La zampogna conservata nel museo etnografico di Cerqueto certamente non tornerà a farsi più sentire e, come da diversi decenni, continuerà ad osservare per sempre il silenzio. Se la zampogna cerquetana tornasse a suonare verrebbe sottoposta ad uno stress al quale non è più abituata da tempo e sarebbe uno sforzo inutile e destinato a fallire. Essa, come gran parte degli strumenti antichi, è come un tesoro, uno scrigno, che va ammirato e studiato perché possa essere riprodotto e perché le sue melodie possano tornare a suonare. Sono quelle melodie che raccontano il nostro passato e la nostra storia e parlano di noi e dei valori del nostro territorio e per questo devono risuonare ancora.
Fortunatamente, grazie alla passione per l’antica arte di questo strumento da parte di costruttori, nonché suonatori, come Nevio Di Michele di Pretara e Francesco Sabatini di Luco dei Marsi, la zampogna cerquetana continuerà a vivere e a trasmettere e comunicare antichi messaggi culturali. I contenuti e i valori mediati da questa musica tradizionale e arcaica, ci immergono in mondi solo apparentemente molto lontani da noi poiché sono quei mondi a noi direttamente collegati, rappresentano le nostre radici da cui possiamo attingere sostanze vitali. E quindi a buon diritto ci appartengono.
Per chi suona la zampogna cerquetana? Suona per ognuno di noi. Suona per i cerquetani come incitamento perché conservino degnamente il proprio patrimonio storico-culturale di grande valore. Suona per tutta la comunità come un segnale, un richiamo importante perché valorizzi il modello particolare di zampogna zoppa, che abbiamo la fortuna di conservare a Cerqueto e, per questo, battezzata zampogna cerquetana. A pieno titolo la zampogna nell’arte dei suoni, nell’arte della musica, possiede un patrimonio musicale vario, dalle potenzialità tuttora da scoprire, vanta una tradizione culturale importante e antichissima che può e deve proseguire anche con il nostro apporto, il nostro impegno e riconoscimento.
La realtà in cui viviamo si nutre del contributo intelligente e appassionato di chi le anima. È sicuramente vero che molti problemi e molte scelte per la loro dimensione e per la loro complessità non possono essere affrontate dai singoli cittadini, ma è altrettanto vero che una maggiore partecipazione di ognuno di noi nelle forme possibili può contribuire a determinare scelte di grande importanza politica in una direzione piuttosto che in un’altra. Non possiamo pensare che la vita sociale in cui siamo inseriti dipenda solo dagli altri e non possiamo pensare che a noi spetti solo il diritto di critica o di lamentela. Sarebbe un grave peccato di omissione!
La zampogna suona per i nostri governanti affinché sia data finalmente un’ adeguata sistemazione ai tanti oggetti del Museo Etnografico rimasti ammonticchiati per troppo tempo. Materiale raccolto e mantenuto con i sacrifici di tante persone. Nonostante i numerosi e importanti reperti siano meritevoli di considerazione, di approfondimenti, di studi, di schede illustrative, son passati ormai cinquanta anni e la preziosa collezione dei tanti e vari oggetti, utensili, arnesi, strumenti, telai, torchi, stoviglie, testimonianza della cultura agricola e pastorale del nostro territorio, della sua vita vera e autentica, sono ancora membra sparse, anonime e neglettamente misconosciute. Non è avvenuto ancora nulla nonostante i tanti sacrifici e le ripetute sollecitazioni. Sono passati altri tre decenni da quando Giammario Sgattoni, nel 1983, nel suo articolo Il folklore negletto (dal catalogo: Tradizioni a Cerqueto, Edizioni E.P.T. di Teramo, 1983) sollecitava gli addetti ai lavori, i responsabili fino a livello regionale, perché colmassero una siffatta lacuna. Il progetto di utilizzare il Rione Castello, ristrutturato ma lasciato proprio così com’era, e tutto destinato al museo, sarebbe stata una soluzione che avrebbe sì valorizzato e forse dato un impulso decisivo allo sviluppo del paese. Una soluzione che avrebbe superato sin da allora, e si tratta di trent’anni fa, il concetto di museo tradizionale che ricostruisse e semplicemente esponesse un mondo, un passato che non esiste più ma che rappresentasse, attraverso modalità adeguate, con il coinvolgimento attivo dei visitatori, la possibilità di far riscoprire ciò che è stato dimenticato del nostro passato nella corsa verso la modernità. Una soluzione ottima, che, sebbene considerata irrealizzabile già allora, nel 1983, non so per quali ragioni, vale la pena menzionare e ricordare come valida proposta di sviluppo, che teneva in debito conto e considerazione le necessità e i bisogni del luogo.
La zampogna suona, insomma, come un incitamento a sviluppare piani strategici territoriali, a disegnare in qualche modo un futuro possibile per la nostra terra. Uno stimolo a progettare una produzione di valore culturale, un’offerta che abbia un ruolo attivo e determinante per innescare un qualche processo di sviluppo del territorio , che partendo dal passato e utilizzando al meglio le nuove possibilità che il mondo moderno ci mette a disposizione possa sviluppare modelli di comunicazione della cultura di cui la nostra terra è portatrice.
Suona per una classe politica finora del tutto irresponsabile e disattenta a simili realtà e ai loro bisogni primari, del tutto irrispettosa del territorio e dei valori di cui questo territorio è portavoce. E’ un campanello d’allarme per responsabilità finora completamente disattese e per niente osservate dalle nostre istituzioni, preposte esclusivamente per prendersi cura del territorio, tutelarlo, valorizzarlo e svilupparlo socialmente. Suona come monito perché nulla è accaduto finora di quanto poteva esser fatto.
La zampogna suona perché possa continuare a farsi sentire e ad avere ancora un ruolo vivo soprattutto tra i giovani per dare voce ed anima ad un’antica cultura. Ammirevole l’interesse per lo strumento negli ultimi tempi da parte di alcuni giovani cerquetani . L’augurio è che possano continuare a coltivare questa passione per uno strumento che viene dal passato e ha dato e potrà dare molto alla nostra storia.
Adina Di Cesare