Paesaggio: storia e memoria del tempo – Le cascate del Fosso di Cerqueto

Nel sito di Antonio Palermi “auaa.it” (espressione ascolana, città dell’autore, ma anche cerquetana, usata per esprimere stupore di fronte ad un avvenimento o panorama di particolare bellezza) si parla delle  “cascate del fosso di Cerqueto”. Le cascate si trovano in un luogo impervio ai confini dei territori di Cerqueto e Pietracamela. In inverno sono spesso ghiacciate a causa della loro perfetta esposizione a Nord. La cascata più grande presenta il notevole salto di circa 25 metri. Sono  posizionate non lontano dalla fonte de “li Urë”, che, come suggerisce il nome, ha la stessa loro esposizione.

Le acque di questa sorgente sono freddissime sia in inverno che in estate, segno che sono profonde e per secoli hanno refrigerato i cerquetani. La fontana, in ombra perché circondata dai faggi, era infatti luogo di sosta durante l’ora di pranzo e quindi punto di ritrovo comune per tutti coloro che lavoravano nella zona specie in estate, nei periodi di falciatura dell’erba.

Il territorio di Cerqueto è delimitato da due grandi torrenti: il Rio Maggiore a est, tra Cerqueto e Cusciano, e il Rio San Giacomo ad ovest, tra Cerqueto e Pietracamela (foto 1).

Il Rio san Giacomo è più conosciuto a Cerqueto come “fosso del mulino”, perché fino alla seconda metà dell’ottocento vi funzionò un mulino comunale, ora completamente in rovina.
Risalendo il Rio San Giacomo dalla SS 80, si incontra prima la confluenza con il fosso di Santa Riparata, che nasce a monte della omonima chiesa, poi la confluenza con il torrente affluente Rio Ferroni, che si origina nel punto di incontro, a “Vena di Corvo”, di due profondi torrenti partiti a loro volta tra la “Malafede” e “Colle Castello”. Poi si incontra il torrente affluente Rio Macinelle, che si origina molto in alto, nella estremità superiore del bosco di “Collembresco” alla confluenza, detta “della Crocifossa”, di due piccoli torrenti nati un po’ più a monte e che raccolgono le acque di tutta la vallata dei “Prati” di Cerqueto della “bbannë del Casale”, fino a “Colle Venaverio”. Risalendo ancora si incrocia un altro notevole affluente, chiamato  “Fosso della Montagna”,fino ad arrivare alle vere sorgenti del Rio San Giacomo, una originatasi nel bacino del “Cavone” e l’altra direttamente alimentata dalla “Laghetta”, proprio ai piedi del Gran Sasso, nel punto più alto della montagna di Cerqueto. Dal Gran Sasso quindi il Rio San Giacomo scorre a valle, attraversando tutto il crinale di “Di Contro” e riversandosi infine nel fiume Vomano a quota 450 mt s.l.m., nei pressi dell’ingresso alla grande centrale idroelettrica, chiamata anch’essa “di San Giacomo”.
Il corso del  Rio San Giacomo può essere risalito utilizzando solo qualche precauzione. Spesso ci si va a pesca e la zona del “mulino” fino a qualche anno fa era piena di orti. I laghetti naturali formatisi lungo il corso sono stati spesso utilizzati come “piscina” per imparare a nuotare.
Il torrente è stato però teatro anche di alcune sciagure costate la vita a diversi paesani.
Uno di questi drammi avvenne proprio nella zona delle cascate illustrate sul sito “auaa.it”.
La mattina del 22 agosto del 1948, Peppe Zaccagnini, abitante nel Rione Piano, condusse le pecore al pascolo nella zona della “casetta di Carino”, sulla sponda destra del torrente, a poca distanza dalle cascate. Tornò poi  a Cerqueto con lo scopo di recarsi a Montorio, dove in quel giorno si teneva una grande fiera. Tornato da Montorio, nel tardo pomeriggio  salì di nuovo in montagna per controllare i propri animali.

Probabilmente per raggiungere alcune pecore che si erano portate a ridosso delle cascate,  Peppe, seguito dal suo cane,  scivolò sull’erba umida oppure su qualche masso e, in un lungo tragitto mortale, rotolò molto più in basso lungo il letto del torrente. Aveva solo cinquanta anni.
Nei paraggi si trovava un altro pastore, Beniamino Di Matteo, il quale fu allertato dal continuo abbaiare del cane di Peppe.  All’inizio pensò che il cane stesse abbaiando contro un animale selvatico che si era avvicinato troppo a qualche gregge, ma poi decise di andare a controllare di persona. Attraversò il “passo di Sant’Antonio” e arrivato sul luogo, vide il corpo dell’amico con il viso rivolto verso  terra e con la testa a lambire l’acqua. Il cane si trovava al suo fianco. Capì subito che non c’era più nulla da fare e partì per cercare aiuto.

Quando era ormai notte, un triste corteo illuminato dalle lampade a petrolio riportò il corpo, posto sopra una scala adibita a barella, verso Cerqueto. Arrivati vicino al paese, i soccorritori non passarono però lungo il normale tragitto di Rio Ferroni, ma deviarono in alto, verso la fontana del Castello, “Fontecchio”, perché la famiglia, moglie e sette figli, ancora non sapeva della sorte del proprio caro e nessuno fino a quel momento aveva avuto il coraggio di informarli. Lo portarono così nei locali del “Monte”, adiacenti la chiesa di Sant’Egidio, e lì lo vegliarono. Il pomeriggio successivo si ebbero i funerali.

In tutta questa tragedia, fu impressionante il comportamento del cane, molto legato al suo padrone. Tutta la notte si aggirò intorno all’edificio della chiesa e lo sentirono abbaiare e guaire. Il giorno dopo lo videro seguire  la processione funebre fino al cimitero. Lì  rimase ad abbaiare davanti alla terra smossa.

Angelo Mastrodascio

 

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