San Rocco: vita, leggenda e “catëllë”

Verso la metà del 1300, a Montpellier, nel sud della Francia, da Juan e Liberè della famiglia Delacroix, nobile e benestante, nasce Rocco.

I genitori lo considerano subito un dono del cielo sia perché essi erano ormai attempati e non l’aspettavano più sia perché il bambino portava impressa sul petto dalla parte del cuore una croce rossa: un segno indelebile, precursore di singolare destino.
La famiglia permette al giovane di intraprendere gli studi importanti. Rocco sta per laurearsi in medicina quando perde entrambi i genitori. Per il dolore interrompe gli studi, dona il bel patrimonio parte allo zio Bartolomeo e parte ai poveri, indossa l’abito del Terzo ordine francescano e diventa il “pellegrino di Dio” alla volta di Roma.

Scende le Alpi, passa per valli e per monti, attraversa foreste e fiumi, strade incerte e pericolose e, finalmente eccolo in Italia, la terra della sua mamma. Ma sono i tempi della peste che regna sovrana e domina le belle contrade infestate dai e dalle soldataglie straniere che rubano, uccidono e depredano senza pietà, straziando e appestando le zone che attraversano.

“ A peste et fame et bello libera nos, Domine!” – “ Dalla peste, dalla fame e dalla guerra liberaci, o Signore!” – si pregava ovunque!

Rocco entra in Lombardia, passa in Liguria, in Toscana, dovunque incontra malati di peste che guarisce con un semplice segno della croce. Sente dire che ad Acquapendente, vicino Viterbo, è scoppiata la peste e subito vi si reca guarendo tutti con sempre la stessa sua unica medicina: un segno della croce sulla fronte dei malati.

Visto che lui non fugge la peste, la peste fugge da lui. La gente si domanda che tipo di medico sia costui e la fama dei miracoli del giovane pellegrino francesce si diffonde per l’Italia intera. Riprende il viaggio per Roma ma la peste arriva lì prima di lui.

Quando vi giunge, i pochi non ancora colpiti stanno fuggendo dalla città. Anche il Papa sta per partire per Perugia. L’arrivo del pellegrino Rocco è salutato da tutti con una grande esultanza.

Sempre e solo con il segno della croce guarisce tutti i malati tra cui un cardinale, al quale il segno della croce rimane ben visibile in fronte. Il cardinale vuole che Rocco glielo tolga ma questi lo persuade a tenerlo come segno della liberazione dalla peste e della passione di Gesù.

Il Papa Urbano V, al secolo Guillarme de Grimoard di Montpellier, quindi concittadino di Rocco, quando lo incontra resta abbagliato dalla luce che emana il corpo di Rocco e capisce subito che si trova davanti un Santo e in quanto alla benedizione invece di dargliela, gliela chiede. Gli domanda poi chi è, da dove viene ma Rocco risponde che è un umile servo di Cristo e un povero pellegrino. Non dice di più. A Roma resta tre anni e compie numerosi miracoli: richiama i morti in vita, assiste in estasi a messe celebrate da angeli in cielo, fa zampillare acqua da una roccia, converte in rose e fiori ossa di martiri e continua a guarire i malati di peste. Poi si reca a Piacenza dove infuria un’epidemia di peste nera: la gente moriva senza pietà. Mentre torna dall’ospedale dove aveva guarito tutti, una voce dal cielo gli annuncia che anche lui avrebbe preso la peste e patito tante sofferenze. Dopo poco tempo avverte all’ascella destra i segni violacei del terribile morbo. Per i dolori acutissimi non può fare a meno di gridare. Per non disturbare chi gli è accanto, trascinandosi con l’aiuto di un bastone, arriva fuori città, all’orlo di un bosco, in una spelonca.

Stanco, affaticato, ammalato, solo e privo di ogni aiuto, poggia il bastone vicino ad un cespuglio nei pressi della spelonca. Il bastone si trasforma subito in un albero carico di pere succulente, che ristorano il santo e accanto zampilla una limpida fonte le cui acque, oltre a dissetarlo, hanno la prodigiosa virtù di sanare le piaghe. Non lontano dalla capanna sorgeva un castello dove si era rifugiato un ricco signore di Piacenza con la sua servitù per fuggire la peste. Un giorno, all’ora di pranzo, il signore vede uno dei suoi cani prendere un pane dalla tavola. Tutti i giorni sempre lo stesso suo cane ripete la stessa cosa. Allora decide di seguire il cane e scoprire il mistero. Dopo una corsa affannata col pane in bocca, lo vede entrare tra le frasche in una spelonca e porgere il pane ad un romito, seduto nella nuda terra ed uscire scodinzolando. Il signor Gotardo, incuriosito, chiede al pellegrino chi sia. Questi gli risponde di stare alla larga perché ha la peste. Il signore si allontana subito e torna al castello ma, preso dal rimorso per aver abbandonato un essere umano, di cui un suo cane si prendeva cura, torna nella spelonca per chiedere al malato di cosa ha bisogno. Il santo romito, prima lo benedice poi lo prega di andare a chiedere l’elemosina di due pani, dopo aver indossato l’abito da pellegrino. La prova è dura: lui, gentiluomo ricco, deve presentarsi come un povero mendicante ai suoi amici che lo avrebbero sicuramente schernito e scacciato. Grande è la sua titubanza ma accetta. I suoi amici, quando lo vedono così “conciato”, lo mandano via in malo modo e, indignati, gli chiudono la porta in faccia. Allora bussa alle porte dei poveri, che gli danno i due pani. Torna dal santo, pronto ad obbedirgli. Rocco guarisce e Gotardo lo accompagna di nuova a Piacenza dove continua a compiere guarigioni miracolose e pare sia Gotardo, dopo la morte del santo, a raccogliere notizie sulla sua vita e diffonderla.

