Nella prima pagina ritrae una foto dei nonni, che io affettuosamente chiamo “americani”, mentre stanno salendo sulla scaletta di un aereo. Apprendo, dalla mia traduzione appena sufficiente, derivata dalla conoscenza scolastica della lingua inglese, che stanno per salire su un aereo, che dalla città di Filadelfia li porterà a New York , e da lì torneranno a Roma. Era il 4 ottobre 1962. Nonno Giocondo, ma per tutti Jack, era nato nel 1890 a Cerqueto. A dodici anni rimase orfano di entrambi i genitori e insieme al fratellino Geremia viveva con una zia paterna. Nei primi del Novecento  anche nel paesino nostro  soffiava il vento del “sogno americano”, così il nonno, motivato dalla sua vita di stenti, decise di partire. Una fredda mattina di primavera, tersa e luminosa, fa da cornice alla sua partenza. Con la sua valigia marrone, di cartone, legata con lo spago, lasciò il paese per inseguire la fortuna della quale aveva proprio bisogno. In quella valigia c’erano pochi stracci,  messi lì alla rinfusa, e poche cose per mangiare. Dopo varie peripezie e con mezzi di fortuna arrivò a Napoli e finalmente si imbarcò sulla nave passeggera Tirrena. Era il 1912. La nave impiegava diversi giorni per arrivare a Boston, meta della destinazione. Durante il viaggio conobbe una famiglia di napoletani che, già ambientati in America, vi facevano ritorno dopo una gita di piacere. Compare “Jonny”, così si chiamava il capofamiglia, aveva  a Boston una pizzeria già avviata, così chiese a quel “caruso”, una volta giunti in città, se voleva lavorare per lui. Il nonno accettò. A Cerqueto aveva frequentato la scuola e per questo sapeva leggere, scrivere e fare i conti. In pizzeria però faceva piccoli lavori domestici e pulizie varie del locale, perché di pizza non ne sapeva nulla. Guadagnava bene, riusciva a mettere da parte anche alcuni centesimi perché pensava sempre di tornare al suo paesino, ma voleva cercare un altro lavoro. Capitò per caso al locale un titolare di una miniera di carbone. Dopo che il nonno gli aveva raccontato la sua storia, gli chiese se aveva un lavoretto per lui. Lavorò alcuni anni per questo impresario, si trovava bene   e guadagnava altrettanto bene. Tornò a Cerqueto per un breve viaggio, per sistemare  un po’ la sua casa. Durante la sua permanenza,  collaborò con i paesani per il restauro della torre della chiesa parrocchiale di Sant’Egidio e ancora oggi il suo nome è nell’effige di ferro. Ha idee liberali e questo contrasta con la mentalità un po’ “retrò” del parroco e di  alcuni cerquetani che con l’aiuto degli amministratori fanesi avrebbero voluto chiudere l’accesso al Piano Santo  verso il rione Piano. Insieme ai fratelli  Luigi e Giovanni Ruscio, protestò e l’accesso rimase aperto, così com’è ancora oggi. Disposto a rimanere ancora per un po’ di tempo, si innamorò  di una bella ragazza, la nonna Isolina. Nel frattempo scoppiò la prima guerra mondiale e dovette partire per il fronte, partecipò alla battaglia di Caporetto e insieme allo zio Michele, fece ritorno sano e salvo a Cerqueto. Finalmente coronò il suo sogno d’amore e sposò la nonna. Dopo la nascita della  primogenita, mia madre Isabella , tornò in America dove aveva lasciato tutti i suoi interessi economici anche se quelli affettivi erano a Cerqueto. Con un giovane di nazionalità tedesca aprì una cava di granito e finalmente si avverò il suo sogno americano! Guadagnava bene e costruì una bella casa tutta per se’ e per sua moglie, che nel frattempo aveva avuto un’altra figlia, la zia Dina. La nonna lo raggiunse in America assieme alla zia e rimase sino al giorno del loro ritorno in patria. Anche la zia Dina si stabilì a Filadelfia con tutta la sua famiglia. Solo la mamma Isabella,  un po’ per la paura di volare e anche per non lasciare il suo amore, papà Quintino, che nel frattempo è diventato suo marito , non è mai partita…  Io ho conosciuto il nonno. Ho di lui un bel ricordo. Era un  bel signore distinto, somigliante all’attore Henry Fonda. Lo rivedo con due occhioni cerulei,  sorridenti ed espressivi. Dopo il suo ritorno visse solo pochi mesi a Cerqueto. La sua salute, già compromessa, con il freddo di quei primi giorni  di Febbraio si aggravò  e morì. Riposa nel piccolo cimitero del suo amato paesino come lui desiderava. La nonna Isolina tornò successivamente  dalla zia in America, ma dopo pochi giorni si ammalò e non tornò più in Italia. Sono fiera dei miei nonni, ho solo un grande rammarico: mi mancano le loro esperienze di vita ma soprattutto le loro “coccole”.

Rita Di Matteo

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