L’astore, il silenzioso predatore dei boschi

 

Non era la prima volta che, insieme ad Alessandro, stavo preparando un capanno fotografico, ma questo, appena fuori dal perimetro del Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, si preannunciava veramente “unico”. Quante volte, da ragazzo, leggendo le varie guide per il riconoscimento degli uccelli mi sono chiesto se mai avessi avuto la fortuna di incontrare ed osservare alcuni di essi. Tra questi, l’astore (Accipiter gentilis) era come un sogno, “il fantasma dei boschi”, il predatore per eccellenza delle foreste che, al suo apparire, diventavano misteriosamente silenziose.

Grazie alla preziosa segnalazione di Gino, un amico ed esperto naturalista, nonché profondo conoscitore di quei luoghi, avevamo deciso di fare un capanno su un piccolo rialzo di terra che, sul fianco della collina, ci permetteva di avere, quasi alla stessa altezza, il vecchio nido costruito sui grossi rami di un maestoso ciliegio selvatico, qualche decina di metri più in là.

Il bosco, non molto fitto, faceva filtrare la luce del tardo pomeriggio, ricamando sull’incantevole tappeto di edera stesa dovunque sul terreno, dei riflessi che illuminavano il perfetto palcoscenico che la coppia sembrava controllare dall’alto.

Sorvegliati dallo sguardo severo della femmina, bassa nel nido per coprire i pulcini, abbiamo cominciato a raccogliere rami e piccoli tronchi per approntare velocemente un nascondiglio dove poter sorvegliare nei giorni a seguire, la fase riproduttiva della coppia di rapaci.

Man mano che il capanno prendeva forma, grazie al rapido ed abile lavoro di Alessandro, non perdevo d’occhio la femmina che, quasi a voler proteggere i due piccoli, sembrava scomparire nel cavo del nido.

Il tempo di coprire il capanno, quando le copiose gocce di un temporale improvviso hanno cominciato a farsi strada tra le foglie del bosco. Costretti a ripararci all’interno del nascondiglio, ci siamo guardati soddisfatti pregustando quelle che sarebbero state le scene alle quali avremmo assistito. La feritoia, ricavata per l’obiettivo fotografico, era perfettamente in linea con l’albero i cui rami non nascondevano, almeno nella nostra direzione, il nido, incorniciato dalla principale biforcazione, all’interno di una “V” perfetta.

L’astore, fermo sotto la pioggia ormai scrosciante, si era girato dandoci le spalle e, attraverso il binocolo, potevamo apprezzare il suo dorso grigio-bruno proteso per tenere il più possibile all’asciutto i giovani nati. Tutto, intorno a noi, ci appariva immobile come se il bosco e le sue creature si fossero fermate ad aspettare che il temporale passasse per poi poter riprendere le proprie occupazioni prima dell’arrivo della notte. Io ed Alessandro, mentre alcune gocce cominciavano a filtrare attraverso il telo ormai zuppo, abbiamo cominciato a pensare a quando tornare per riprendere e fotografare gli astori, a chissà quante volte gli adulti sarebbero stati al nido, a quale obiettivo sarebbe andato meglio ed altre decine di cose che potevano capitarci e che, fino a quel momento, sapevamo solo perché lette nei libri o raccontate da altri naturalisti.

Il nome italiano dell’astore si fa risalire all’antica Asturica Augusta, una città dell’impero romano, oggi chiamata Astorga, nella regione della Castilla y Leon in Spagna. Il toponimo sembra riferirsi ad una zona ricca di rapaci che, già nel IV secolo d.C. venivano utilizzati in Europa per la falconeria. A cominciare dal De arte venandi cum avibus, il più noto dei testi di falconeria medievali composto dall’ imperatore Federico II, fino ad arrivare ai giorni nostri, i rapaci hanno da sempre affascinato gli uomini per le loro capacità di volo e la loro forza. Un testo del Quattrocento, riporta che l’Aquila reale è riservata all’Imperatore, il Girifalco al Re, il Falco Pellegrino femmina ai Principi, a Duchi, e Conti. Il Falco Pellegrino maschio, più piccolo, ai Baroni. Il Falco sacro al cavaliere, il Falco lanario al Nobile di campagna e il Lodolaio ai paggi. Anche le dame si avvicinano alla falconeria, attratte più dalla bellezza dei rapaci che da un’autentica passione per la caccia. Appannaggio della signora è lo Smeriglio, un falco piccolo ed elegante che può essere tenuto in pugno senza fatica. I rapaci meno pregiati, come l’Astore e lo Sparviere, sono destinati alle classi sociali inferiori.

