Il gafio


Tra i rarissimi gafii ancora esistenti nei paesini della provincia di Teramo sicuramente un’ autentica testimonianza è rappresentata da lu gafië dë Ulimpië a Cerqueto. Quasi appollaiato sotto il tetto,  lu gafië dë Ulimpië è ancora lì a ricordarci il nostro  passato e la cultura longobarda, da cui le nostre case contadine hanno ereditato diversi elementi. Certo una struttura così perfetta nella sua semplicità, con il solo uso del legno e della pietra, una balconcino a sbalzo che si auto reggesse e proteggesse, composto dal piano di calpestio, balaustra e copertura, non sarebbe stata facilmente attuabile senza l’abilità di un popolo abituato ad operare con il legno, come era il popolo longobardo. Il gafio, apparentemente di scarso valore artistico,  è una struttura che meglio si adatta ai tradizionali solai in legno delle case contadine e conserva tutto il suo valore storico e culturale.  E così , fino a tutto l’800, a disposizione dell’edilizia povera  di Cerqueto, per gli amanti di luoghi esterni coperti, esistevano  solo i gafii. Nei primi decenni del novecento, con il rientro degli emigrati americani e le maggiori disponibilità economiche, cominciarono le prime sostituzioni. Facilmente riconoscibili erano le case degli americani  dai balconcini  in calcestruzzo e le balaustre in ferro.

Negli anni ’60 comunque esistevano ancora  diversi esemplari di gafii a Cerqueto. La scomparsa  quasi completa è dovuta naturalmente al degrado  del legno che ha accompagnato l’abbandono del paese e alle ristrutturazioni, intensificatesi a partire proprio dagli anni ’60, con materiali diversi, anche se meno adatti, come il cemento armato.

Quale è l’origine e il significato della parola gafio? La parola, che ha assunto vari significati secondo le zone,  etimologicamente deriva dal termine longobardo waifa che vuol dire “terra che non appartiene a nessuno“, trasformatosi nei dialetti meridionali in gafië. Secondo attestazioni ufficiali  il significato del termine ha assunto nel corso del tempo un duplice significato: da un lato quello di “vicolo, angiporto“, dall’altro quello di  “ballatoio, terrazzino pensile, bastione” . Nelle Marche e nell’Umbria si incontra la trasanna che era una specie di gafio. Nella provincia di Teramo la yeifa (con il significato di “spazio di suolo, recintato, presso alcune chiese, per tenerle isolate, per non impedire la luce e lo scolo delle acque” ) è attestata con il significato di “specie di lunga terrazza che dà sulla parte anteriore della casa dei contadini”.

Ma il gafio non è solo una  semplice derivazione semantica. Esso è, in realtà, un elemento di unione  alla civiltà e alla cultura dei Longobardi e segna  una diretta continuità di questa consuetudine  edilizia. Il gafio conosce una diffusione molto ampia  negli antichi ducati  longobardi di Benevento e di Spoleto, di cui faceva parte l’Alta Valle del Vomano. Tale diffusione viene consolidata  dall’unità del Regno di Napoli, come  si può concludere sulla base delle informazioni note. Sia gli Statuti di Teramo del 1440  che quelli del Castello di Ancarano, analizzati da Francesco Savini, il gafio era una costruzione molto utilizzata in tutta l’attuale provincia di Teramo. Secondo il Savini, esso sarebbe una tettoia posta sulla porta delle botteghe, oppure un verone o un pianerottolo  di scale esterna. ” Era a tutti permesso avere innanzi le case e sopra le botteghe i gaffii e le  trasanne (gronde) nella maniera in cui li tenevano i vicini. Avevano però questi il diritto d’impedire siffatte costruzioni, purché abbattessero le proprie e pagassero insieme 20 libbre o lire al tesoro del Comune (IV, 16). Tuttavia  il gafio viene presentato come un elemento edilizio sporgente e di conseguenza ingombrante.

La costruzione del gafio comincia ad essere soggetta a limitazioni, proprio a causa dell’ingombro, quando vengono definite,  in un primo momento nella sola capitale del Regno di Napoli, normative edilizie. Il vicerè Pedro de Toledo, al suo arrivo a Napoli,  diede inizio ad una completa ristrutturazione urbana della capitale, che si presentava troppo caotica e affollata. Nel 1533, Don Pedro stabiliva legislazioni edilizie  per rendere la capitale più vivibile, ripristinare un certo ordine pubblico, liberando molte strade anguste e buie. L”attenzione del vicerè si concentrò proprio su tutto ciò che  sporgeva  in modo vistoso e ingombrante dalla facciata di un edificio. L’iniziativa mirava a restituire una nuova luce alle vie che erano soffocate anche dall’ombra di tettoie, ballatoi, balconcini etc. “A due maggio si buttò bando che tutti i gafii et intelaiature  della città si buttassero per terra, il che fu eseguito di tal manera che nello spazio d’otto giorni si trovarono buttati tutti per terra e per tutto il mese di Maggio si trovorono acconciate e fabricate le mura dove si levorono li gafii, e tutto ciò fu fatto per la pena, che vi si pose di 25 onze” ( Sugli Statuti teramani del 1440: studi di Francesco Savini – Firenze, G. Barbera – 1889 p. 198)

Gli editti di Don Pedro vengono da Napoli estesi al resto del regno, o, almeno per quanto  più ci interessa, vengono sicuramente estesi a Teramo, come si può dedurre risalendo ad un’opera di Muzio Muzij, letterato ed erudito vissuto ed operante a Teramo tra  ‘500 e ‘600, conosciuto anche dal Savini.  (Della storia di Teramo: dialoghi sette di Muzio Muzij – Tipografia del Corriere Abruzzese 1893).   Nel 1893 l’opera del Muzij è stata edita a cura di G. Pannella, ed è  questa edizione che prendo in considerazione per conoscere in che modo, forse con metodi non del tutto graditi nel 1544, vengono applicate anche a Teramo le regole stabilite da Don Pedro.  “L’anno seguente 44 furono alquanto travagliati i cittadini dal Mastro Portolano (responsabile edile) in far buttare a  terra  le scalate, ch’erano per le strade, e le trasanne (gronde), ed i Gaffii, ch’erano nella piazza sopra le botteghe, ed alcuno nelle strade, e se con destrezza dai Signori del Reggimento non si fosse avuto ricorso a S. E. (il Vicerè di Napoli) , avrebbe fatto assai peggio.” (Dialogo VII )

I gafii vengono però lasciati indisturbati nei paesi di montagna e nelle campagne, anche se la loro posizione è limitata nella parte alta delle case al fine di ridurne l’ingombro. Qui non costituivano nessun  ostacolo per carrozze  e uomini a cavallo perchè non esistevano carrozze e non esisteva alcun centro trafficato ed è abbastanza naturale che la loro sopravvivenza sia stata possibile.

Lu gafië dë Ulimpië rappresenta, perciò, una testimonianza viva della storia, lunga e complessa, del nostro paese  e di una cultura millenaria e , purtroppo, si trova  in uno  stato di degrado  avanzato. Il recupero di quest’antica struttura  deve avvenire al più presto, al fine di evitare che  si deteriori ad un  punto tale da renderne  impossibile un restauro conservativo o un ripristino. E’ importante per noi salvaguardarlo e valorizzarlo,  come è necessario proteggere  le altre  strutture  esistenti  anche per stimolare nei nostri giovani il desiderio di conservazione.  Il degrado e la  conseguente perdita dei beni del proprio territorio rendono sicuramente  più povere le generazioni future!

Adina  Di Cesare

Lascia un commento