“Rocco è ora che torni al tuo paese!” gli ordina una voce. Rocco riattraversa le Alpi e, di tappa in tappa, raggiunge la sua terra natia dove c’è una brutta guerra. Nessuno dei suoi parenti riconosce in quell’essere estenuato e pieno di ispida barba il bel giovane di alcuni anni prima. Proprio per il suo aspetto straniero e squallido, viene ritenuto una spia ed arrestato. Il governatore, che era suo zio Bartolomeo, gli domanda nome, cognome e provenienza ma non ha risposta. Rocco rimane in prigione fino alla morte. Tutti i detenuti ed i carcerieri sentivano simpatia per quel prigioniero dolce e paziente e consolatore. Passano alcuni anni. Un giorno un angelo gli annuncia la morte imminente. Rocco chiede un sacerdote per confessarsi. Il sacerdote accorre subito ma lo splendore che emana il prigioniero lo abbaglia e comprende che è un santo. La voce del santo in prigione si diffonde ed arriva anche alle orecchie del governatore, che riconosce, solo dopo morte, il suo amato e buon nipote dal segno di croce che brillava sul petto. Dolore, rimorsi, pianti lacerano i bagliori della prigione. Accanto al santo viene ritrovata una tavoletta su cui c’era incisa la frase: “ Coloro che saranno colpiti dalla peste e invocheranno il mio servo Rocco ne saranno subito liberati”. Ai solenni funerali partecipa tutto il popolo: è il 16 Agosto del 1379. San Rocco aveva 33 anni, gli stessi di Gesù. Ora il corpo di San Rocco riposa a Venezia, in una chiesa a lui dedicata. Il culto del santo si diffuse subito in tutta l’Europa. In Italia ci sono moltissime chiese consacrate a lui. Anche Cerqueto ha la sua chiesetta di San Rocco. Si trova all’inizio del paese, ha una sola navata con un piccolo campanile che mi fa venire in mente quello, ben più celebre, del Quirinale, e con una sola campanella. Ne ricordo ancora il suono un po’ bislacco quando, ogni anno, il 16 Agosto la campanella dava il segno della messa che si celebrava proprio nella chiesetta. Ci dovevamo portare le sedie perché non c’erano i banchi come quando andavamo a vedere “la talavisiaunë su lu mondë” (unica televisione donata dal sindaco Sor Ettore ai cerquetani). Qualche anno dopo ci furono portati quelli della Chiesa Grande. Era bello andare a messa a San Rocco ma quando uscivamo ci aspettavano i ragazzi che si divertivano a riempire i nostri capelli di “catëllë”, i frutti della bardana, che maturano proprio in Agosto, quando sono più spinosi e pungenti. Poveri capelli e che dolore per toglierli! Spesso mamma doveva ricorrere alle forbici da barbiere di papà per liberare le nostre giovanili e belle chiome dagli ospiti indesiderati. “Li catëllë”, come la peste, si attaccano e non lasciano facilmente la preda.

Anche nella Chiesa Grande c’è un altare dedicato al nostro santo e sopra un bel dipinto ne illustra la vita. Il santo ha un’aria simpatica, da uomo sempre in strada e sempre in piedi, con in faccia il vento di tante terre e la mazzetta incerata sulle spalle, detta poi proprio “sanrocchino”, con una cappellina verde in testa, il bordone in mano e accanto un cane, quel cane che lo soccorse e lo curò nei momenti più difficili e tristi della sua intensa vita. San Rocco è il patrono di Montorio e la bella chiesa nella piazza è dedicata proprio a lui. Sono anche molto affezionata a questa chiesa perché quando andavo a scuola e dovevo attendere le coincidenze degli autobus, spesso mi rifugiavo in chiesa, che mi proteggeva dal freddo, dalla pioggia o dal sole cocente di luglio, durante i giorni della mia lontana maturità.

Rema Di Matteo

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