Però, lo spettacolo dell’astore che si alza sul nido scrollandosi l’acqua e rivelando i due pulcini bianchi che si erano rifugiati sotto il suo petto, non ci fa certo pensare al falco meno pregiato così come descritto dai cavalieri medievali! Per le sue dimensioni, simili a quelle di una poiana, l’astore appare come un grande falco contraddistinto da una notevole forza ed una spiccata agilità che gli garantisce il predominio incontrastato nella caccia tra gli alberi e ai margini dei boschi. Le sue prede vanno dalle ghiandaie ai piccioni selvatici anche se la femmina, sicuramente più grande del maschio, può abbattere anche piccoli mammiferi (lepri, topi o scoiattoli). Il metodo di caccia più frequentemente usato dall’astore consiste nello star fermo su un ramo in attesa del passaggio della preda. Poi, sfruttando al massimo i ripari naturali offerti dal terreno, si avvicina alla massima distanza utile prima di sferrare l’attacco. Allora rincorre la vittima predestinata con straordinaria agilità, scartando rapidamente negli spazi brevi utilizzando la coda come un vero e proprio timone aereo, fino a quando i suoi artigli impattano la preda. Dell’abilità di questo rapace, ne siamo felici testimoni visto che, generalmente, la femmina rientra con una preda al nido rifornita costantemente dal maschio che, richiamandola da un posatoio vicino, la invita a portare il cibo ai piccoli. Normalmente e se non vi sono situazioni di allarme, la coppia di astori è molto silenziosa e “discreta” sebbene, in prossimità del nido, diventino particolarmente vociferi. Durante le parate nuziali, che iniziano a marzo, il volo diventa spettacolare, compiendo delle vere e proprie “danze aeree”, complete di traiettorie circolari, picchiate, rapide risalite e “voli a festoni” come nella migliore tradizione dei rapaci. La coppia, che collabora nella costruzione del nido, può occupare anche quello della stagione riproduttiva precedente, apportando nuovo materiale fino a fargli raggiungere dimensioni ragguardevoli sia nell’altezza sia nel diametro. Poi, a primavera inoltrata, avviene la deposizione delle uova (da 2 a 4) e l’incubazione, effettuata in prevalenza dalla femmina, porta alla schiusa del primo uovo anticipata di qualche giorno rispetto al resto della covata. In stagioni particolari, con bassa disponibilità di prede, è probabile che il pulcino più piccolo e peggio nutrito soccomba a favore del pullo nato per prima. Ma la vitalità dei “nostri” due giovani rapaci è confortante e ben presto, a metà giugno, cominciamo a vedere i primi tentativi di volo con il piumino che pian piano si stacca dalle giovani ali, seguito dallo sguardo curioso dei suoi due proprietari. Da qualche giorno, ormai, i due giovani trascorrono sempre più tempo da soli e gli adulti diminuiscono le loro visite al nido. Ogni tanto, la femmina rientra con qualche rametto verde per “rinfrescare” il fondo del nido; la cura e l’attenzione, che riservava ai suoi piccoli appena nati nel tagliare e sminuzzare le prede, sono veramente lontane. Anche noi, ormai stanchi delle tante levatacce per entrare ancora a notte fonda nel capanno fotografico, cominciamo a diradare le visite al nido e, alla fine, non riusciamo ad essere testimoni dell’attimo magico dell’involo. Ma dentro di noi, siamo certi che i due giovani astori, trascorso il periodo necessario a diventare indipendenti, con l’inizio dell’autunno, lanceranno la sfida alle loro prede, pena la sopravvivenza.  E, se ne usciranno vincitori, semplicemente la comparsa della loro sagoma continuerà, ancora una volta, ad ammutolire il chiacchiericcio delle ghiandaie riconducendo al silenzio i richiami e le voci del grande bosco.

Roberto Mazzagatti

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