La ruota dei proietti

Anche a Cerqueto fino ai primi anni del secolo scorso, c’era la ruota dei proietti o più precisamente la Rotë dë  Ruscë, come veniva chiamata dai cerquetani, dal soprannome del proprietario della casa dove essa era ubicata. I  proietti erano i bambini abbandonati, letteralmente buttati via (dal latino  proicere formato da projacere, gettare avanti a sè).

Il governo borbonico, a seguito del concordato con la Santa Sede, che trasformò gli istituti di pia carità per orfanelli da amministrazioni religiose in laiche, nel gennaio del 1751 istituisce la Deputazione dei projetti (trovatelli) e obbliga tutti i comuni, o meglio le università, anche più piccole, come Cerqueto, a istituire la ruota.
La ruota serviva ad accogliere e garantire la sopravvivenza a tutti quei bambini nati in situazioni precarie, figli di padre che non riconosceva e non voleva riparare e nati da donne che non potevano assolvere al proprio compito di madre, perché in stato di povertà.

La ‘ruota’ era una semplice struttura di legno ruotante  attorno a due perni di ferro infissi nello stesso muro, con annessa una specie di culla.  Il bambino, adagiato nella parte esterna, veniva portato all’interno attraverso una semplice rotazione della tavola. L’operazione dell’abbandono dentro la “ruota” era preceduta dal suono di una campanella. La persona preposta a quel servizio, che si trovava aldilà del muro, udendo la campanella, si recava a ricevere il bambino e non vedeva chi dall’altra parte aveva lasciato il neonato.  Il rilascio avveniva in genere di notte in modo che nessuno potesse vedere o sentire. I cosiddetti figli di nessuno venivano in questo modo messi al sicuro. Ogni amministrazione comunale era obbligata a provvedere all’assistenza ed al mantenimento dei trovatelli tramite qualche nutrice. Successivamente nel 1760 venne emanato un regolamento che obbligava ogni Comune a corrispondere gli alimenti per i bambini maschi fino a 5 anni e per le femmine fino a 7 anni, poi i maschietti erano avviati al lavoro presso un artigiano o un contadino, le femmine imparavano in genere il mestiere della tessitura. Alla fine del secolo XIX si cominciò a mettere in discussione la validità dell’istituzione della ruota che riversava sulle casse pubbliche il problema del sostentamento di famiglie numerose poiché spesso, ricorrendo a diversi escamotàge,  venivano affidati all’assistenza pubblica anche figli legittimi. Dopo l’unità d’Italia, soprattutto dal 1883 al 1888 vi fu un enorme aumento dei neonati abbandonati, tanto che il governo di Francesco Crispi fu costretto a promulgare una legge nel 1890 per il riordino degli istituti di beneficenza con la creazione degli “Istituti per l’assistenza e benefìcenza”, ma a Cerqueto il meccanismo della ruota continuò a funzionare.    Capitava ancora all’inizio del ‘900 che una donna allevava il proprio figlio ma gli assegnava un altro cognome non volendo essere nominata oppure , in qualche caso,  veniva dichiarato soltanto il padre sempre perché la madre non voleva essere nominata. Tacere l’identità della madre significava percepire il contributo del comune per allevare il piccolo. A volte anche le levatrici richiedevano l’affidamento dei neonati. Ad Antonia Ferruccio, levatrice che ha portato alla luce molti nostri genitori,   viene affidata  nel 1910,  Francesch  Aida  Allegrina Caterina.

La ruota a Cerqueto,  si trovava al rione Colle, a due passi dalla chiesa madre e precisamente presso la casa di Francesco Lisii. Forse se ne era occupato già suo padre Giuseppe Lisii ed è rimasta fino alla morte del figlio Angelo Antonio Lisii avvenuta nel 1914. Dopo di lui nessun altro si è più occupato della ruota. Nel 1923, comunque, le ruote furono tutte abolite nel territorio italiano con un regolamento approvato dal governo di Mussolini, che istituì ” Le Aziende per il servizio alle persone”.

Molti bambini sono passati per questa ruota! Come raccontava lo stesso Francesco, quando arrivava un bambino, lo prendeva e lo portava al comune. Alla presenza del sindaco o chi per lui, il neonato veniva sfasciato, spogliato delle fasce in cui era avvolto; si annotava tutto ciò che lo accompagnava, pochi cenci o anche un eventuale corredino; si annotavano eventuali segni particolari e il sesso e infine si attribuiva il nome. Spesso finivano per occuparsene gli stessi gestori della ruota eppure venivano affidati ad una nutrice. In altre zone d’Italia la ruota veniva chiamata anche degli esposti. I termini Projetti e Esposito o Esposto furono infatti usati anche per indicare, unito al nome proprio, l’identità anagrafica dell’infante abbandonato. I cognomi variavano dai toponimi che si rifacevano alle località del ritrovamento, ai nomi che ricordavano personaggi famosi, a quelli auguranti ogni bene, come  Diotallevi e  Diotiguardi,  ad altri di pura fantasia e non di rado assolutamente originali.

Ne cito alcuni, trovati durante le mie ricerche: le gemelle  Adelina e Annina Mattolini, Fortunato Cerquitelli e Grazia Sfortunata del 1873.

Gianna Lisii

Lascia un commento